Assassinio in villa

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Stephen tirò fuori frettolosamente alcuni documenti dalla sua borsa e li mise sul bancone davanti a lei. Diversamente dalle carte del divorzio che aveva fissato incredula in un momento di disincarnato dolore, questi fogli sembravano brillare di promessa, di opportunità. Lacey prese la sua penna, la stessa che aveva usato per firmare i documenti del divorzio, e appose la propria firma.

Lacey Doyle. Commerciante.

La sua nuova vita ora era sancita.

CAPITOLO SEI

Con una scopa in mano, Lacey spazzava il pavimento del negozio di cui ora era orgogliosa affittuaria, il cuore sul punto di esploderle per la contentezza.

Non si era mai sentita così prima d’ora. Era come avere il controllo di tutta la propria vita e del proprio destino, come se il suo futuro fosse ora a portata di mano. I pensieri galoppavano a velocità supersonica, mentre già formulava alcuni grossi progetti. Voleva trasformare la grande stanza sul retro in una sala d’aste, in onore del sogno che suo padre non aveva mai realizzato. Era stata a miriadi di aste lavorando per Saskia (a dire il vero dalla parte dell’acquirente e non del venditore), ma era sicura di poter imparare quello che c’era bisogno di fare. Non aveva mai gestito un negozio prima d’ora, eppure ora era qui. E oltretutto, non c’erano cose che non necessitassero di sforzo per essere conquistate.

Proprio in quel momento vide una figura che passeggiava davanti al negozio e si fermava di colpo, guardandola attraverso la vetrina. Lacey sollevò lo sguardo dal suo lavoro, sperando che si trattasse di Tom, ma si rese conto che la persona immobile davanti a lei era una donna. E non una donna a caso, ma una che Lacey conosceva bene. Magra come un grissino, vestito nero e gli stessi capelli lunghi e ondulati che aveva lei. Era la sua gemella cattiva: la commessa della porta accanto.

La donna entrò nel negozio a grandi passi varcando la porta aperta.

“Cosa ci fai qui?” le chiese.

Lacey appoggiò la scopa al bancone e con sicurezza porse la mano alla donna. “Mi chiamo Lacey Doyle. La tua nuova vicina.”

La donna fissò la mano con disgusto, come se fosse ricoperta di germi. “Cosa?”

“Sono la tua nuova vicina,” ripeté Lacey con lo stesso tono deciso. “Ho appena firmato l’affitto di questo posto.”

La donna reagì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in faccia. “Ma…” mormorò.

“La boutique è tua o ci lavori soltanto?” la incalzò Lacey, cercando di darle il tempo di riprendersi dal suo stupore.

La commessa annuì come in uno stato di ipnosi. “È mia. Mi chiamo Taryn. Taryn Maguire.” Poi all’improvviso scosse la testa come se avesse ripreso il controllo e si sforzò di rivolgerle un sorriso amichevole. “Bene, è magnifico avere una nuova vicina. È un posto bellissimo, no? Sono sicura che la mancanza di luce agirà in tuo favore, aiutandoti anche a nascondere la pessima condizione del posto.”

Lacey si impedì di inarcare le sopracciglia. Gli anni passati a gestire l’aggressività passiva di sua madre erano stati un buon allenamento.

Taryn rise a voce alta, come in un tentativo di smorzare l’equivoco complimento. “Beh, dimmi, come hai fatto a ottenere l’affitto di questo posto? L’ultima volta che ne ho sentito parlare, Stephen aveva deciso di vendere.”

Lacey scrollò le spalle. “È così. Ma c’è stato un cambio di programma.”

Taryn sembrava aver appena succhiato un limone. Lanciò lo sguardo velocemente in ogni angolo del negozio, il naso all’insù che Lacey aveva già avuto modo di conoscere sembrava essersi allungato ancora di più verso il cielo, mentre il disgusto della donna si faceva sempre più evidente.

“E venderai articoli di antiquariato?” chiese.

“Giusto. Mio padre era impegnato nel settore quando ero bambina, quindi sto seguendo i suoi passi in suo onore.”

“Antiquariato,” ripeté Taryn. I suoi occhi fissavano Lacey come quelli di un falco. “E hai il permesso per farlo, vero? Hai fatto il salto dell’oceano e sei già pronta ad aprire un negozio.”

“Con il giusto visto,” spiegò Lacey con disinvoltura.

“È… interessante,” rispose Taryn, chiaramente intenta a scegliere le parole con attenzione. “Cioè, quando uno straniero vuole un lavoro in questo Paese, la società deve fornire prove che non ci sia nessun britannico a ricoprire la posizione. Sono solo sorpresa che non si applichino le stesse regole anche alla conduzione di un’attività commerciale…”

Lo sdegno nella sua voce si stava facendo sempre più palese. “E Stephen ha fatto il contratto a te, una sconosciuta, così su due piedi? Dopo che il negozio si è svuotato… quand’è stato… solo due giorni fa?” La cortesia che si stava sforzando di assumere stava rapidamente svanendo.

Lacey decise di non lasciarsi toccare da quell’atteggiamento.

“In effetti è stato un colpo di fortuna. Stephen era casualmente in negozio quando sono entrata per dare un’occhiata. Era devastato per la fuga del precedente affittuario che l’ha lasciato con un sacco di debiti, e immagino che ci sia semplicemente stato il giusto allineamento cosmico. Io sto aiutando lui e lui sta aiutando me. Dev’essere destino.”

Lacey notò che il volto di Taryn era diventato rosso.

“DESTINO?” gridò la donna, mentre la sua aggressività passiva diventava del tutto esplicita. “DESTINO? Erano mesi che avevo un patto con Stephen, che se il negozio fosse diventato disponibile, lo avrebbe venduto a me! Dovevo allargare il mio locale acquisendo il suo!”

Lacey scrollò le spalle. “Beh, non l’ho comprato. Ce l’ho in affitto. Sono convinta che abbia ancora in mente il piano di venderlo a te quando arriverà il momento. Solo che quel momento non è adesso.”

“Non ci posso credere,” piagnucolò Taryn. “Entri qui e lo costringi a un altro affitto? E lui accetta e firma in soli due giorni? Lo hai minacciato? Hai fatto una specie di rito voodoo su di lui?”

Lacey non si lasciò scuotere. “Dovrai chiedere a lui il motivo per cui ha deciso di affittare a me piuttosto che vendere a te,” le disse, ma nella sua mente stava pensando: Magari perché sono una persona carina?

“Mi hai rubato il negozio,” concluse Taryn.

Poi se ne andò di gran carriera, sbattendosi la porta alle spalle, i lunghi capelli scuri che oscillavano sulla schiena mentre si allontanava.

Lacey si rese conto che la sua nuova vita non sarebbe stata idillica come aveva sperato. E che la sua battuta sul fatto che Taryn fosse la sua gemella malvagia combaciava effettivamente con la realtà. Beh, c’era una cosa che poteva fare.

Chiuse a chiave il negozio e percorse con passo baldanzoso la strada fino ad arrivare al salone della parrucchiera, dove entrò. La donna, una rossa, se ne stava seduta a sfogliare una rivista, evidentemente in pausa tra un cliente e l’altro.

“Posso aiutarti?” chiese a Lacey quando la vide entrare.

“È ora,” disse Lacey con determinazione. “Ora di darci un bel taglio.”

Era un altro sogno che non era mai stata abbastanza coraggiosa da realizzare. David aveva adorato i suoi capelli lunghi. Ma non aveva la minima intenzione di rimanere così somigliante alla sua gemella malvagia per un solo secondo ancora. Era giunto il momento. Il momento per un bel taglio. Il momento di eliminare tutto ciò che era stata la vecchia Lacey. Questa era la sua nuova vita, e lei aveva intenzione di seguire le proprie nuove regole.

“Sei sicura di voler accorciare?” chiese la donna. “Cioè, mi sembri determinata, ma devo chiedertelo. Non vorrei che te ne pentissi.”

“Oh, sono sicura,” disse Lacey. “Non appena l’avrò fatto, avrò realizzato tre dei miei sogni nello stesso numero di giorni.”

La donna sorrise e afferrò le forbici. “Allora va bene. E facciamola questa tripletta!”

CAPITOLO SETTE

“Ecco,” disse Ivan, strisciando fuori da sotto il lavandino della cucina. “Quella perdita non dovrebbe più darti grane.”

Si rialzò in piedi e tirando in modo impacciato il bordo della maglietta grigia stropicciata che indossava e che era risalita a scoprire la sua pancia candida e leggermente prominente. Lacey fece educatamente finta di non essersene accorta.

“Grazie per la velocissima riparazione,” gli disse, riconoscente nei confronti di questo padrone di casa così premuroso, che sistemava tutti i grattacapi che potevano sorgere nella casa in modo così immediato. E ce n’erano stati già un buon numero. Lacey iniziava a sentirsi anche un po’ in colpa per tutte le volte che l’aveva costretto a venire fino al Craig Cottage: quella salita fino alla cima della scogliera non era esattamente una passeggiata, e lui non era più un ragazzino.

“Vuoi fermarti a bere qualcosa?” gli chiese. “Del tè? Una birra?”

Sapeva già che la risposta sarebbe stata no. Ivan era timido e dava l’impressione che si sentisse sempre di troppo. Lei comunque chiedeva ogni volta.

Ivan ridacchiò. “No, no, va bene così, Lacey. Ho delle carte da sistemare stasera. Non v’è pace per gli empi, come dicono.”

“Dillo a me,” rispose lei. “Ero in negozio alle cinque questa mattia, e non sono tornata a casa prima delle otto di stasera.”

Ivan corrugò la fronte. “Il negozio?”

“Oh,” disse Lacey, sorpresa. “Pensavo di avertelo detto quella volta che sei passato a sturare le grondaie. Sto aprendo un negozio di antiquariato in paese. Ho preso in affitto il locale vuoto di Stephen e Martha, quello che prima era un negozio di articoli per casa e giardino.”

Ivan parve stupefatto. “Pensavo che fossi qui solo per una vacanza!”

“Era così. Ma poi ho deciso di rimanere. Non proprio in questa casa, ovviamente. Troverò un altro posto non appena ne avrai bisogno.”

 

“No, a me va benissimo,” disse Ivan con tono davvero felice. “Se sei contenta qui, sono contento pure io. Non dà troppo fastidio se sono spesso qui a sistemare le varie cose, vero?”

“A me piace,” rispose Lacey con un sorriso. “Altrimenti sarei un po’ sola.”

Quello era stato l’aspetto più difficile nel lasciare New York. Non era il posto, o l’appartamento, o le strade familiari, ma la gente che aveva dovuto abbandonare.

“Probabilmente dovrei prendere un cane,” aggiunse con una risatina.

“Mi pare di intendere che non hai ancora conosciuto la tua vicina?” disse Ivan. “Una signora adorabile. Eccentrica. Ha un cane, un Border Collie per gestire le pecore.”

“Ho conosciuto le pecore,” disse Lacey. “Continuano a venire in giardino.”

“Ah,” disse Ivan. “Deve esserci un buco nella recinzione. Vedrò di sistemare anche quello. Ad ogni modo, la signora è sempre a disposizione per un buon tè. O una birra.” Le fece l’occhiolino in un modo affettuoso che le ricordò suo padre.

“Davvero? Non la disturberà un’americana a caso che le capita davanti alla porta?”

“Gina? Per niente. Sarà felicissima. Vai a bussare alla sua porta. Ti assicuro che non te ne pentirai.”

Se ne andò, e Lacey fece proprio come le aveva suggerito, dirigendosi subito verso la casa della vicina. Anche se ‘vicina’ era una descrizione poco accurata. La casa era raggiungibile con una piccola passeggiata di cinque minuti a piedi lungo la scogliera.

Lacey raggiunse il cottage, simile al suo, ma con un solo piano, e bussò alla porta. Dall’interno sentì l’immediato scalpiccio di un cane che correva e la voce di una donna che gli diceva di non fare confusione. Poi la porta si aprì e apparve sulla soglia una signora con i capelli lunghi, ricci e grigi e i tratti del viso eccezionalmente fanciulleschi per una sessantenne. Aveva indosso un cardigan di lana color salmone e una gonna con motivo a fiori che arrivava fino a terra. Alle sue spalle un Border Collie bianco e nero cercava con insistenza di passare avanti.

“Boudicca,” disse la donna al cane. “Levati di mezzo.”

“Boudicca?” chiese Lacey. “Nome interessante per un cane.”

“Le ho dato il nome della vendicativa regina guerriera pagana che si è scatenata contro i romani e ha raso al suolo Londra dandole fuoco. Ma veniamo a noi: posso esserti utile, cara?”

Lacey provò subito simpatia per la donna. “Sono Lacey. Abito qui accanto e pensavo fosse opportuno presentarmi ora che la mia permanenza sarà in un certo senso permanente.”

“Qua accanto? Al Crag Cottage?”

“Proprio lì.”

La donna si illuminò. Spalancò la porta del tutto e allargò le braccia. “Oh!” esclamò in uno slancio di pura gioia, chiudendo Lacey in un abbraccio. Boudicca, il cane, impazzì e si mise a saltare loro attorno abbaiando. “Mi chiamo Georgina Vickers. George per la mia famiglia, Gina per gli amici.”

“E per i vicini?” chiese Lacey sorridendo, non appena la donna la liberò dal suo stretto abbraccio.

“Facciamo Gina.” La donna le afferrò la mano e gliela strinse. “Vieni dentro adesso! Entra! Entra! Metto su la teiera.”

Lacey non ebbe altra scelta che lasciarsi trascinare all’interno del cottage. E anche se al momento non se ne poteva rendere conto, “Metto su la teiera” sarebbe diventata una frase che avrebbe sentito davvero un sacco.

“Ma ci credi, Boo?” disse la donna mentre percorreva il corridoio dal tetto basso. “Finalmente abbiamo una vicina!”

Lacey la seguì ed entrambe sbucarono nella cucina. Era più o meno la metà della sua, con il pavimento rivestito di piastrelle rosso scuro e un’ampia isola centrale che occupava la maggior parte dello spazio. Da lato del lavandino una grande finestra si affacciava su un prato ricoperto di fiori, la vista dell’oceano a fare da sfondo subito dietro.

“Fa giardinaggio?” chiese Lacey.

“Sì. È il mio orgoglio e la mia gioia. Coltivo ogni genere di fiori ed erbe aromatiche. Come una dottoressa strega.” Ridacchiò della propria affermazione. “Vuoi provarne una?” le chiese, e indicò una fila di bottigliette di vetro color ambra ammassate su uno scaffale di legno sbilenco fatto a mano. “Ho cure per il mal di testa, per i crampi, il mal di denti, i reumatismi…”

“Uh… credo che mi accontenterò del tè,” rispose Lacey.

“Che tè sia!” esclamò l’eccentrica donna. Andò dall’altra parte della cucina e prese dalla credenza due tazze. “Di che tipo? English Breakfast? Assam? Earl Grey? Lady Gray?”

Lacey non aveva idea che ce ne fossero così tante tipologie. Si chiese cosa avesse bevuto da Tom durante il loro ‘appuntamento’. Quello era stato davvero delizioso. A ripensarci adesso, il ricordo le tornò alla mente.

“Qual è quello tradizionale?” rispose, un po’ spaesata. “Quello che si beve con gli scone?”

“Quello è l’English Breakfast,” rispose Gina annuendo con il capo. Scelse dalla credenza una scatoletta, ne estrasse due bustine e ne infilò una per tazza. Poi riempì la teiera e la mise a bollire. Infine si voltò verso Lacey guardandola con occhi che brillavano di genuina sincerità.

“Allora dimmi,” disse Gina. “Ti piace Wilfordshire?”

“C’ero già stata prima,” spiegò Lacey. “Sono venuta qui in vacanza da bambina. Al tempo mi è piaciuta un sacco e volevo sapere se tornandoci una seconda volta avrei provato la stessa sensazione magica.”

“E?”

Lacey pensò a Tom. Al negozio. Al Crag Cottage. A tutti i ricordi di suo padre che si erano risvegliati come polvere lasciata indisturbata per una ventina di anni. Un sorriso le curvò gli angoli della bocca. “Decisamente.”

“E come hai fatto a finire al Crag Cottage?” chiese Gina.

Lacey stava per mettersi a spiegare del suo incontro casuale con Ivan al Coach House, ma la teiera stava iniziando a ribollire sonoramente e la sua voce venne soffocata dal rumore. Gina sollevò un dito nel tipico gesto aspetta-un-attimo e andò a spegnere il fuoco con il Border Collie Boudicca che le saltellava attorno passandole più volte tra le gambe.

Gina versò l’acqua fumante nelle tazze. “Latte?” chiese guardandola con gli occhiali appannati dal vapore.

Lacey ricordò che Tom le aveva dato un piccolo bricco di latte. “Grazie.”

“Zucchero?”

“Se si prende così, sì.”

Gina scrollò le spalle. “Beh, questo dipende dalla persona. Io lo prendo, ma magari tu sei già abbastanza dolce di tuo.”

Lacey ridacchiò. “Se lei prende lo zucchero, lo prendo anche io.”

“Benone,” disse Gina. “Un cucchiaino o due?”

Lacey sgranò gli occhi per lo stupore. “Non avevo idea che ci fossero così tanti dettagli da considerare per preparare una tazza di tè!”

Gina si mise a ridere. “È una vera e propria forma d’arte, mia cara! Un cucchiaino è considerato piuttosto delicato. Due è un po’ meno sofisticato. Tre? Beh, quello chiamiamo un tè da muratore.” Fece una smorfia col viso e poi rise di nuovo.

“Un tè da muratore?” commentò Lacey. “Questa me la devo ricordare.”

Gina completò il tè e mise le bustine strizzate in cima a un cumulo di altre bustine usate che si trovavano su un piattino accanto alla teiera, poi portò le tazze sul rustico tavolo della cucina. Si sedette, fece scendere un cucchiaino di zucchero nel tè di Lacey, lo mescolò e poi spinse la tazza verso di lei.

Lacey la prese con riconoscenza e sorseggiò la bevanda. Il sapore era molto simile a quello che le aveva preparato Tom, leggermente più forte e un po’ più penetrante, ma sufficiente da risvegliare in lei un formicolio di reminiscenza.

Boudicca si sdraiò scodinzolante ai piedi di Gina.

“Allora, mi stavi raccontando di come sei capitata a Wilfordshire,” la incalzò Gina, riportando la loro conversazione al punto in cui era stata improvvisamente interrotta dalla teiera.

“Ho divorziato,” disse Lacey. Tanto valeva strappare da subito il cerotto.

“Oh, tesoro,” disse Gina, accarezzandole teneramente la mano. “È successo anche a me. Momenti terribili. Ma è successo negli anni novanta, quindi ho avuto un sacco di tempo per elaborare la cosa.”

“Non si è mai risposata?” chiese Lacey, sgranando un poco gli occhi mentre rincorreva l’immagine mentale di se stessa che restava single per i prossimi trent’anni, trasformandosi nella prossima Gina.

“Oddio, no! Ero sollevata, cara!” disse Gina. “Mio marito era come tutti gli altri uomini: un ragazzino immaturo con addosso abiti da uomo. Se me lo chiedi, ti assicuro che faresti meglio a startene bene alla larga. Un sacco di traffici per niente.”

Lacey non poté fare a meno di sorridere. “Avete avuto figli?”

“Solo uno, un maschio,” disse Gina con un profondo sospiro. “Ha scelto la vita militare. Purtroppo l’abbiamo perduto durante il servizio attivo.”

Lacey trasalì. “Oh, mi spiace.”

Gina le sorrise mestamente. “Era un ragazzo meraviglioso.” Poi si illuminò. “Ma basta con questi discorsi. Come va il tuo tè? Non esattamente quello a cui sei abituata nei cari vecchi Stati Uniti d’America, eh?”

È delizioso,” disse Lacey, prendendone un altro sorso. “Calmante. Però non penso di essere una tipa delicata,” quindi aggiunse un secondo cucchiaino di zucchero. “Così va meglio.”

Ora aveva proprio il sapore di quello che le aveva preparato Tom. Lacey sentì un sorriso nascerle dentro al pensiero di quando sarebbe capitata loro la seconda occasione per incontrarsi.

“Per quanto starai nel cottage di Ivan, allora?” chiese Gina.

“Per il momento a tempo indeterminato,” spiegò Lacey. “Sto per aprire un negozio in paese. Un negozio di antiquariato.”

“Davvero?” esclamò Gina. Aveva un modo di fare molto gradevole, come se fosse sinceramente interessata a saperne di più di questa strana donna americana che si era presentata alla sua porta.

Lacey annuì. “È un mio vecchio sogno. Mio padre ne aveva uno quando ero bambina. È come se tutti i pezzi fossero andati al loro posto.”

“È l’Universo, ecco cos’è,” disse Gina. “Ti sta dicendo una cosa: che ti trovi nel posto giusto al momento giusto.”

Lacey sorrise. Quell’idea le piaceva.

“Da dove ti rifornisci?” chiese Gina.

“Ho trattato un sacco di antiquariato con la mia vecchia ditta di design d’interni,” spiegò Lacey. “Ho una lista di negozi e contatti nel Regno Unito che è lunga un chilometro. Adesso ho solo bisogno di una macchina, poi andrò a fare il giro del Paese e mi costruirò il mio elenco. Ho intenzione di occuparmi della nicchia del design d’interni, visto che conosco il settore.”

Gina inarcò le sopracciglia. “Ho sentito bene? Intendi andare a comprare sotto al naso della tua vecchia azienda?”

Lacey rise. “Non è così! Saskia aveva contatti di antiquari che potevano fornirle articoli molto specifici – certi vasi, certe opere d’arte, mobili – tutte cose che si adattassero alla sua specifica visione. Io sono più interessata a raccogliere articoli che amo, pezzi coerenti che il cliente possa mettere insieme secondo il proprio gusto. E poi ho trattato con tutti loro personalmente. La mia vecchia titolare era un tale drago che non ne conosce per nome neanche la metà. Li ho sempre considerati miei fornitori.” Rise di nuovo, questa volta esaltata al pensiero di andarli a trovare tutti di persona, raccontando loro la novità di come si era messa in proprio. Anche se la sua famiglia era reticente, Lacey sapeva che un buon numero di esperti del settore sarebbero stati davvero molto contenti di lei. A nessuno di loro piaceva Saskia!

Gina pareva impressionata. “Se mai avessi bisogno di compagnia in uno dei tuoi viaggi a Londra, mi piacerebbe un sacco venire con te. È da tantissimo tempo che non vedo la città.”

Lacey faceva fatica a immaginarsi questa Raggeddy Ann con i suoi vestiti a pezze che se ne andava in giro per le strade di Mayfair. Ma la sua compagnia era piacevole, ed era altrettanto bello avere qualcuno al proprio fianco.

“Sarebbe bello,” le rispose sorridendo. “Vado domani al concessionario di auto usate che c’è fuori paese, poi andrò direttamente a Londra. Vuole venire?”

“Magari!” disse Gina con entusiasmo.

“Allora è fatta,” rispose Lacey.

“Ora bevi,” esclamò la donna. “Devo presentarti le pecore.”

Lacey non poté che ridere mentre finiva la sua tazza di tè e seguiva la donna, che già si stava dirigendo verso la porta. Gina le piaceva davvero, come anche il suo punto di vista spensierato sulla vita, e aveva la sensazione che sarebbero andate davvero d’accordo.

 

*

Dal tè si passò ai drink. Prima che Lacey se ne rendesse conto, era ormai notte fonda.

“Sarà meglio che vada a letto,” disse frettolosamente quando vide che ora era. “Devo organizzare un sacco di cose per domani. Ti vengo a prendere a mezzogiorno?”

“Non vedo l’ora,” rispose Gina.

Lacey uscì e tornò a casa propria, la testa che le girava un po’ per l’alcool che aveva bevuto con la simpatica Gina. Aveva trovato un’amica nella vecchia donna, ne era certa.

Quando si mise a letto, sentì un messaggio arrivare sul cellulare. Con sua sorpresa, era una email da parte di David.

Si mise a sedere di scatto, strofinandosi gli occhi incredula. Non aveva avuto alcun contatto diretto con lui da quando era uscito in fretta e furia dal loro appartamento sbattendole la porta in faccia.

Con le mani che tremavano leggermente, aprì il messaggio.

Lacey, mi sono accorto che sei fuggita dal Paese e hai lasciato il tuo lavoro. Di certo non mi sbaglio nell’affermare che si tratta di un tentativo infantile da parte tua per evitare di pagare l’assegno di mantenimento. Tieniti pronta a sentire il mio avvocato.

Lacey ruotò gli occhi al cielo e si lasciò ricadere sdraiata sul letto, abbandonandosi esausta a un sonno alcolico.

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