Il Travestimento Perfetto

Текст
0
Отзывы
Читать фрагмент
Отметить прочитанной
Как читать книгу после покупки
Шрифт:Меньше АаБольше Аа

CAPITOLO DUE

Jessie Hunt mise il telefono in modalità silenziosa e si distese tranquilla a letto con gli occhi chiusi, sperando di addormentarsi subito. Dopotutto non doveva andare da nessuna parte.

Ma non servì a nulla. La sua mente stava già galoppando, nonostante i suoi migliori sforzi per farla rallentare. Era lunedì mattina. Avrebbe dovuto essere un giorno rilassante, almeno confronto a quella che era la routine in quel periodo. Non aveva incarichi per le mani. Non doveva fare fretta ad Hannah perché si preparasse per andare a scuola. Con una sola eccezione, il suo programma era esattamente quello che avrebbe voluto. Eppure si sentiva rosa dalla pressante sensazione di avere del lavoro da fare. Si mise a sedere.

Il movimento le mise il corpo in condizione di totale disagio. La spalla malandata le faceva male, probabilmente per averci inavvertitamente dormito appoggiata sopra. E la pelle ancora irritata alla base della schiena le dava una sensazione strana, come di un costante prurito che sapeva di non potersi grattare.

Guardando l’altro letto dalla parte opposta della stanza, vide che Hannah Dorsey, la sorellastra di cui era tutore a tempo pieno, era ancora addormentata e russava leggermente. Jessie si alzò e uscì in punta di piedi, percorrendo il corridoio in direzione del bagno. Vide che la porta dell’altra stanza era chiusa, il che significava che Kat era ancora addormentata o, più probabilmente, si stava vestendo e preparando per la sua giornata. Ad ogni modo, significava che il bagno era libero.

Katherine ‘Kat’ Gentry, la migliore amica di Jessie, stava ospitando lei e Hannah a casa sua mentre cercavano una nuova sistemazione. Jessie non poteva più sopportare il pensiero di vivere nel precedente condominio. Lì erano successe troppe cose orribili.

Aveva promesso a Kat che se ne sarebbero andate nel giro di un mese, e anche se erano passate solo due settimane da quando si erano trasferite lì, si sentiva addosso una certa pressione. In parte era perché si sentiva in colpa che Kat non potesse comodamente avere lì quando più le faceva comodo il suo compagno, un vice sceriffo di Arrowhead Lake che si chiamava Mitch Connor. Al momento riuscivano a vedersi solo durante i finesettimana. E ora erano stati costretti a mettere in sospeso anche quello.

Ma oltre a questo, trovare un nuovo posto con sufficiente spazio per due persone – e magari tre a un certo punto – e che offrisse tutte le misure di sicurezza necessarie, non era facile. Anche se il suo ex marito Kyle Voss non era più una minaccia, Jessie aveva ancora un sacco di altri nemici, molti dei quali avrebbero gioito di fronte a una possibilità di poterla sistemare una volta per tutte.

E poi ricordò a se stessa che c’era anche un’altra necessità. La nuova casa avrebbe dovuto essere accessibile alle persone con disabilità. Il compagno e convivente di Jessie, il detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles Ryan Hernandez, non era ancora per niente pronto a lasciare l’ospedale. E a dire la verità non era certa che ci sarebbe mai riuscito. Ma se un giorno l’avessero mai dimesso, avrebbe avuto bisogno di rampa per la sedia a rotelle, barre di sicurezza e tutte le attrezzature a cui lei neanche aveva ancora iniziato a pensare.

Jessie si diede un’occhiata nello specchio prima di lavarsi la faccia. Non aveva l’aspetto rilassato di una donna nel suo giorno libero. Le borse scure sotto ai suoi luminosi occhi verdi erano meno evidenti, ma il rossore attorno alle iridi lasciava comunque intendere una certa mancanza si sonno. I capelli castani che le arrivavano alle spalle non erano raccolti nella sua solita coda, ma apparivano sfibrati come si sentiva lei stessa. Così china sul lavandino, la sua figura atletica di un metro e ottanta appariva molto più minuta. Addirittura gli zigomi ben delineati sembravano meno pronunciati del solito. Aveva compiuto trent’anni da poco, ma questa mattina si sentiva più vecchia di un decennio.

Finì di lavarsi e uscì dal bagno, dove trovò Kat che aspettava con pazienza. L’amica era vestita in modo casual con un paio di jeans e una maglietta larga che copriva il suo fisico ben tornito. Anche se non era più un ranger dell’esercito, né il capo della sicurezza in un penitenziario psichiatrico, aveva sempre l’aspetto di qualcuno che era meglio non fare arrabbiare. Era probabilmente una buona cosa, perché la sua nuova professione di detective privata le forniva ancora qualche opportunità di ficcarsi in delle scaramucce di tanto in tanto.

“È tanto che aspetti?” le chiese Jessie con tono colpevole.

“Un paio di minuti,” la rassicurò Kat. “Non ho fretta. Mi devo solo dare una spazzolata ai capelli. Il caffè è quasi pronto se ne vuoi un po’.”

“Grazie. Potrebbe tornarmi utile.”

“Un’altra nottataccia?” chiese Kat comprensiva, ben consapevole delle recenti traversie vissute da Jessie.

Lei annuì.

“Questa volta non ricordo gli incubi nel dettaglio, ma ho ancora delle immagini che mi fluttuano nella testa.”

“Vuoi parlarne?” le chiese Kat con delicatezza.

Jessie era dibattuta se farlo o meno. Era preoccupata che, parlando dei suoi brutti sogni, avrebbe dato loro maggiore potere. Ma tenersi tutto dentro, come aveva spesso fatto in passato, non le aveva comunque giovato molto. Alla fine decise di scegliere il versante della confidenzialità.

“È sempre la stessa roba. Vedo Kyle che strangola Garland Moses fino a ucciderlo in quella casa sulla spiaggia. Lo vedo piantare in coltello nel petto di Ryan. Vedo me stessa mentre presto a Ryan i primi soccorsi, fino a che non riesco più a muovere le braccia. Poi passo a Kyle che sbatte Hannah sul divano e lei che si accascia. Rivivo la sensazione di soffocare Kyle, il piacere di sentire la sua trachea che si spezza. Sai, roba divertente di questo tipo.”

Kat rimase in silenzio un momento. Jessie capì che stava pensando a come rispondere. L’amica di certo sapeva come funzionava l’elaborazione dei traumi. Aveva visto buona parte della sua squadra che saltava in aria a causa di una bomba mentre prestava servizio in Afghanistan. L’incidente l’aveva lasciata con ricorrenti mal di testa e una lunga cicatrice verticale che le segnava il volto a partire dall’occhio sinistro. Jessie ancora non conosceva i dettagli di quello che era accaduto quel giorno.

“Vedi ancora la dottoressa Lemmon?” le chiese Kat alla fine, riferendosi alla terapeuta di Jessie, che la stava accompagnando ormai da anni attraverso innumerevoli odissee.

“Sia io che Hannah ci andiamo regolarmente,” confermò Jessie. “In effetti, l’ho vista proprio venerdì scorso.”

“Ti ha dato qualche consiglio speciale?” chiese Kat.

“Certo, come al solito: non tenerti tutto dentro. Parlane, ma senza piangerti addosso. Tieniti occupata. Fai movimento per quanto ti permettono le tue ferite.”

Il riferimento era tanto alla spalla sinistra slogata che si era procurata nel combattimento letale contro Kyle e alle ustioni alla schiena derivate dal salvataggio di una donna da una casa in fiamme con un serial killer all’interno.

“E quanto ti permettono?” chiese Kat.

“Quello che mi concede la mia soglia del dolore. Le ustioni non sono più così terribili. Il medico dice che stanno guarendo bene e che dovrei riuscire a togliere le bende tra una settimana o giù di lì. La spalla fa ancora male, ma almeno non devo più tenere il braccio al collo. Ma dovrei andare a fare fisioterapia per altre due-quattro settimane.”

“Beh, almeno non avrai nessuna distrazione professionale a complicarti gli appuntamenti,” disse Kat con tono ottimista. “Questo è il tuo primo giorno ufficiale da disoccupata, giusto?”

Jessie annuì. Era tecnicamente vero. Lo scorso venerdì era stato il suo ultimo giorno di lavoro come profiler criminale al Dipartimento di polizia di Los Angeles, e ultimamente non aveva lavorato poi tanto. Aveva dato il suo preavviso, con grande delusione del suo capitano, ormai due settimane prima.

Nonostante l’avesse implorata che si prendesse un periodo sabbatico e vedesse come si sarebbe sentita alla fine, Jessie era stata irremovibile. Aveva bisogno di liberarsi dalla spirale di violenza che aveva dominato la sua vita professionale e personale negli ultimi anni. E poi, girare per gli stessi uffici dove era stata abituata a vedere Garland ogni giorno non faceva che rigirarle il coltello nella piaga.

A causa delle sue ferite, dell’ospedalizzazione di Ryan, dell’aiuto nella risoluzione dei casi di Garland, del trasloco e del prendersi cura di Hannah, alla fine era stata in ufficio solo due volte. L’ultima era stata venerdì, quando aveva ripulito la sua scrivania.

“Spero che la disoccupazione sia temporanea,” disse Jessie. “Ho dei colloqui in lista in diverse università la prossima settimana per discutere dei posti da insegnante in autunno. Nel frattempo sto abbracciando la possibilità di non avere una lista di cose da fare così grande.”

Nessuna delle due fece cenno al motivo principale per cui non serviva avere tanta fretta per cercare un lavoro. Il suo divorzio da Kyle era stato redditizio. Prima della sua condanna, l’ex marito aveva contribuito a un ricco fondo di gestione, quindi Jessie avrebbe comunque guadagnato bene da un normale divorzio. Ma il fatto che Kyle avesse tentato di incastrarla per l’omicidio che lui aveva commesso e avesse poi cercato di ucciderla, aveva facilitato ancora di più le cose.

Inoltre, Jessie aveva anche ricevuto una generosa eredità dai suoi genitori adottivi, che erano stati assassinati dal suo padre serial killer qualche anno prima. L’avvocato di Garland le aveva anche detto di aspettarsi un sostanzioso regalo quando il testamento del suo mentore sarebbe stato letto alla fine di quella settimana. Jessie si sentiva in colpa a vivere in maniera così agiata come risultato di tanto dolore e sofferenza. Ma con Hannah di cui prendersi cura, le spese mediche che si sommavano e le misure di sicurezza di cui aveva bisogno in casa, ormai aveva accettato la cosa.

 

Prima che potesse spiegare più a fondo le sue prospettive future, la porta della sua camera si aprì. Ne venne fuori una Hannah dagli occhi assonnati, con indosso slip e canotta e i capelli tutti arruffati.

“È il tuo ritratto,” disse Kat sarcasticamente.

Nonostante la battuta, Jessie non poteva negare che fosse vero. Anche senza i due centimetri di altezza che le donavano i capelli scompigliati, Hannah era già quasi alta quanto Jessie. E tutte e due avevano la stessa corporatura slanciata e atletica. E quando finalmente aprì gli occhi del tutto, mostrò loro lo stesso sguardo tinto di verde che anche lei aveva.

“Come va, bella addormentata?” le chiese Jessie.

“Programmi interessanti per oggi, principessa?” aggiunse Kat.

Hannah le guardò tutte e due in cagnesco, poi entrò in bagno e chiuse la porta senza dire una parola.

“Che cara ragazza,” disse Kat con tono asciutto.

“Sempre un raggio di sole,” confermò Jessie con ironia. “È di malumore perché la pausa estiva è quasi finita. La prossima settimana deve andare a scuola, e la cosa non la rende per niente contenta.”

“Solo una settimana ancora per starsene a ciondolare senza fare niente,” sottolineò Kat. “Povera piccola. Mi piacerebbe avere lo stesso programma.”

“Qual è il tuo programma per oggi?” chiese Jessie.

“Niente di entusiasmante: questa mattina devo rivedere dei documenti. Poi c’è una coppia di ricconi che vuole che scopra cosa sta combinando loro figlio. Non sono Philip Marlowe.”

“Ti serve aiuto? Potrei dare un occhio ai documenti e…”

“No, signora,” la interruppe Kat. “Tu devi concedere una pausa sial al tuo corpo che al tuo cervello. Fai una passeggiata. Vediti un brutto film. Quello che ti pare, ma niente lavoro.”

Jessie stava per rispondere quando il suo telefono suonò. Ormai conosceva molto bene il numero. Rispose immediatamente.

“Pronto, sono Jessie Hunt.”

“Salve, signorina Hunt. Sono l’infermiera Janelle della terapia intensiva al Centro Medico. Il dottor Badalia avrebbe piacere di fare due parole con lei. Quando sarebbe disponibile?”

“Posso essere lì tra quindici minuti,” disse Jessie, poi riagganciò.

Guardò Kat, che sembrava aver capito quello che stava succedendo.

“Vestiti,” le disse l’amica. “Io ti verso una tazza di caffè e ti preparo un toast. In cinque minuti puoi essere fuori di qui.”

“E Hannah?”

“Non preoccuparti per lei. Questa mattina la tengo d’occhio io. Quando me ne vado, le può fare da babysitter Instagram.”

Jessie era già a metà del corridoio, diretta verso camera sua quando gridò all’amica un sonoro “Grazie!”

CAPITOLO TRE

La stanza d’ospedale dove si trovava Ryan era mantenuta buia e fresca. Il sibilo del respiratore aveva un ritmo regolare. Sarebbe stato quasi calmante se Jessie avesse potuto dimenticare il motivo per cui si trovava lì. L’infermiera le aveva detto che il dottor Badalia sarebbe arrivato presto. Mentre lo aspettava, osservava Ryan.

Sembrava stare meglio del solito. Il suo colorito non era pallido come alla sua ultima visita e la pelle sembrava meno cerea. Se socchiudeva gli occhi, poteva immaginare che stesse semplicemente dormendo. Mostrava ancora un bell’aspetto: con il lenzuolo che lo copriva fino al collo, era impossibile immaginare che il corpo che aveva sempre mantenuto in ottima forma avesse già iniziato ad atrofizzarsi.

Ma era solo un’illusione. Solo due settimane fa, Ryan Hernandez era stato il migliore detective della Sezione Speciale Omicidi (HSS) per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che indagava casi di alto profilo o con intenso scrutinio da parte dei media, spesso con più vittime e con l’operato di serial killer. Ora si trovava in un letto di ospedale, indifeso, pugnalato al petto dall’ex-marito di Jessie nella loro stessa casa. Era un pensiero troppo grosso da sostenere e Jessie cacciò il ricordo dalla mente.

Il dottor Badalia apparve sulla porta e Jessie si alzò in piedi per andargli incontro in corridoio. Era un uomo alto e magro che andava verso i quarant’anni, con un’espressione costantemente severa, per cui ogni volta era difficile capire se fosse in procinto di dare buone o cattive notizie.

“Grazie per essere venuta, signorina Hunt,” le disse con gentilezza.

“Ci mancherebbe. Ci sono aggiornamenti?”

“Sì. Come ricorda, abbiamo sollevato Ryan dal coma indotto la scorsa settimana. Ieri notte per la prima volta ha mostrato una leggera reattività agli stimoli. Quindi abbiamo ridotto leggermente la sedazione per vedere se fosse sostituibile. È riuscito ad aprire gli occhi e a rispondere a qualche domanda ‘sì’ o ‘no’ sbattendo le palpebre. Siamo stati in grado di spiegargli brevemente la sua situazione, perché si trovi attaccato a un respiratore e così via.”

Jessie non riuscì a parlare subito. L’emozione del momento la colpì in maniera inaspettata e le si formò un nodo in gola. Solo allora si rese conto di quanto in quelle settimane avesse trattenuto l’ansia e il timore. Quello che era appena trapelato nel suo stato cosciente quando si era trovata stanca o frustrata, ora esplose.

“Dice sul serio?” disse. “È fantastico. Perché non mi avete chiamata?”

“Era piuttosto tardi, dopo la mezzanotte. E a essere onesto, lo sforzo sembra averlo distrutto. Dopo circa sei minuti è crollato.”

“Oh. E questa mattina? Si è svegliato oggi?”

“Abbiamo effettivamente diminuito il livello del sedativo circa un’ora fa, nella speranza di provare di nuovo. Per questo motivo l’ho fatta chiamare. Spero che se riprenderà conoscenza e lei è qui, magari potrebbe comunicare un po’ di più.”

“Certo,” disse Jessie. “Quanto ci vorrà?”

Il dottor Badalia guardò nella stanza.

“Che ne dice di adesso?” le propose. “Pare che stia tentando di svegliarsi mentre parliamo.”

Jessie si voltò e vide che effettivamente Ryan stava cercando di aprire gli occhi. Sembrava una lotta, come se le palpebre fossero incollate e lui stesse tentando di aprirle con tutta la sua forza di volontà. E sembrava pian piano funzionare. Tornarono nella stanza.

“Ryan,” disse il dottor Badalia. “C’è una persona che è venuta a trovarti.”

Con gli occhi socchiusi, Ryan guardò Jessie che attraversava la stanza e andava verso di lui per poi prendergli la mano destra.

“Ehi, tesoro,” sussurrò. “È bello vederti sveglio. Puoi sentirmi?”

Sembrava stesse tentando di annuire. Ma che fosse per l’enorme tubo che aveva in bocca o per mancanza di forza, non ci riusciva.

“Un colpo di ciglia per sì e due per no,” gli ricordò il dottor Badalia.

Ryan batté le palpebre una volta. Jessie diede un colpo di tosse per mascherare il singhiozzo di gioia che le era salito alla gola.

“So che la situazione è pesante,” gli disse. “Ma ti tireremo fuori di qui. Ci vorrà solo un po’ di pazienza, ok?”

Ryan batté ancora le palpebre. Il dottor Badalia si avvicinò.

“Ryan, avresti voglia di provare un piccolo esercizio?”

Annuì con un battito.

Jessie si sentì leggermente irritata. Aveva sperato di avere un po’ di tempo per parlare privatamente con Ryan. Ma mise da parte il disappunto. L’esercizio era di certo più importante. Il dottor Badalia continuò.

“Chiederò a Jessie di posare il suo palmo sotto al tuo. Poi ti chiederò di alzare un dito specifico. Ti sembra ok?”

Ryan batté le palpebre. Jessie gli lasciò andare la mano e posò la propria sul materasso con il palmo rivolto verso l’alto. Poi vi mise sopra quella di Ryan. Lo guardò e sorrise. Lui rispose socchiudendo un poco gli occhi, segno che stava tentando di ricambiare il sorriso.

“Vorrei che provassi a sollevare il dito indice. Ci riesci?”

Dopo quella che parve una pausa interminabile, Ryan sollevò leggermente il dito, per poi riappoggiarlo subito.

“Fantastico, Ryan. Ora pensi di poter fare lo stesso con il mignolo?”

Ryan strizzò gli occhi e Jessie sentì il suo palmo che premeva debolmente contro la sua mano, mentre riusciva ad alzare di un millimetro il dito, prima di abbandonarlo di nuovo giù.

“Stai andando davvero molto bene, Ryan,” gli assicurò il dottor Badalia. “Possiamo provare un altro esercizio?”

Ryan sbatté le palpebre.

“Ok, questo è un po’ più difficile. Vorrei che provassi a piegare tutte le dita della mano, in modo da formare un pugno. Quando te la senti.”

Jessie sentì la mano di Ryan che tremava leggermente nello sforzo di piegare le dita per chiuderle in un pugno. Ma non successe nulla. Ryan strizzava gli occhi, chiaramente sotto sforzo. Uno dei monitor che si trovavano a lato iniziò a suonare con ritmo più accelerato.

“Va bene così, Ryan,” disse il dottor Badalia con tono calmante. “Hai dimostrato un grosso sforzo. Arriverà a suo tempo. adesso prenditi una pausa.”

Ma Ryan chiaramente non aveva intenzione di fermarsi. Teneva ancora gli occhi chiusi e il suo palmo stava vibrando sopra alla mano aperta di Jessie. Di colpo aprì gli occhi e Jessie vide che era furioso per la frustrazione. Il segnale acustico del macchinario stava accelerando ancora.

“Ok, Ryan,” disse il dottor Badalia, la voce ancora calma mentre si avvicinava al macchinario. “Pare che ti stai agitando un po’. Quindi ti darò una leggera dose di sedativo per aiutarti a dormire.”

Gli occhi di Ryan scattarono verso Jessie. Lui parve andare nel panico, come se la stesse silenziosamente implorando di non permetterlo.

“Va tutto bene tesoro,” gli disse lei, cercando di nascondere l’angoscia che provava dentro. “C’è solo bisogno di tempo. Riposati un po’. Possiamo riprovarci dopo.”

Lui batté le palpebre due volte, fece una pausa e poi provò di nuovo. E poi ancora. Solo al quarto disperato tentativo di dirle che non voleva essere sedato, il farmaco iniziò a fare effetto. I movimenti delle palpebre rallentarono e poi si fermarono del tutto. Gli occhi rimasero chiusi.

Jessie guardò il dottore mentre si asciugava le lacrime.

“Parliamo fuori,” le disse lui con tono cortese. “Non si sa mai quanto possano sentire.”

Jessie lo seguì lungo il corridoio, fino alla sala d’attesa, dove entrambi si sedettero.

“Come se la sta cavando?” le chiese.

“Tiro avanti,” rispose lei rapidamente. “Non serve che mi tiri su il morale o che tenti di indorare la pillola, dottore. Mi dica semplicemente a che punto siamo.”

“Ok. Quello che abbiamo appena visto è promettente. So che Ryan alla fine è rimasto frustrato. Ma avere anche una minima mobilità a questo punto, considerato quello che ha passato, è un segno positivo. Detto questo, ha davanti a sé una strada lunga e difficile. Anche se non ci sono danni a lungo termine, solo il fatto di restare allettato e attaccato a un respiratore artificiale per così tanto tempo può essere debilitante. Avrà bisogno di un sacco di terapia fisica per riacquistare le funzioni motorie di base. Camminare sarà una sfida enorme. Potrebbero volerci mesi. E oltre a questo potrebbe ritrovarsi con danni permanenti alle corde vocali.”

Jessie sospirò ma non disse nulla, quindi il dottor Badalia proseguì.

“Questo è lo scenario migliore che possiamo aspettarci. Ma deve prepararsi anche ad altri risvolti. Potrebbe accusare altri danni che ancora non siamo in grado di accertare.”

“Tipo che cosa?”

“Tipo dei danni al sistema nervoso causati dalla ferita del coltello. E potrebbero anche esserci danni permanenti ai polmoni. Alcune persone si riprendono del tutto da cose del genere. Altre richiedono assistenza costante: bombole di ossigeno, tubi per respirare, cose del genere. E c’è sempre la possibilità che abbia sofferto dei danni cerebrali.”

Jessie lo guardò stupefatta. Era la prima volta che le dicevano una cosa del genere.

“Ha notato segni che possano indicare una cosa simile?”

“A questo punto è ancora troppo presto per dirlo. So che lei ha prestato le prime misure di soccorso dopo che è stato aggredito, ma c’è stato un certo tempo durante il quale ha avuto accesso limitato all’ossigeno. Le sue reazioni di ieri notte e di adesso si mostrano promettenti. Sembrava capire quello che stavamo dicendo, reagendo di conseguenza. Ma gli abbiamo fatto delle domande facili e gli abbiamo chiesto di eseguire dei compiti semplici. Ci vorrà un po’ per poter testare possibili perdite di memoria o danni alle funzioni principali del cervello.”

“Perdite di memoria?” ripeté Jessie. I colpi continuavano a succedersi.

“Sì. A volte le ferite da trauma, il coma indotto o la privazione di ossigeno possono portare a perdita della memoria a breve termine o addirittura permanente. Lui ha subito tutte e tre le situazioni, quindi non possiamo escluderlo.”

 

Jessie rimase seduta in silenzio, cercando di elaborare tutte le terribili notizie.

“Senta, mia ha chiesto di non indorarle la pillola, e così ho fatto. Ma nessuno di questi risultati è assicurato. Potrebbe tornare in piena forma e come nuovo in un tempo che va da otto a dodici mesi.”

“Oppure?” insistette Jessie, con la netta sensazione che non fosse finita lì.

“Oppure potrebbe avere bisogno di cure costanti e permanenti in una struttura di degenza a lungo termine. E rimane sempre la possibilità che torni indietro e ci porti ad affrontare lo scenario peggiore. Attualmente ci troviamo in un momento molto labile.”

“Wow,” disse Jessie, scuotendo la testa incredula. “Sono riuscita a tenergli la mano e a guardarlo negli occhi. Diciamo che non pensavo che le cose prendessero una svolta così negativa.”

Rimasero entrambi in silenzio per un momento.

“Signorina Hunt, posso darle un piccolo consiglio?”

Jessie sollevò lo sguardo. Il volto normalmente severo del medico si era leggermente ammorbidito.

“Certo.”

“So qual è il suo lavoro, quindi so che è abituata a lavorare in modo metodico sulle problematiche che le si presentano, trovandosi sempre con un certo livello di controllo sulla situazione. In quanto medico, anch’io conosco quella sensazione. Ma la verità è che in questo caso il controllo che abbiamo è davvero minimo. Lei può venire qui, dargli sostegno e comunicare a Ryan tutto il suo amore e la sua presenza. Ma a questo stadio del processo, non le farà bene preoccuparsi di ciò che potrebbe accadere. È fuori dal suo controllo. E tutta la preoccupazione non farebbe che stancarla, impedendole di essere qui per Ryan nel modo in cui lui ne ha bisogno.

“Quindi ecco il mio consiglio: quando sta con lui, sia pienamente presente in quel momento. Ma quando non è qui, faccia la sua vita. Esca con gli amici. Si beva un bicchiere di vino. Faccia una passeggiata. E non si senta in colpa per questo. Quei momenti di stacco la aiuteranno ad avere la forza per essere presente per lui quando ne avrà davvero bisogno. Nella mia esperienza, prendersi cura di sé è davvero il modo migliore per prendersi cura degli altri.”

Le sorrise, quasi con calore.

“Grazie, dottore,” gli rispose Jessie.

“Si figuri. Ora devo andare, ma mi farò sentire.”

Detto questo, se ne andò dalla sala d’aspetto. Jessie rimase ferma lì, guardandosi attorno con occhi assenti. C’erano cinque o sei altre persone, tutte con la stessa espressione attonita che era certa di avere anche lei. Si chiese per un secondo quale orrore personale li avesse portati lì. C’era qualcuno di loro che nel corso della stessa settimana aveva perso il suo mentore e poi quasi anche la propria anima gemella? Prima di poterci rimuginare sopra di più, il suo telefono suonò. Era il capitano Decker, il suo capo fino a tre giorni prima. Rifiutò la chiamata e si alzò per andare verso il parcheggio.

Stava entrando in auto quando le arrivò la notifica di un messaggio in segreteria. Era tentata di cancellarlo senza ascoltare, ma non riuscì a farlo. Sarebbe stato fortemente maleducato, e poi in parte era curiosa di sapere cosa volesse da lei. Si mise in ascolto.

“Ciao Hunt. Spero tu stia bene. Ho in programma di passare in ospedale oggi pomeriggio per fare una visita a Hernandez. Ho sentito che si è svegliato per qualche minuto ieri notte. È una cosa positiva. Ma non è il solo motivo per cui ti chiamo. So che ci hai lasciati appena venerdì e mi scuso se mi permetto anche solo di chiedertelo, ma ho bisogno del tuo aiuto. Mi è appena capitato per le mani un caso enorme, incredibilmente di alto profilo. In condizioni normali lo avrei assegnato a Hernandez. Ma dato che non è disponibile, lo dirotterò su Trembley, che non ha mai avuto un caso così imponente. E il dipartimento scarseggia in maniera impressionante di profiler qualificati, senza te e senza, beh… Moses. Se potessi darmi una mano con questa cosa, anche solo a livello di consulenza, te ne sarei eternamente grato. Fammi sapere.”

Jessie cancellò il messaggio, mise via il telefono e uscì dal parcheggio.

Le dispiaceva per Decker, ma ci sarebbe sempre stato un grosso caso da risolvere. Per la propria salute mentale, lei aveva smesso di occuparsene.

E poi adesso aveva un altro compito su cui concentrarsi, un compito che temeva da un po’.

Купите 3 книги одновременно и выберите четвёртую в подарок!

Чтобы воспользоваться акцией, добавьте нужные книги в корзину. Сделать это можно на странице каждой книги, либо в общем списке:

  1. Нажмите на многоточие
    рядом с книгой
  2. Выберите пункт
    «Добавить в корзину»