Non resta che nascondersi

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Из серии: Un thriller di Adele Sharp #3
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CAPITOLO TRE

Mentre entrava nell’ufficio dell’agente Grant, Adele fu sorpresa di vedere la signora Jayne seduta davanti alla scrivania, le mani intrecciate sopra a un ginocchio in misurata e paziente posa d’attesa. Adele esitò e cercò di non aggrottare la fronte per la confusione. Si guardò attorno nella stanza, aspettandosi quasi di vedere apparire anche il direttore Foucault. Ma questa volta non c’era segno del capo francese del DGSI.

La signora Jayne invece lavorava per l’Interpol. Era una donna di una certa età, con occhi luminosi e intelligenti dietro a un paio d’occhiali con la montatura in osso. Aveva i capelli argentati e una corporatura un po’ più pesante della media tra gli agenti sul campo. Adele sapeva per esperienza che la signora Jayne parlava con un accento che lasciava intendere la sua impeccabile padronanza della lingua inglese, che però non sembrava essere la sua lingua madre.

Adele si chiuse la porta alle spalle e si addentrò nell’ufficio dell’agente Grant. Se la signora Jayne aveva ritenuto opportuno venire lì di persona, avevano effettivamente qualcosa per le mani.

L’agente Grant si schiarì la gola dietro alla sua scrivania. La sovrintendente di Adele si passò una mano tra i capelli di media lunghezza e premette le labbra tra loro assumendo un’espressione severa. Aveva solo qualche anno più di Adele, ma c’erano delle rughe premature attorno alla bocca e agli angoli degli occhi. Lee Grant aveva preso il suo nome dai due generali della Guerra Civile ed era ben conosciuta nell’ufficio operativo di San Francisco per le sue incursioni fuori dall’edificio per recarsi di persona sulle scene del crimine ogni qualvolta le capitava l’opportunità o la scusa per sgranchirsi le gambe. Adele sospettava che in segreto l’agente Grant sentisse la mancanza del lavoro sul campo. E anche se non l’avrebbe mai detto, era certa che le abilità della Grant fossero sprecate dietro a una scrivania.

“Sharp,” disse la donna, facendole un cenno di saluto da dietro la scrivania.

“Agente Sharp,” disse la signora Jayne annuendo e facendo così oscillare il suo caschetto di capelli tagliati in modo impeccabile.

“Signora Jayne,” disse Adele con tono esitante. Non aveva mai saputo il nome proprio della donna. Fece poi un cenno di saluto anche alla Grant. “Come posso esservi di aiuto?”

Aspettò, permettendo al silenzio di prendere spazio tra loro mentre le due donne di grado superiore si scambiavano un’occhiata. Poi l’agente Grant spezzò il silenzio. “Abbiamo una situazione… complessa e delicata.”

Gli occhi della signora Jayne si stinsero quasi impercettibilmente dietro ai suoi occhiali. Una breve incrinatura del suo aspetto perfetto e compunto, ma Adele la colse prima che la donna riassumesse la consueta espressione placida, animata dai suoi occhi vivaci.

“Delicata?” chiese Adele. “”Beh, qualsiasi cosa mi abbia tirata via dal mio lavoro cartaceo…” Ridacchiò debolmente, ma vedendo che la battuta non veniva accolta, fece nuovamente silenzio.

“La gente del luogo,” iniziò la signora Jayne con il suo normale tono preciso e netto, “pensa che si tratti dell’attacco di un orso bruno.”

Adele tentò un altro sorriso, ma abbandonò ancora una volta il fiacco tentativo di alleggerire l’atmosfera. “Non sapevo che ci fossero orsi bruni a San Francisco,” disse.

L’agente Grant scosse la testa. “Nelle Alpi.”

“Nelle… nelle Alpi?”

“Una grande catena montuosa che si allunga toccando otto Paesi europei,” spiegò l’agente Grant.

“Oh, ehm, sì, no… cioè sì. So cosa sono. Quindi c’è un caso nelle Alpi?”

Adele pensò ai messaggi di Angus. Pensò al proprio desiderio di mettere radici. Ma allo stesso tempo un leggero brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. Questa volta fece fatica a trattenere il sorriso che minacciava di incurvarle le labbra.

“Sì,” disse l’agente Grant. “Come ho detto, la gente del posto pensa che si tratti dell’attacco di un orso. Una ricca coppia italiana in vacanza in una località sciistica. Entrambi esperti provetti nello sci alpinismo. Entrambi trovati morti, dilaniati.”

Adele annuì. “Ma non un orso?”

La Grant si voltò a guardare l’altra donna nella stanza. La signora Jayne teneva le mani intrecciate sopra al ginocchio e scrutò Adele da dietro i suoi occhiali. “Quelli della squadra di ricerca e soccorso locale hanno accennato ai media la possibilità di un orso bruno. Per ora restano su quella pista.”

Adele annuì. L’inglese della signora Jayne – come sempre – era perfetto, anche se netto e sterile. La corrispondente dell’Interpol continuò. “Al momento stiamo consentendo a questa storia di tenere testa. Per ora.”

“Ma sapete che non si tratta di un orso?” Adele esitò. “Perché la copertura?”

“Nessuna copertura,” disse la signora Jayne. I suoi occhi si socchiusero ancora una volta, appena un secondo, dietro ai suoi occhiali, ma di nuovo il gesto era sparito prima che una qualsiasi persona media potesse notarlo. Adele però passava molto del suo tempo a stare attenta ai dettagli. L’irritazione della signora Jayne non passò inosservata per lei. Ma rimase in silenzio, permettendo alla donna di continuare. “Una situazione delicata,” disse l’inviata dell’Interpol, ripetendo le parole usate dalla Grant. “Una benestante coppia italiana muore in Germania. E dati i collegamenti politici della coppia in Italia, beh… può capire perché l’Interpol voglia gestire la cosa con attenzione, per la soddisfazione di tutte le parti coinvolte.”

“Sono… sono confusa,” disse Adele, percorrendo lentamente con le dita il bordo della scrivania della Grant. Tenne gli occhi bassi, ascoltando ma senza più guardare, seguendo la leggera striscia di polvere rimossa dal lato del tavolo. “Avete detto che questa cosa ha a che vedere con le Alpi. Non un solo resort, non una sola montagna. Ma la catena montuosa… Giusto?”

La signora Jayne annuì. “Sì. Buon intuito. Gli italiani non sono stati l’unico fatto. È sparita un’altra coppia. Svizzeri. A circa trecento chilometri da lì. Una settimana fa: non li abbiamo ancora trovati.”

“E mi faccia indovinare: anche loro nelle Alpi?”

“Esatto. Le Alpi francesi, per l’esattezza.”

Adele resistette all’urgenza di sospirare e fece del proprio meglio per mantenere la propria espressione e respirare in maniera neutra. “Capisco… e lei è venuta qui di persona perché…?”

La signora Jayne stese le gambe, prima accavallate, e posò entrambi i piedi delicatamente sul pavimento. Poi si chinò in avanti e fissò Adele negli occhi. “Non si vedono collegamenti tra la coppia di italiani e quella di svizzeri, a parte il luogo dove sono scomparsi, e pure in quel caso c’erano un bel po’ di chilometri tra loro. Eppure…”

“Mi lasci indovinare: anche la famiglia svizzera di cui stiamo parlando era ricca e importante?” chiese Adele.

La signora Jayne annuì con decisione. “È importante che la cosa venga gestita con discrezione. Ci sono già troppi galli a cantare. Non vorremmo rischiare che non venisse mai giorno.”

“Immagino che lei non sia venuta qui a parlare di galline, comunque.”

L’agente Grant sbuffò leggermente e Adele alzò gli occhi, incrociando lo sguardo della sua sovrintendente. “Stanno cercando un altro gallo,” disse la Grant con un cenno del capo in direzione della signora Jayne.

Questa volta Adele si lasciò andare a un sospiro, anche se cercò di mascherarlo con uno sbadiglio, che subito però considerò essere ancora meno appropriato. Si affrettò quindi a chiedere: “Allora volete che vada sulle Alpi a indagare su un caso di persone scomparse, non collegate tra loro, dove il colpevole potrebbe essere a sua volta congelato, o in alternativa un grizzly famelico?”

La signora Jayne si alzò lentamente in piedi, sistemandosi l’abito fatto su misura. “Orso bruno. E abbiamo forti motivi per credere che le uccisioni non abbiano niente a che vedere con gli animali selvatici. Non sarei venuta qui se non fosse stato così importante. Bene, signorina Sharp, possiamo contare sul suo aiuto?”

Adele inarcò un sopracciglio voltandosi a guardare l’agente Grant che sbuffò e annuì. “Non ho voce in capitolo. I piani alti hanno già confermato. Decisione tua, Adele.”

C’era qualcosa di significativo nell’occhiata che la Grant le lanciò mentre aspettava. Adele la fissò, ma poi distolse lo sguardo. Un altro caso. Altro viaggio. Avrebbe avuto tutto il diritto di rifiutare…

E poi?

Tornare alle scartoffie? Ad Angus? Alla sicurezza.

Era davvero così male?

“Per favore,” disse la signora Jayne. E per la prima volta, Adele scorse una nota di disagio nella voce della donna. Si trattava di un caso personale per la corrispondente dell’Interpol? Perché quell’emozione?

Adele esitò, ma poi guardò l’agente Grant dritta negli occhi. “Se trovi qualcun altro per completare i moduli a cui stavo lavorando, ci sto.”

Gli occhi della Grant si socchiusero, e diversamente dalla signora Jayne, la donna non fece nessuno sforzo per mascherare la sua irritazione. Ma alla fine fu il suo turno di sospirare. Poi agitò una mano in aria, indicando la porta. “Ogni tuo desiderio è un ordine. E poi, il tuo volo è già prenotato.”

CAPITOLO QUATTRO

Adele si diresse verso il parcheggio del terzo piano con una leggera corsa. Erano passati più di due mesi da quando era stata all’estero l’ultima volta. Il suo passo era sicuro e, nonostante la struttura fosse coperta, le sembrava di avere il vento tra i capelli. Le radici potevano aspettare: ora che le si era presentata l’opportunità, Adele provava un leggero sollievo all’idea di viaggiare. Una distrazione dalle riflessioni sulla sua vita e il luogo dove trascorrerla? Forse, o forse certe persone semplicemente non erano fatte per stare ferme e radicate nello stesso posto troppo a lungo.

 

Si schiarì la gola e si sistemò le maniche della camicia mentre due colleghi le passavano accanto, passò attraverso la porta scorrevole in vetro portandosi davanti ai metal detector e alle guardie appostate. Adele salutò con un cenno del capo, ma poi si portò rapida verso il retro della struttura del parcheggio, doveva aveva lasciato la sua berlina.

E inchiodò di colpo.

C’era una persona accanto alla sua auto.

Avvicinò la mano con titubanza all’arma di servizio che teneva al fianco, ma le sue dita si impietrirono non appena riconobbe la silhouette dai capelli ricci. Si stava allenando: aveva le braccia più grosse di almeno un paio di centimetri da quando l’aveva visto l’ultima volta, e il giro vita un paio di centimetri più stretto. Lo guardò dalla testa ai piedi, godendosi per un secondo la scena prima di rendere nota la propria presenza.

“Angus?” lo chiamò.

L’ex-fidanzato si girò di scatto e la guardò. Non portava neanche più gli occhiali. Lenti a contatto? Intervento al laser? Aveva i capelli più lunghi di quanto lei ricordasse e aveva una nuova cicatrice, appena visibile, sul labbro superiore.

“Oh cavolo, ciao… Adele,” disse, schiarendosi la gola. In passato la chiamava spesso con dei nomignoli, ma ora pronunciò il suo nome scandendolo con precisione, come se timoroso di esserselo dimenticato.

“Cosa ci fai qui?” gli chiese senza rispondere al suo saluto.

Angus spostò il peso da un piede all’altro, a disagio, appoggiandosi poi al cofano dell’auto. Adele lanciò un’occhiata severa al punto in cui si era seduto, quindi lui tossì e si risollevò dalla macchina, alzando le mani in segno di scuse. “Oh, scusa… ehm, scusa,” disse rapidamente. “È solo che… ero in zona e volevo assicurarmi che…”

“Ho ricevuto i tuoi messaggi.”

“Oh…” Si interruppe. “Oh,” ripeté con voce ferita.

Adele inspirò dal naso, cercando di ricalibrare la propria concentrazione e passare dai pensieri riguardanti una serie di omicidi tra le Alpi al suo impacciato ex-fidanzato. “Senti, Angus. Non ti stavo ignorando. Ero sommersa di lavoro. Non potresti mai credere alla quantità di carte da compilare che mi hanno messo sulla scrivania.”

Angus annuì, continuando a mostrare un’espressione ferita negli occhi. “Capisco,” disse lentamente. Alzò lo sguardo al cielo del pomeriggio che si apriva sopra al terzo piano del parcheggio. Poi sollevò una borsa di carta marrone. “Ti ho portato una cosa. Ce l’avevano nel negozio accanto al lavoro. Beh, a dire il vero era qualche isolato più in là. Ho dovuto girare un po’ di negozi per trovarlo… Ma, sì, ecco qua.”

Le rivolse un sorriso sghembo e spinse la borsetta di carta verso di lei.

Con riluttanza Adele accettò il dono, se non altro per calmare Angus. Sbirciò dentro al sacchetto e parte del suo sorriso divenne autentico. “Oh, Angus,” disse, con voce sommessa e triste. “Non avresti dovuto.”

“Ricordo che sono i tuoi preferiti… giusto? Li mangiavi ogni mattina. Anche a me piacciono i cereali al cioccolato, ma… ahah, mai quanto a te.” Indicò con un cenno del capo la scatola di cereali Chocapic. “Sono tedeschi, giusto?”

Adele abbassò la scatola, stringendo la borsa di carta con la stessa mano che prima si era mossa verso il fianco, quando aveva scorto una presenza accanto all’auto. Angus ovviamente sapeva della sua tripla cittadinanza: americana da parte di padre, francese da parte di madre e tedesca sulla base della nuova residenza della sua famiglia. Ma anche se lo sapeva, l’attenzione di Angus la colpì. Un’attenzione a volte troppo accentuata, e a volte – secondo la sua tacita opinione – rivolta a troppe persone. Sapeva che questo la rendeva egoista, ma ad Adele piaceva essere in qualche modo l’unica a fare breccia nel lato più tenero del suo compagno. Angus invece era come un labrador: mostrava la pancia a tutti. Crescendo, Adele aveva sempre preferito i pit-bull. Affidabili, intelligenti e ferocemente leali, ma solo a una persona.

“Francesi,” gli disse.

“Come scusa?”

“I cereali. Sono francesi. Non importa. Grazie, Angus. Ma di certo non sei venuto fino a qui per darmi una scatola di cereali per la colazione.”

Angus si grattò la nuca, arruffandosi i capelli ricci. Adele poteva notare i segni degli occhiali sul naso, ora non più tanto evidenti, forse ridotti a semplici segni del sole. Accennavano a un passato, a un ricordo.

“Volevo… volevo parlare,” le disse con cautela. “Sto pensando tantissimo… e mi sono davvero preso del tempo…” Iniziò a parlare più velocemente, con tono più alto, raccogliendo il coraggio come se avesse già provato prima quelle parole.

Adele lo guardò con pazienza, in silenzio, permettendogli di parlare ma temendo ciò che sarebbe venuto poi. Voleva tornare insieme a lei? Cos’era questa storia? E lei voleva davvero saperlo?

Radici. Le radici erano la sicurezza. Le radici erano affidabili, certe. Le radici erano una casa, un posto dove tornare.

Adele guardò oltre la parete del parcheggio e scrutò l’orizzonte, il cielo lontano. Una debole vocina – una parte di lei che fingeva di non possedere – le stava dando la sua opinione. Le radici erano una restrizione. Le radici erano come catene. Le radici ti tenevano in trappola.

“Senti, Angus,” gli disse, interrompendolo a metà frase. “Possiamo parlare. Ti prometto che parleremo. Ma ora non è un buon momento.”

Il volto di lui si fece mesto mentre lei gli passava oltre, diretta all’auto. Aprì la portiera e gettò la borsa con i Chocapic sul sedile posteriore. Si voltò e gli sorrise tristemente, sussultando. “Te lo prometto,” ripeté. “Presto. Sto andando fuori città per lavoro. Quando sarò tornata, ok?”

Angus esitò, la bocca mezza aperta. Era stato davvero sempre carino con lei. L’espressione ferita che aveva in volto la faceva sentire come se avesse appena dato un calcio a un cucciolo. Sentì un graffiante senso di colpa stringerle il petto e cercò disperatamente di cacciare quell’emozione. Sapeva, guardandolo, che se si fosse fermata più a lungo avrebbe cambiato idea. Si sarebbe fermata ad ascoltarlo. E poi… le parole avevano il loro modo di convincere le persone. E Adele non era sicura di volersi lasciare convincere. E poi era stato lui a lasciarla. Solo perché lui aveva risolto i suoi problemi, non significava che dovesse valere la stessa cosa per lei.

Con movimenti rapidi, montò in auto, lanciò un altro sorriso dispiaciuto al suo ex e fece per chiudere la portiera. L’opprimente senso di solitudine, di colpa, di confusione la inseguirono fin dentro l’abitacolo e le spinsero le parole fuori dalla bocca. “Più avanti, promesso. Mi spiace, Angus. Davvero, voglio parlare sul serio. Ma non adesso, ok?”

Lui annuì, un’espressione triste negli occhi. “Scusa, Adele. Non avrei dovuto venire qui, hai ragione. La prossima settimana va bene?”

Lei fece una pausa e le si strinse lo stomaco. “Il lavoro mi richiederà un po’ di tempo. È in Europa. Quando torno ti faccio sapere. Sul serio. Ti faccio sapere.”

E detto questo, accese il motore e liberò il posto macchina, salutando Angus con la mano mentre usciva e si allontanava. Mentre lasciava l’edificio, si rifiutò di guardarsi alle spalle e tenne gli occhi fissi davanti a sé, evitando con tutta se stessa di sbirciare nello specchietto retrovisore.

C’era un assassino nella Alpi. forse un serial killer. Due coppie scomparse, a distanza di trecento chilometri l’una dall’altra. Priorità. Doveva concentrarsi. Adele strinse il volante, cacciando via dalla propria mente i pensieri di Angus e facendo un elenco di tutto ciò che le sarebbe servito per il viaggio. Mentre guidava, uscita dal parcheggio, iniziò a prendere velocità e un sorriso le curvò le labbra.

La caccia aveva inizio.

***

Prima classe, niente scali. Questa era vita. O almeno lo sarebbe stata senza le immagini sanguinolente della carneficina, ora disposte sul tavolino reclinabile davanti a lei. Adele studiava le foto della scena del crimine, ascoltando il ronzio dei motori del jet e alzando lo sguardo di tanto in tanto per assicurarsi che non ci fossero hostess di passaggio. Aveva imparato nel modo più duro, qualche anno prima, quale impatto avessero quelle foto sul pubblico in generale.

Far svenire un’altra assistente di volo durante la traversata atlantica? Meglio di no.

Adele si spostò, scivolando lungo lo schienale imbottito per schermare alcune delle foto da sguardi indiscreti. Il signore e la signora Beneveti erano stati trovati due giorni fa, i pezzi sparpagliati tra gli alberi. Il signore e la signora Hanes, coppia svizzera, erano scomparsi quasi una settimana prima di allora, e non erano ancora stati rintracciati.

Qualche centinaio di chilometri separava le due coppie scomparse. Unici collegamenti tra loro: benestanti, influenti, nelle Alpi.

Adele corrugò la fronte e allungò una mano, prendendo un sorso della sua acqua ghiacciata per poi rimettere il bicchiere al suo posto. Emise un lungo respiro, il cui suono andò a perdersi tra le vibrazioni della ventola del condizionatore sopra alla sua testa. Tamburellò con le dita sul bordo del tavolino, piegando una delle foto che si rifiutava di stare dritta e piatta.

“L’attacco di un orso?” mormorò tra sé e sé, permettendo alla domanda di permeare l’atmosfera circostante.

Non sembrava che fosse così. Non secondo il rapporto preliminare, anche se stavano ancora aspettando il medico legale. Eppure una rapida ricerca online rendeva palesemente chiaro che il pubblico era ancora convito che gli orsi bruni fossero tornati a popolare le Alpi. Ma non c’erano segni di morsi, e alcune porzioni di corpo che sembravano aver subito la furia di artigli, potevano essere stati facilmente ridotti in quello stato da un’ascia o da una piccozza. Alcuni dei tagli erano slabbrati. Giusto… un’ascia arrugginita magari. Un machete poco affilato?

Adele sussultò al pensiero dei due abbracciati tra i boschi gelidi, usciti per una gita in giornata e finiti da…

Da cosa? da chi?

Adele scandagliò ancora le foto, catalogando le informazioni. C’erano agenti dell’FBI molto più svegli di lei, altri che erano più precisi e altri ancora con un ottimo talento naturale. Ma ce n’erano pochissimi che lavorassero sodo quanto lei, che prestassero la medesima attenzione al dettaglio.

Il diavolo stava nei dettagli. E a quanto pareva anche nelle Alpi.

CAPITOLO CINQUE

Il veicolo che avevano mandato a prenderla accostò fuori dal Wolfsschluct Resort e, ringraziato l’autista, Adele uscì dall’auto, felice di poter allungare le gambe e inspirare un po’ di aria fresca. Dall’interno l’autista la chiamò. “Le servono indicazioni?”

Adele si guardò alle spalle e scosse la testa. “No, grazie. Viene una persona a prendermi qui.”

L’autista la salutò, voltandosi a guardare la strada. Adele recuperò il suo bagaglio: non le era mai piaciuto faro fare agli autisti, anche se alcuni agenti lo consideravano un privilegio.

Con il trolley su ruote stretto in una mano, rimase ferma alla rotonda al centro del resort. Quando aveva sentito nominare la prima volta il Wolfsschluct Resort, si era inizialmente figurata un albergo con un paio di piste da sci, magari una o due piscine interne. Ma ciò che aveva davanti adesso sembrava più un intero villaggio spruzzato di neve e circondato da ogni lato dallo scenario più candido e immacolato che Adele avesse mai visto.

Mentre stava sul bordo della rotonda, subito sotto il marciapiede dell’hotel più grande, osservò la serie di vetrine azzurre e i pittoreschi edifici disposti lungo la strada che portava al valico montano, dove si ergevano delle baite e altre ali dell’hotel, il tutto circondato dalle cime innevate e da un po’ di vegetazione disseminata qua e là. C’era addirittura una chiesetta di pietra e una torre idrica dove si leggeva il nome del resort.

Suo padre l’avrebbe definito un momento divino. La bellezza era di per sé ipnotica: la perfetta fusione di sforzo umano e arte naturale.

Adele guardò la sua valigia mentre rimetteva in ordine i pensieri, cercando di concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì.

“Salve!” la chiamò una voce dall’interno dell’hotel che aveva davanti. L’edificio sembrava essere fatto più di vetro che di muri, come se gli architetti non avessero voluto sprecare nessuna opportunità per mettere in bella vista le bellezze delle Alpi.

Adele si voltò verso le porte scorrevoli che si erano aperte lasciando apparire una giovane donna sulla ventina che si fermò sulla soglia e la salutò allegramente con la mano.

Adele sorrise, riconoscendo la ragazza. Aveva i capelli molto più corti dell’ultima volta che si erano incontrate. Quasi rasati a dire il vero. Tutto in lei suggeriva pulizia e ordine. Indossava un abito nero e un paio di stivali che sembravano luccicare per la buona dose di cera applicata. Aveva gli occhi svegli e vivaci e agitò la mano per salutarla, anche se poi interruppe il movimento a mezz’aria facendole un cenno con la testa, forse temendo che il suo entusiasmo potesse essere considerato poco professionale.

 

“Salve,” le disse di nuovo mentre Adele si avvicinava, portandosi sul marciapiede e prendendo la valigia in una mano e la borsa del portatile nell’altra. “Sono l’agente Beatrice Marshall,” disse, chinando in segno di saluto la testa rasata. Parlava un inglese quasi perfetto, con un leggerissimo accento tedesco.

Adele rispose al saluto. “Lo so,” le disse, sempre in inglese. “Abbiamo già lavorato insieme.”

Il sorriso dell’agente Marshall ricomparve. “Ricordo! Ma non ero sicura che te ne ricordassi anche tu, agente Sharp. È un piacere lavorare di nuovo con te.”

“Idem per me. Allora…” Il tono di Adele si fece più cupo mentre lei si soffermava un secondo sulla soglia del lussuoso hotel. L’atrio era una combinazione di travi in legno laccato e pietra naturale. Una piccola cascata sgorgava in delicati zampilli riversandosi in un laghetto vicino al banco della reception. Un uomo in uniforme bordeaux e oro salutò educatamente con un cenno della testa le due donne, ma poi riportò l’attenzione al computer del check-in.

“Allora…?” ripeté l’agente Marshall. “Posso mostrarti la tua stanza se vuoi.”

Adele si fermò. “Sarebbe perfetto. Questo è il resort dove alloggiava la coppia scomparsa, giusto?”

L’agente del BKA arricciò il naso e annuì. “Sono stati trovati ad appena tre chilometri da qui da una delle squadre di salvataggio montano. Sono qui in attesa, se ti va di parlarci.”

Adele ci rimuginò sopra, mordendosi il labbro, ma poi decise per il no. “A breve magari. Ma vorrei mettermi in contatto con il DGSI e fare qualche chiamata, se non è un problema.”

“L’agente Renee!” esclamò la giovane. “Ricordo!”

Adele si accigliò. “Non solo John, ehm, l’agente Renee. Ci sono altre persone con cui ho bisogno di parlare.”

“Certo, sì, certo. Non volevo alludere a niente.”

Adele si accigliò di più e l’agente Marshall parve rendersi conto che stava avanzando su un campo minato. “Bene che sei arrivata ben attrezzata per il tempo,” disse, indicando il giaccone di Adele. “Ovviamente l’albergo è confortevole. Ti mostro la stanza, ok? Il personale è stato avvisato di non disturbarti e di evitare la tua camera. Abbiamo una chiusura temporanea sui lettori delle keycard per evitare ogni sorta di ficcanaso.”

Adele seguì la giovane agente passando accanto alla piccola cascatella in direzione di una scala in pietra e lucido legno intagliato.

Anche la sua camera era una combinazione di vetro e legno, con una magnifica veduta sulle vallate e i precipizi. I suoi occhi si soffermarono sulle montagne innevate e le foreste imbiancate mentre posava la valigia accanto a letto e tirava fuori il telefono.

Scorse la rubrica fino al numero di John, si accigliò un momento e decise invece di chiamare Robert.

Nessuna risposta.

Adele sbuffò impaziente e tornò al numero di John, schermando il telefono con il corpo in modo da tenerlo nascosto all’agente Marshall che stava accanto alla porta in paziente attesa. Mormorando tra sé e sé, Adele si portò il telefono all’orecchio e aspettò che John rispondesse.

Dopo qualche squillo, udì un fruscio e poi la voce dell’agente Renee in un francese forte e iracondo. “Ti ho detto di smettere di chiamarmi. Giuro che vi darò la caccia e farò crollare il vostro impero, mi hai sentito? Non me ne frega un fico secco della vostra crema idratante di merda, e chiunque abbia messo il mio nome sulla vostra rubrica di numeri da chiamare la pagherà cara!”

Poi, prima che Adele potesse dire una parola, John riagganciò, lasciandola ad ascoltare il silenzio. Adele inspirò a fondo dal naso ed espirò dalla bocca, contando lentamente nella propria testa.

Poi ricompose il numero e aspettò, l’impazienza che saliva a dismisura. L’agente Marshall la guardava incuriosita dalla soglia.

“Porca puttana!” iniziò a imprecare John con rabbia. “Pensi che stia scherzando, perché…”

“John, sono io,” disse Adele con tono secco in inglese. “Adele. Taci un minuto.”

Una pausa. Poi si sentì un delicato colpo di tosse e un’altra pausa di imbarazzato silenzio. Poi, con voce chiara e forzatamente calma, ora anche lui in inglese, John disse: “Adele? Che bello sentirti.”

“Lo stesso per me.” Un sorrisino iniziò a incurvarle gli angoli delle labbra, ma poi svanì rapidamente con l’aggrottarsi della fronte. “Aspetta, perché non hai il mio numero memorizzato nel tuo telefono?”

John sbuffò. “Ho solo due numeri su questo telefono. Lavoro e mia madre.”

Adele ruotò gli occhi al cielo, ma a voce alta disse: “Mere cifre. E crema idratante, eh? A che genere di servizi sei iscritto?”

“Divertente. Allora, ho sentito che ti sei beccata un altro caso da questa parte dell’oceano.”

Adele annuì, poi si rese conto che John non poteva vederla e si avvicinò alla finestra che si innalzava dal pavimento al soffitto, appannando con il fiato il vetro mentre fissava il paese delle meraviglie delle Alpi. “Tra i monti, sì,” disse. “A dire il vero è per questo che sto chiamando. C’era una seconda coppia. Svizzeri. Anche loro scomparsi.”

“Gli Hanes, sì,” disse John. “Scomparsi in Francia. Anche loro in montagna.”

Adele si schiarì la gola e inclinò leggermente la testa di lato. “Ah, allora sai già.”

“Non solo so,” disse John, parlando più lentamente ora che dialogavano in inglese. “Ci sto lavorando, con Robert.”

“Davvero? Perfetto. Volevo comunque coordinarmi con il DGSI. Pensi…”

“Beh, a dire il vero, Adele, il direttore vuole che i due casi restino separati. Non vuole mescolarsi con la situazione tedesca. Al momento stiamo trattando i due casi come scollegati.” Ci fu una leggera pausa e un tono dispiaciuto, quasi di scuse, nella sua voce.

Adele scosse la testa. “Non possiamo ancora sapere se siano connessi o meno,” disse. “Certo Foucault questo lo sa.”

Dall’altro capo Renee sospirò, soffiando così forte nel ricevitore che Adele quasi sentì fastidio all’orecchio. Sussultò, ma aspettò che il collega francese continuasse. “Lo so. Lo so. Ma c’è coinvolta la politica.” Disse ‘politica’ come se stesse pronunciando una parolaccia.

“Oh? Che politica?”

“Mettiamola così. Chi è il tuo babysitter?”

Adele lanciò un’occhiata furtiva alla giovane agente tedesca che si trovava sulla soglia. Si schiarì la gola e disse delicatamente: “Una vecchia conoscenza.”

“Giusto. Ma sempre BKA, eh?”

“Affermativo.”

“Ecco la politica. Tu hai gli scarponi del BKA piantati a terra, insieme alla gente del posto, e considerato il nostro caso, i francesi stanno annusando in giro, e anche l’Interpol. Anche gli italiani, mi dicono, vogliono ficcare il naso nelle indagini, vista la nazionalità delle vittime.”

Adele si grattò il mento. “Ah. Allora quali sono le probabilità di coinvolgere il DGSI?” disse, sentendo la speranza che l’abbandonava.

Un altro sbuffo da parte di John. “Fuori discussione. Il DGSI se ne sta alla larga. Foucault ha detto qualcosa tipo tanti galli e niente sole che sorge. Non ho capito. Fondamentalmente, penso mi abbia rivolto una metafora per dirmi che sono un pollo.”

Adele sospirò, passandosi la mano libera sugli occhi e spostandosi lentamente dalla grande vetrata al piccolo cucinino vicino all’ingresso. Prese un bicchiere dallo scaffale più basso e iniziò a versarsi dell’acqua, ruotando però il pomello solo di poco per evitare di fare troppo rumore.

“Ok,” disse quando John ebbe finito. “Ma la coppia svizzera: stai seguendo il caso?”

“Giusto. Io e Robert siamo in coppia. Devo dire che il tuo vecchio capo è quello che i ragazzi di una volta nella squadra avrebbero chiamato un finto addormentato.”

“Un finto addormentato?”

“Non chissà che di facciata, ma fenomenale quando inizi a bazzicarci attorno. Tipo sveglio. Strano. Mi piace.”

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