Читать книгу: «I pazzi: dramma in quattro atti», страница 2
Francesco
E non c'è stato mezzo di rintracciarti. Io ignoro sempre la tua abitazione.
Ulrico
Per lo piú, la ignoro anche io!
Francesco
E in quest'anno?..
Ulrico
Metamorfosi! Metamorfosi e guarigione completa! Ti prego di credere che sei al cospetto del piú savio degli uomini!
Francesco
Non è inverosimile.
Ulrico
Mi sono guarito da me, caro il mio dottore!
Francesco
Neppur questo è inverosimile.
Ulrico
Ma il merito – spieghiamoci – non è tutto mio.
Francesco
Sei modesto!
Ulrico
Mi son fatto consigliare… Indovina da chi.
Francesco
Non indovino. Dimmelo.
Ulrico
Mi son fatto consigliare dall'umanità.
Francesco
Il consiglio dell'umanità è la somma di parecchi milioni di consigli.
Ulrico
Ma rettifico: da una parte dell'umanità mi son fatto consigliare.
Francesco
Dalla migliore.
Ulrico
Dalla peggiore! (Siede a cavalcioni su una seggiola.) Mi attengo, t'avverto, al giudizio corrente, tanto per capirci.
Francesco
Il che, peraltro, non è indispensabile.
Ulrico
Secondo il giudizio corrente, è la parte peggiore dell'umanità quella nella quale funzionano brutalmente il sangue, la carne, i nuclei nervosi, i cinque sensi con le loro volubilità e attribuzioni cooperative, e nella quale è disseccata o ridotta a proporzioni minime la vita morale. Io ho aboliti tutti gli accidenti della vita morale, da cui provengono le nostre inquietudini, le nostre incontentabilità, le nostre sofferenze, i dibattiti, gli attriti, gli stenti, gli sforzi che scombussolano il nostro essere fino allo sfasciamento, fino alla follia. Neghi che questa sia la genesi della follia?..
Francesco
(senza approfondire) No.
Ulrico
Io mi sono brutalizzato. Non leggo, non scrivo, non studio, non penso, non m'interesso di ciò che sta oltre la superficie delle cose, non ho piú nessuna delle curiosità e delle esigenze che avevo quando ero un animale superiore. Di che mi occupo io durante le ventiquattro ore della piroetta terrestre intorno al sole?.. Mi occupo dei miei bisogni e desiderii materiali per soddisfarli con la massima scrupolosità. Una volta – te ne rammenti? – il mio desiderio piú ansioso, il mio piú impellente bisogno era di trovare l'onestà nel sesso femminile. Mi affannavo a cercarla. Mai vistane neppure la coda! Me ne affliggevo! Me ne disperavo! Che strazio! Che sventura! Che tragedia!.. Io non la trovavo o perché non è mai attecchita tra le discendenti di Eva o perché non l'avevo mai conosciuta e, naturalmente, non potevo identificarla. Ma tutto questo è stato da me spazzato via insieme con i peli che mi deturpavano il volto. La mia esistenza è diventata esclusivamente fisica. «Mi tocco, dunque esisto!» E crepi Cartesio! Cerco quello che conosco, quello che so identificare, quello che è visibile e palpabile, quello che non è punto arduo trovare. (Animandosi) E me la godo! Me la godo a meraviglia! Tu, per guarirmi, t'incocciavi a nudrire, attraverso l'organismo, il mio spirito. Ignorante! Dovevi, al contrario, avere l'abilità di ucciderlo. Io l'ho ucciso! (Si frega le mani, ridendo) Eh eh eh eh!..
Francesco
(sedendogli dirimpetto) Mio buon Ulrico, tu sei un pazzo come prima. La sola differenza è questa: che prima eri un pazzo di cattivo umore, e adesso sei un pazzo di umor gaio… almeno in apparenza.
Ulrico
Per me, il tuo giudizio non vale un fico secco! Non te l'ho chiesto e non sono venuto con l'intenzione di chiedertelo. Non sono venuto con l'intenzione di consultarti. Io son venuto, viceversa, per dare a te i miei lumi, per sorvegliare la tua salute, per mettermi alle tue costole, intento a diventare, all'occorrenza, il tuo medico, il tuo frenologo. E mi accorgo di avere avuto una ottima ispirazione. Io ti trovo ammalato, molto ammalato! Tu presenti un quadro patologico allarmante, e devi impensierirtene. – L'epoca è triste, amico mio, per i psichiatri del genere al quale tu appartieni. Il tuo correligionario Paolo Gemmi – hai visto? – se n'è andato in cielo o altrove motu proprio! Non mi era simpatico. Quindi non deploro la sua assenza definitiva. Ma còstato, con ponderazione, lo sfasciamento, lo sconquasso psicologico per cui egli si è liquidato mediante un colpo di rivoltella.
Francesco
Tu ripeti, a proposito del povero Paolo, la solita fantasticheria generica che corre per le bocche di tutti quando la causa d'un suicidio non è stata rivelata dal suicida.
Ulrico
Nel caso di lui non è una fantasticheria. Si tratta di un caso lampante d'incongruenza. Egli non era uno storpio, non era un tubercolotico, non era un diabetico, non era un vecchio asmatico, disponeva di parecchi quattrini, di parecchio ingegno, d'una certa gloriola acquistata senza troppa fatica: dunque per nessun motivo ragionevole poteva averne le tasche piene, e chi sa in quali aspirazioni extraterrene, in quale smaniosa alchimia andò a consumarsi e a smarrire la ragione. Ma per te sono qua io! Sei fortunato. Ringraziami d'essere capitato in tempo!.. Vediamo un po'. Che ti senti? Che ti pare di sentirti?
Francesco
(si rannuvola, si alza. – Passeggia, torcendo tra le dita la catenella dell'orologio.)
Ulrico
Non mi rispondi? Non puoi indicarmi i sintomi del tuo male? Non mi dài gli elementi per la diagnosi? Li coglierò io stesso con la mia speciosa radioscopia e con l'ausilio del ricordo che ho delle tue note caratteristiche. (Riflette.) La piú spiccata era l'amore per tua moglie: – un amore incommensurabile e ininterrottamente afflittivo. Quando, nelle tue ore di studio, non affliggeva lei in carne ed ossa, ne affliggeva l'effigie!.. E vedo che la sua fotografia è tuttora lí, appiccicata al tuo scrittoio. (Va a prenderla e se la mette davanti allo sguardo.) Bella donna, non c'è che dire! Bella e giovanissima! Piacerebbe anche a me se non fosse tua moglie!.. (Osserva) Continui a mutare la cornice di tanto in tanto. Sempre una piú preziosa dell'altra. (Ripone la fotografia sullo scrittoio.) Sicché: le cose stanno come stavano. Il punto di partenza della mia diagnosi dev'essere questo: «tu ami tua moglie come l'amavi».
Francesco
(tornando a sedere) Bada che ti sbagli.
Ulrico
L'ameresti di piú?.. Santo Iddio, sarebbe spaventevole!
Francesco
La detesto!
Ulrico
Oh, caspita!.. (Lo fissa.) Hai scoperto che ti tradisce? Hai scoperto che ha un amante?
Francesco
Se avessi scoperto di essere tradito, non so quale enormezza avrei commessa.
Ulrico
(ironico) Avresti avuto il diritto di ammazzarla!
Francesco
(convinto) Ah, sí!
Ulrico
Il diritto è quella istituzione per la quale, quando che vogliamo, ci si cava il gusto di dare qualche fastidio al prossimo senza fargli le scuse. E, abbi pazienza, chiariscimi la situazione. Dal momento che tua moglie ti è fedele, perché la detesti?
Francesco
Non avermi tradito… non significa che mi è fedele.
Ulrico
Ti è infedele… col pensiero?
Francesco
Ne ho il sospetto.
Ulrico
Per il semplice sospetto d'una infedeltà platonica, tu detesti colei che hai tanto amata? Non è giusto. (Col tono di chi dissimula di pigliare in giro qualcuno) Avresti dovuto innanzi tutto sincerarti. Sarebbe stato approssimativamente giusto detestarla dopo di aver bene accertato l'adulterio del pensiero.
Francesco
(traboccando) E come si fa a guardare nel cervello altrui? Come si fa a sorprendere la verità che vi si appiatta se perfino quella che è nel cervello nostro talvolta ci si nasconde?
Ulrico
(si frega le mani, ridendo) Eh eh eh eh!.. Precisamente! È alquanto piú complicato che sorprendere il baco in una ciliegia bacata!
Francesco
(tutto agitato dalle sue idee, che ribollono) Dal primo balenio del sospetto ho frugato nel cervello di lei con l'acume, col rigore e con l'accanimento d'un poliziotto che frughi nel nascondiglio di un malfattore. Nulla ne ho cavato fuori che avesse la precisa vivezza della verità assoluta. La fatica che ella compiva per affermare di essermi fedelissima poteva parere una fatica compiuta per nascondermi la sua infedeltà o per ingannare sé stessa. Ogni protesta poteva parere una trepida difesa. Ogni lagrima poteva parere versata pel dolore d'una rinunzia. Ogni «sí» aveva anche il suono di un «no». Ogni «no» aveva anche il suono di un «sí». La verità qual era? dov'era?.. Non è giusto che io detesti colei che ho tanto amata?.. La giustizia non c'entra. Il mio sentimento non è una punizione, non è una condanna, non è un'accusa. Io la detesto senza accusarla, senza giudicarla. La detesto per la sua incapacità di debellare il mio sospetto. E di questa incapacità si è confessata proponendomi la separazione.
Ulrico
Vi separerete?!
Francesco
Dovevo bene accettare la sua proposta. L'ho accettata.
(Pausa.)
Ulrico
(con un'aria da medico accorto e dotto) Amico mio, il tuo male non è molto diverso dal male che io mi vanto di aver superato. L'origine di entrambi i mali?.. Un egoismo esuberante. L'egoismo fa la buona salute se resta nel campo della praticità, se resta nel campo della materialità, in cui tutto è riconoscibile, tutto è distinguibile, tutto è piú o meno facile ottenere. Ma se sconfina e va a caccia di quel che non si distingue, di quel che non si vede e che forse non è mai esistito, se ambisce ad afferrare l'inafferrabile, produce sconvolgimenti gravissimi, che, per giunta, si propagano intorno con una irradiazione catastrofica. Tu non ti sei accontentato di chiedere a tua moglie la fedeltà del corpo. Hai preteso da lei la fedeltà del pensiero, cioè della mente, cioè del cuore, cioè dell'anima, cioè del diavolo che ti porti, con la relativa prova concreta inconfutabile matematica! Conseguenza fatale: sconvolgimento e irradiazione catastrofica! Adori tua moglie e la detesti, la vuoi e non la vuoi, l'accusi e non l'accusi, ti torturi e la torturi, soffri e la costringi a soffrire, impazzisci e la costringi a impazzire. Io non avevo una moglie. L'egoismo mio non si specializzava. Esso riguardava tutte le donne che passavo in rassegna pretendendo di trovare l'onestà con la relativa prova concreta inconfutabile matematica. Non le torturavo troppo perché riuscivano sempre a svignarsela. L'irradiazione mancava. Ma, intanto, mi torturavo io. Detestavo, adoravo, soffrivo, impazzivo, – impazzii! Mi sono curato, e ora non soffro piú, non adoro piú, non detesto piú!.. E sai quel che ho fatto?.. (Si accalora, si elettrizza) Come scelgo i cibi, i vini e i liquori che piú mi letificano, ho scelta la mia donna nelle immense fucine dell'abbrutimento. Giuro che non ce n'è un'altra di piú bassa carata sulla faccia della terra! La mia donna è mia perché è di tutti. Ha verso di me il merito insigne di piacermi infinitamente, e, se il saperla di tutti mi desse un qualunque senso di pena o di ribrezzo o di gelosia o di rancore, temerei di non aver conseguita la perfezione! (Ride) Eh eh eh eh! (Poi, con una scrosciante violenza) Brutalizzarsi, mio caro! Questa è la cura!
Francesco
(ha un brivido di nausea, e mormora:) Potrebbe essere vero!..
Ulrico
(dopo una breve pausa) Ho chiacchierato troppo. E quindi ho sete. Non di acqua, beninteso. Ho sete di absinthe: il liquido che piú mi è omogeneo. In casa tua certamente non ce n'è. Vo' a berne in una buvette qualunque. Mi accompagni?
Francesco
(lugubre) Ti accompagno. E beverò anch'io.
Ulrico
Bravo!
Francesco
(si leva. – Preme un bottone della soneria elettrica.)
Una Cameriera
(dalla destra) Ha chiamato?
Francesco
Dite alla signora che esco. E portatemi il mio cappello.
(La Cameriera va.)
Ulrico
… E a quando la separazione?
Francesco
Dipenderà da lei.
Ulrico
(incredulo) Se hai sinceramente accettata la sua proposta, meglio non ritardare.
Francesco
Sono preparato, io! Non lo vedi che sono preparato?
Ulrico
(rude) E un taglio netto ha da essere!
Francesco
Lo so.
Ulrico
Si applica molto cloroformio, ed energicamente si esegue.
La Cameriera
(ritornando e porgendo il cappello a Francesco) La Signora la pregherebbe di attendere un momento.
Francesco
(accigliandosi) Attenderò.
(La Cameriera si ritira.)
Ulrico
Pare che ti tocchi di litigare ancora un po' con tua moglie. Trastullerò la sete con una sigaretta e mi tratterrò pazientemente in giardino, purché la cosa non vada troppo per le lunghe.
Francesco
No, Ulrico! Tu mi farai il favore di non allontanarti. La presenza tua eviterà a me e a lei un'altra eventuale discussione, lacerante e oramai inutile.
Ulrico
Allora, stai tranquillo: non mi muovo di qui. Duro come una sentinella!
VI
Agnese
(entra dolorosa e rigida. – Non riconosce Ulrico. – Resta interdetta.) Ti credevo solo.
Ulrico
I miei omaggi, Signora!
Agnese
(saluta, incerta, con un cenno del capo.)
Francesco
È Ulrico Nargutta…
Agnese
(con cordialità poco espansiva) Voi, Ulrico?.. Perdonatemi di non avervi riconosciuto. Vi vedo dopo un anno d'assenza… E siete cosí trasformato!
Ulrico
Piú che trasformato, Signora! Del Nargutta di una volta non sopravvivono che l'amicizia da cui egli era legato al dottor Francesco Floriani e la devozione da cui era legato alla consorte di lui.
Francesco
(ad Agnese) Che hai da comunicarmi con tanta fretta?
Agnese
(reticente) … Una mia decisione. Ma…
Francesco
Ulrico è informato di tutto. È naturale che io non abbia voluto celare a un intimo e sperimentato amico di casa ciò che tra breve non sarà un segreto per nessuno. Puoi parlare liberamente.
Agnese
(noncurante e altera: non sdegnosa, non iraconda) Per conto mio, non ho nulla da celare a un amico di casa, e non avrei nulla da celare neanche a una folla di estranei. Sicché, accolgo il tuo invito di parlare liberamente. La decisione che ho presa è di lasciarti oggi stesso.
Francesco
(con esasperata meraviglia) Oggi stesso?!
Agnese
Quando rincaserai, io sarò già via.
Francesco
Ma questa è una fuga! È una fuga, Agnese! Tu fuggi.
Agnese
Sí, fuggo.
Francesco
E quale fatto nuovo o quale allarme t'induce a fuggire cosí?.. Ti sono sembrato, a un tratto, un manigoldo? un delinquente? un nemico?
Agnese
Non riempire la tua voce di parole da fanciullo! Io profitto d'un impulso che certo prima di domani sarà svanito.
Ulrico
(borbotta in sordina:) Approvo.
Agnese
(concitata) Fuggo per non aspettare l'ora della resipiscenza, per non aspettare l'ora della mia e della tua viltà; fuggo per schivare, soprattutto, la tregua ingannatrice della notte che alla viltà della transazione ci trascina; fuggo perché, se non fuggissi, se non ti lasciassi oggi fuggendo, non ti lascerei, credo, mai piú, e non avrebbe piú fine il conflitto che miseramente distrugge la nostra esistenza e la nostra dignità! Sii forte, Francesco, come sono io, e non impedirmi di fuggire.
Francesco
(terreo, appena reggendosi in piedi) Non te lo impedisco.
(Un silenzio.)
Ulrico
(senza accorgersene, si è scostato. – Ora, dal fondo, assiste, attentissimo, e, suo malgrado, pietoso, «al taglio netto». Ha davvero l'atteggiamento di chi assista a un'audace operazione cerusica.)
Francesco
E dove andrai?.. Dove andrai?.. Alla ventura?..
Agnese
Parto per Firenze. E lí abiterò la modesta casetta in campagna che era il mio piccolo patrimonio di orfana.
Francesco
(stentando a esprimersi) Io esigo… che, almeno, tu viva in una certa agiatezza. Permetterai, spero, che io te ne sia garante, che io ne assuma l'impegno.
Agnese
La vita di solitudine a cui mi dispongo rifiuterebbe l'agiatezza che non somigliasse un poco alla povertà. E poi… pensa che sempre caro mi fu destinare i nostri risparmi all'opera umanitaria della tua generosità e del tuo ingegno. Desidero che questo contributo non manchi e non diminuisca. Continuerà ad essere, in parte, l'obolo mio.
Francesco
Sarò scrupoloso interprete del tuo desiderio.
Agnese
Ti ringrazio. E addio! (Con fermezza eroica, gli stende la mano in una profferta di leale commiato.)
Francesco
(con pari fermezza istantanea, gliela stringe nella sua.) Addio, Agnese.
(Tutti e due, solenni, si guardano con gli occhi tristi che si vietano le lagrime.)
(Qualche lagrima, invece, vela gli occhi di Ulrico.)
(Le mani di Agnese e di Francesco si staccano l'una dall'altra, sbianchite, cadenti.)
Agnese
(non sa piú dominarsi, ed esce veloce.)
Francesco
(come colpito da un proiettile al petto, cade a sedere di piombo su una sedia che gli è vicina.)
Ulrico
(non osa accorrere. – Gli si gelano le vene. – Indi, reagendo con una specie di rabbia, emette una voce acre stridula sferzante:) Vieni o non vieni?
Francesco
(si leva súbito, ma senza fiato, senza sguardo.) Vengo.
Sipario
SECONDO ATTO
Un piccolo salotto – tipicamente equivoco. Un'aria di roba vecchia e raccozzata.
Non grossi mobili. Un leggero tavolinetto tondo, con su una sigariera. Una mensola, con su bottigliette di liquori e bicchierini. Qualche sedia, parecchie poltrone di forme diverse. Molti specchi corrosi, screziati, uno dei quali è piú alto e sorge dall'impiantito. Un gran divano: cioè, uno di quei divani che si chiamano «alla turca»; basso, larghissimo, senza spalliera, senza piedi, carico di cuscini. Un drappeggio di cattivo gusto incornicia lo specchio piú alto e guernisce lo stipite di una porta in fondo, da cui si accede a un corridoio. Predomina il rosso in svariati toni: vivido, smortito, vermiglio, cremisino, paonazzo, quasi arancione, quasi roseo, quasi amaranto. Questa varietà è distribuita sulla tappezzeria della porta e della specchiera, sulla stoffa del divano, su i cuscini, sulle poltrone, sul tappeto frusto e rappezzato che copre in parte il pavimento, su certi sbrendoli attaccati ai muri per addobbo.
Alla parete laterale di sinistra è – in primo piano – una porticina un po' misteriosa di minime dimensioni. Alla parete opposta un'altra porta, di dimensioni normali. In un angolo, il braccio d'un fantoccio di legno raffigurante un moro regge una lampadina elettrica.
Dal soffitto penzola un gruppo di quattro grosse lampadine di vetro turchino.
I
Sera.
La porta, in fondo, è chiusa. È soltanto accesa la lampadina del moro, di cui biancheggiano i denti in uno stupido sorriso immobile. – Nella scarsa luce si spande fantasticamente la sinfonietta del rosso. – Sul divano dorme Sonia Zarowska. – Bella. Biondissima. Pallida, d'un pallore latteo. E nel pallore sembrano morti i suoi occhi sigillati dal sonno, orlati di bistro e cinti da un cerchietto livido. – Non è distesa, né supina. Il suo corpo si sprofonda nei cuscini, bisbeticamente scomposto. Dalla stretta e succinta veste nera, che è cosparsa di lucide pagliuzze cangianti, tutte si rivelano le membra torte e squinternate. Una gamba è scoperta fino al ginocchio, e tra il nero della veste e il rosso dei cuscini risalta il grigio perla della calza velina. – Un mantello è a terra, aggrovigliato, presso il divano. Un tocchetto bizzarro è, capovolto, su una sedia.
Sonia
(si svoltola. Sogna, brontola:)… Roastbeef con patate! (Pausa)… Un cocktail!.. (Poi, un barbuglio senza parole. E piú niente. – Si svoltola di nuovo. Agita un braccio. Brontola piú vivacemente:) Vile gendarme!.. Per te non voglio danzare!.. (Si stende, sbracalata) Puff!.. Antipatico!.. Antipatico!.. Puff!.. (Si accheta.)
(Silenzio.)
(La porta, in fondo, si apre un po'.)
II
Ulrico
(sulla soglia, fa capolino.) Sonia!.. Soniuccia!.. (Tra sé:) Dorme come un ghiro. (Le si avvicina, la osserva.) Ubbriaca? Benissimo!
Francesco
(che seguiva Ulrico, è rimasto, circospetto, esitante, di là dalla soglia, nel corridoio poco illuminato.)
(Tutti e due hanno i cappelli calcati in testa, indossano paltò invernali.)
Ulrico
(a Francesco) Entrata libera e senza agguati, senza insidie! Trabocchetti non ce ne sono.
Francesco
(fa qualche passo. Non entra ancora.)
Ulrico
Ma, insomma, chi ti trattiene? Chi si permette di trattenerti?.. L'ombra della tua consorte?.. Sono già due mesi che sei separato da lei: della sua ombra dovresti sbarazzarti. O, almeno, non dovresti darle retta. Avanzati, dottore!
Francesco
(si avanza, sempre circospetto. Per un atto abituale, si cava il cappello.)
Ulrico
Ti cavi il cappello rispettosamente?.. Ti ringrazio per Sonia Zarowska e ti ringrazio per me, giacché io qui sono un po' in casa mia. Difatti, vedi: (gli mostra una chiave) questa è la chiave unica della porticina, diciamo cosí, privata. (Indica la porticina.) Un vero vantaggio da padrone di casa, perbacco! Non mi costa gran che e ho il diritto d'entrare senza incomodare nessuno, da mezzanotte in poi, quando cioè la porta della scala ufficiale è chiusa alle conoscenze avventizie. E appunto in qualità di padrone di casa, quantunque a scartamento ridotto, ti prego di metterti a sedere. (Gli piglia di mano il cappello, lo posa in un canto.) Cedo a te la mia poltrona preferita (una larga e comoda poltrona). Siedi, siedi a tuo bell'agio, e consentimi di presentarti, in uno dei suoi atteggiamenti personalissimi, il piú mansueto, il piú semplice e il piú utile campione del sesso femminile.
Francesco
(a guisa di un automa, si è seduto. Guarda Sonia con la coda dell'occhio. Ha una contrazione di disgusto.)
Ulrico
(riavvicinandosi a lei) Esemplare grand prix! Non sciarade, non rompicapi psicologici, non scenografia intellettuale!.. Origine slava, con radici nel vecchio semplicismo analogo. Trasmigrazione casuale, come d'un sughero in balia del mare. Acclimatazione per inerzia. Intelligenza primitiva. Capacità a delinquere, ma non oltre i limiti di qualche lieve danno pecuniario. Assoluta impossibilità d'amare e di tollerare d'essere amata. E, dalla punta dei piedi a quella dei capelli, completa idoneità ai riti del piacere. Un ghiribizzo di Fidia impersonato da una sciocca del secolo ventesimo, intanfato nella suburra di tutti i tempi! Ecco la donna che ho scelta, ecco la donna delle mie ore fiammanti. (La contempla.) Dormi, dormi, ignobile bestiolina sublime! Tu abbandoni il bel corpo inverecondo al sonno della ubbriachezza, e io, beato, ti contemplo, benedicendoti una volta di piú!
Francesco
(tace, oppresso, appesito.)
Ulrico
(gli striscia dietro, come un folletto maligno e gli scuote una spalla.) Su, su, povero malato!.. Per curarti ti ho introdotto dove meglio sbocciano la mia saggezza e la mia felicità, e tu disdegni e ti riavvolgi nella tua asfissiante tetraggine?.. Respira a pieni polmoni l'aria ossigenata che ti offro! Apri gli occhi sul prezioso piccolo mostro fascinatore. Comincia a comprenderlo. Comincia a valutarlo. E, soprattutto, non incepparti nella prevenzione di urtare la mia suscettività. Ti rammenti di quello che ti dissi quando venni ad annunziarti d'essere rinsavito?.. «Se non m'infischiassi che la mia donna è di tutti, temerei di non aver conseguita la perfezione!» E nulla mi seduce di piú che il cimentarmi nell'esperimento supremo. Assistere alla concorrenza dell'amico fraterno!.. (Spampana con enfasi presuntuosa, modificandolo per l'occasione, il popolare verso dantesco:) «Qui si parrà la mia nobilitate»!
Francesco
(flemmatico) Il cinismo che ostenti è ristucchevole, ma per fortuna è anche falso.
Ulrico
E mettimi alla prova!
Francesco
A quale prova?.. Tu non sei tanto ottuso da non intendere che costei non può essere per me – al piú al piú – che un oggetto di osservazione e di studio.
Ulrico
(si eccita, si frega le mani, ride) Eh eh eh eh!.. Da cosa nasce cosa! Nella vita, come nella chimica, date certe circostanze, due corpi eterogenei diventano combinabili da un momento all'altro.
Francesco
Va' là che sei il piú candido degli impostori!
Ulrico
Ah, questo mi dici?!.. Mi dai dell'impostore? Mi disconosci? Mi stuzzichi? Mi provochi?.. E sai in che modo rispondo io alla tua provocazione?
Francesco
Mi è indifferente, caro!
Ulrico
(con una stizza paradossale) Io ti lascio nella tana del mostro, consegnandoti cosí ai suoi fascini, e me ne vado a cena! (Esce rapido dal fondo chiudendo i battenti con veemenza.)
Francesco
(levandosi come spaventato) Ma no! Aspetta, imbecille! Io solo, qui, non voglio restare!
Ulrico
(di fuori, grida, ride, sghignazza.) Brutalizzarsi! Brutalizzarsi!
Francesco
(gridando anche lui, cerca il cappello) Aspetta! Ti ordino di aspettare! (Col cappello in mano si slancia verso il fondo.)
Ulrico
(allontanandosi) Brutalizzarsi o morire!..
III
Sonia
(si sveglia) Chi è là?
Francesco
(è arrestato da quel «chi è là» presso l'uscio, di cui stava per aprire i battenti. – Si volta. – Indugia imbarazzato.)
Sonia
Chi sei?
Francesco
Non un ladro.
(Una pausa.)
Sonia
Ti conosco o non ti conosco?
Francesco
No no, non mi conoscete.
Sonia
(ancora intorpidita dal sonno) È la prima volta che ti vedo?
Francesco
La prima volta.
Sonia
E tu?.. Dove mi hai veduta? Quando mi hai veduta?
Francesco
Mai.
Sonia
E, senza avermi mai veduta, vieni a farmi una visita?
Francesco
Ulrico Nargutta mi ha condotto.
Sonia
Ah, ecco: ti ha condotto lui! (Comincia a schiarirsi.) E quei gridi che mi hanno svegliata?.. Che erano quei gridi?..
Francesco
(balbetta:) Ho alzato la voce inconsideratamente.
Sonia
Non t'eri accorto che dormivo?
Francesco
Me n'ero accorto.
Sonia
È tanto dolce dormire!
Francesco
Mi duole d'avervi disturbata.
Sonia
(si sgranchisce) Ti duole?.. Che me ne importa che ti duole?.. Non è un rimedio.
Francesco
Avete ragione. Del resto, la colpa non è tutta mia. Il mio amico mi ha costretto a gridare, e lui stesso ha ecceduto: ha fatto del chiasso.
Sonia
Avete litigato?
Francesco
Non è stato un litigio.
Sonia
E che è stato? Raccontami. Raccontami.
Francesco
Nulla da raccontarvi. Sciocchezze!
Sonia
E com'è che lui non è qui?
Francesco
È scappato via all'improvviso.
Sonia
Perché è scappato via?
Francesco
… Un suo capriccio… Uno dei suoi scherzi bizzarri…
Sonia
Ma, già, io credo che quello lí non abbia la testa a posto.
Francesco
(ironico) È una ipotesi da non escludere.
Sonia
Entra, esce, scappa, torna. Sempre cosí! Non ha mai requie. Scommetto che tornerà súbito.
Francesco
Speriamo!
Sonia
E sei rimasto attaccato all'uscio?.. Non ti accomodi?
Francesco
(confuso e garbato come se stesse al cospetto d'una signora) Ero sul punto d'andarmene quando vi siete svegliata.
Sonia
Adesso, è fatta. Non ho piú sonno, adesso.
Francesco
Voi non avete piú sonno, ma io non mi tratterrò. Non ho menomamente l'intenzione di trattenermi.
Sonia
(di scatto) Oh, bella, ti sono antipatica!
Francesco
… Non è mica per questo che mi tarda d'andarmene.
Sonia
Se non è antipatia, che può essere?.. Paura?.. Tu hai paura di me?
Francesco
Non è antipatia e non è paura.
Sonia
È paura, è paura! Non negare! Hai l'aria di un topo in trappola!
Francesco
Vi assicuro che voi equivocate. Gli è che sono a disagio. E non c'è' altro. (Alla sua inesperienza sembra ch'egli debba giustificarsi. Parla disordinato, con un certo orgasmo.) D'altronde, è pur naturale ch'io sia a disagio. Le mie abitudini son troppo diverse da quelle che consentono di venire qui spensieratamente e di svagarvisi in piena libertà. E, poi, vivo cosí lontano, io, dal vostro ambiente!.. Ulrico Nargutta si era affaticato a descrivervi, a illustrarvi, a esaltarvi; si era per giunta intestato di condurmi da voi, e io… mi son lasciato condurre… un po' per curiosità e un po' per una specie di passiva obbedienza. Lo deploro per me e lo deploro per voi.
Sonia
E che hai concluso con tutto il tuo imbroglio di chiacchiere?.. Il fatto è che, se te ne vai, mi offendi.
Francesco
Ma che c'entra l'offendere?
Sonia
Sí, mi offendi. Tu non hai competenza. Non puoi giudicare. Ti giuro che mi offendi.
Francesco
Non ho alcun motivo di volere arrecarvi offesa. E non ne ho il diritto. (Tituba. – Apre un po' le braccia remissivamente.) Resterò ancora qualche minuto affinché non riteniate che mi permetta d'offendervi proprio io, a cui siete completamente innocua.
Sonia
E non stare in piedi, ti prego, come si sta in un bar per prendere un caffè! Che diavolo!..
Francesco
Un'altra offesa?.. Non starò in piedi.
Sonia
Vedrai che ti terrò buona compagnia.
Francesco
È un'ottima intenzione, ma alquanto problematica. (Paziente, rassegnato, siede di nuovo, lontano da lei, su una seggiola qualunque, gettando il cappello su un'altra seggiola.)