Читайте только на ЛитРес

Книгу нельзя скачать файлом, но можно читать в нашем приложении или онлайн на сайте.

Читать книгу: «Il processo Bartelloni», страница 5

Шрифт:

VII

Circa tre settimane dopo i fatti da noi narrati, Lucertolo si trovava una sera sulla Piazza del Granduca: oggi soltanto: Piazza della Signoria.

Tra le quattro e le cinque pomeridiane, la Piazza era frequentatissima: vi si affollavano operai, impiegati, le coglie, come si chiamavano allora i giovanotti eleganti, le più vispe donnette del popolino, le serve coi bambini, qualche prete, e, diremo più sotto il perchè, tutti i soldati.

Intorno al castello mobile dei burattini, collocato di solito rimpetto alla fonte del Biancone, si affollava la gente, e dava in grandi scrosci di risa.

Il castello era formato da quattro tavole unite insieme e coperte all’esterno da un rozzo panno.

Ad una certa altezza, quasi l’ordinaria altezza di un uomo, sul dinanzi del castello era praticata un’apertura, che raffigurava un piccolo palcoscenico.

Un uomo nascosto tra le quattro tavole, faceva agire sul palcoscenico i suoi bizzarrissimi attori, e una donnaccola girava tra i gruppi degli spettatori, tendendo un piccolo vassoio, sul quale gli scioperati gettavano un quattrino, due quattrini.

Finito lo spettacolo l’impresario se n’andava, camminando in mezzo alle strade, sempre dentro al suo teatro.

Qua e là per la piazza erano i bruciatai, i lupinai, i venditori di ciambelle e di sommommoli caldi e tutti urlavano, davano in lazzi, facevano affari eccellenti.

Verso la cantonata di via Calzaioli, davanti a un vetusto usciolino, che si vede tuttora, e che rammenta l’antico livello della Piazza più basso dell’attuale, metteva banco ogni sera un venditore di cannelloni, conditi con cacio romano e pepe, a una crazia la porzione, delicatamente servita in un piattino coperto da altro piattino.

Sul banco del venditore erano in gran numero forchette di ferro.

La povera gente, gli operai, si accalcavano al banco: il venditore smerciava perfino duecento porzioni del suo manicaretto in una sera.

Alcuni avventori, preso il piatto e la forchetta, si allontanavano dal banco, si mettevano vicino alle case, e voltati verso il muro, diluviavano allegramente.

Era quella l’ora della ritirata militare!

Dopo le ventitrè, quando la Piazza cominciava a popolarsi, arrivavano i drappelli de’ suonatori di tamburo e di pifferi, addetti al corpo dei granatieri acquartierati nel forte di Belvedere, o a quello dei fucilieri, accasermati nella fortezza da Basso, arrivavano i tamburi dei Veterani, acquartierati nello stabile della Zecca, con ingresso in Via Lambertesca, le trombe dei dragoni alloggiati nel Corso dei Tintori, dei Cacciatori a piedi e dei Cacciatori volontarii.

Tutti si riunivano alla Gran Guardia, schierandosi sulla gradinata maggiore del palazzo della Signoria, dove giornalmente stava di servizio una compagnia di linea, circa 80 uomini fra ufficiali, sott’ufficiali e soldati.

Alle ventiquattro precise, la Milizia si metteva in parata e gli strumenti suonavano.

Dopo il «presentate arme», i soldati di servizio, portando la mano al gasco, facevano la seconda preghiera della giornata, poichè la prima era fatta allo scocco del mezzogiorno.

Il capo-tamburo maggiore, che di tanto in tanto lanciava e riprendeva per aria, molto destramente, una gran mazza con grosso pomo d’argento, si poneva alla testa dei suonatori di tamburo, di pifferi, e dei trombettieri, e comandava diverse evoluzioni attorno alla Piazza.

Andavano loro innanzi frotte di ragazzacci, che messi in ruzzo dai rulli de’ tamburi, dagli squilli delle trombe, dalle note acute dei pifferi, si davano con smania a far di quelle capriole, conosciute nel loro gergo col nome di cameruzzoli.

Spesso un ragazzo o l’altro rotolava per terra, e incontanente si rizzava, richiamato a migliori consigli dai calci, che prodigava un celebre comandante di piazza, il quale, adempiendo al suo ufficio, precedeva ogni sera, senza sguainare la sciabola, il capo-tamburo al momento della ritirata.

Era questa forse per il pubblico una delle parti più attraenti del curioso spettacolo.

Fatto il giro della piazza, i drappelli si separavano all’imboccatura di Via Calzaioli, e, suonando, muovevano ai rispettivi quartieri.

La descrizione, raccolta da uomini provetti, e che furono più volte testimoni di simili scene, crediamo debba essere esatta.

Una sera del decembre, come abbiamo detto, Lucertolo si trovava nella Piazza e girava tutto stranito in mezzo alla folla, con le mani nelle tasche profonde della sua carniera di velluto, e col bastone sotto l’ascella del braccio destro, nel suo favorito atteggiamento.

Una strana notizia correva quella sera di bocca in bocca.

Nella giurisdizione del Capitan Bargello di Brozzi era avvenuto un fatto sinistro.

La notte innanzi due famigli perlustravano lungo la sponda dell’Arno, all’aperta campagna.

Il fiume era grosso, minacciava di straripare.

I famigli avevano tutti e due una lanterna.

Ad un tratto sentono un rumore, fatto da persone che correvano, e che senza dubbio, accortesi della presenza dei famigli, aveano gettato a terra qualche cosa, che era caduto con strepito, e si eran fermate.

I famigli, insospettiti, chiuse le lanterne, per non esporsi a servir di mira a colpi di sassi, o a colpi anche più micidiali, avevan fatto più volte le loro intimazioni.

Nessuno rispose.

Si trattava certo di delinquenti.

Allora Bobi Carminati, uno dei famigli, sparava in aria il suo schioppo, come se volesse impaurire i malandrini.

Non sì() tosto sparato il colpo, il Carminati e l’altro famiglio avevano cambiato posizione appostandosi pian piano dietro a due alberi.

L’ispirazione era stata ottima.

Due altri colpi di schioppo furono quasi subito sparati dai malandrini in direzione del luogo, che i famigli avevano così cautamente abbandonato.

I due birri, o famigli, stavano nascosti sotto una siepe l’uno accanto all’altro.

– Che cosa dobbiamo fare? – disse Bobi Carminati al compagno, dopo che i malandrini ebbero sparati i loro colpi.

Le acque del fiume ingrossato, gorgogliando, mulinando, levavano alto rumore.

– Devono essere in diversi – ripetè l’altro birro, appena articolando la voce. – Gli ho sentiti dianzi al correre, e poi si capisce… perchè hanno tirato insieme due colpi, e, come hai veduto, i colpi scattavano da due schioppi l’uno poco distante dall’altro.

– Aspettiamo! – disse il Carminati.

Intanto il suo compagno stava in orecchi per accertarsi se gli altri si movessero.

I malandrini erano sei.

Tre di loro, al momento in cui si erano incontrati ne’ famigli, andavano di corsa, e ciascuno portava in spalla un grosso sacco: gli altri due seguivano con gli schioppi carichi in mano, e pronti a far fuoco nel caso che si avvedessero di esser sorpresi o inseguiti.

Venivano dall’aver commesso un furto in una casa colonica.

Le notizie di ciò che era accaduto la notte verso la sponda dell’Arno erano state recate la mattina a Firenze dallo stesso famiglio, che insieme col Carminati aveva affrontato i malviventi.

E le notizie erano davvero straordinarie, e tutta la gente che si trovava quella sera in Piazza del Granduca ne parlava; ognuno, travisando il racconto a suo modo, vi aggiungeva, vi toglieva, lo modificava a suo talento.

Ma più incaloriti di tutti nel discorrere, nel gesticolare apparivano i birri, che a tale ora calavano ogni sera nella Piazza.

Il famiglio, trattenuto da’ superiori a Firenze, era chiamato da un gruppo all’altro e a tutti ripeteva la sua storia.

Ed eccola ne’ suoi particolari.

– Io mi era gettato quasi in terra – raccontava il famiglio – e aspettava ansiosamente quello che avrebbero fatto costoro, che si dovevano trovare a venti o trenta passi di distanza… Per un quarto d’ora circa non ho udito altro che scrosciar l’acqua e il fischiare del vento… Ad un tratto mi par di sentir qualcuno che si muove… passi che si fanno, a poco a poco, precipitosi… Accosto l’orecchio quasi alla terra e subito sento che a poca distanza da noi sette o otto persone almeno fuggivano.

Il famiglio esagerava a bella posta per aumentare l’importanza del pericolo da lui corso.

– Allora – continuava – io chiamo: Bobi! Bobi!… ma nessuno risponde. Pensai che, mentre io era intento a vigilare i movimenti dei malandrini, il Carminati si fosse allontanato allo stesso scopo… Chiamai più forte… non ebbi daccapo nessuna risposta… Senza più pensare ai malandrini, se si fossero tutti dati alla fuga, o se qualcuno ne rimanesse, io apro la lanterna e guardo tutt’all’intorno… In quell’istante sento verso l’acqua un gemito acuto, un grido di: aiuto, aiuto!… Il vento impetuoso mi spense la lanterna!

– E poi? e poi? – domandava la gente raccapriccita a questo punto del racconto.

Il famiglio, dando a divedere una estrema commozione, ripigliava tutto conturbato:

– Non mi è riuscito, per quanto abbia fatto, di riaccendere la lanterna.. Ho chiamato cinque o sei volte il Carminati, e ad alta voce… ma sempre senza risposta… Allora ho avuto un brutto presentimento… Ma come fare? Non mi restava altro che tornare indietro, fermarmi alla prima casa, e poi venir di nuovo lì con lumi e accompagnato da altri… Pratico come sono di que’ luoghi, feci il conto che in mezz’ora sarei arrivato a svegliare una famiglia di contadini, che abitavano in una casa poco lontana… e sarei tornato. Mi tenni a questa idea… E quasi una mezz’ora dopo arrivo, preceduto da lumi, circondato da gente con schioppi e altri lumi, al punto dal quale insieme al Carminati avevamo fatte le prime intimazioni… Tutti chiamammo il Carminati, e sempre indarno… Allora ci mettemmo a cercare… Fatti una diecina di passi, vedemmo poco lontano da noi tre sacchi, gettati sull’erba, uno qua, uno là… Due erano pieni di farina, uno di grano. Quello era il bottino lasciato dai malandrini…

– E il Carminati? – interrompevano i curiosi.

– Non si trovava… Finalmente, mi viene un pensiero… Che si sia avanzato verso l’acqua e nel buio… con la piena… Su, ragazzi… dico ai contadini che mi accompagnavano, guardiamo un poco giù verso il fiume… alle volte… non vorrei fosse successo… Tutti gettarono un grido d’orrore. Camminammo alcuni secondi nel più tetro silenzio… Vi assicuro che il cuore mi batteva! Alla fine un giovinotto, che andava innanzi a tutti, dette un urlo.

– Che c’è? che c’è? – domando io.

– Ho trovato un cappello! – mi risponde un giovinotto. «Corro verso di lui, prendo il cappello, e subito lo riconosco… era il cappello di Bobi… Ci guardammo tutti costernati… Di sicuro, disse il più attempato dei contadini, qui si tratta di una grande disgrazia()!… Mi sentii rabbrividir… Ma mi restava una speranza… Avanti! avanti! – ripetei. Ci avanzammo di più, sempre chiamando il Carminati, e cercando con le nostre voci dominare il rumore dell’acqua, che scrosciava, e del vento.»

Giunto a questo tratto del racconto, il famiglio invariabilmente si strusciava sulla fronte una pezzolaccia giallognola, che si cavava di tasca.

Il racconto finiva sempre con queste parole: «A una diecina di passi dal cappello, proprio rasente all’acqua, e mezzo affondato nella fanghiglia, abbiamo trovato… indovinate che cosa?… lo schioppo di Bobi… Nessuno ha più dubitato… Era chiaro che Bobi, forse dopo che il vento gli aveva portato via il cappello, volendolo ricercare, cacciandosi nel buio per esplorare… aveva inciampato, ed era cascato all’improvviso nel fiume… Aveva cercato di salvarsi disperatamente()… e da lui veniva il grido di aiuto, aiuto! che avevo udito. Povero Bobi! e sino ad ora non si è avuta notizia del ritrovamento del cadavere!… Già con questa piena!»

E tutti si scalmanavano, si spolmonavano, si arrovellavano a commentare il fatto.

Gli autori del furto dei sacchi erano stati subito scoperti, e si trovavano in prigione.

Ma Bobi?

La sua tragica fine era motivo di stupore.

Lucertolo si era fermato sotto la Tettoia, detta de’ Pisani, grottesca e barocca costruzione, tirata su a metà del caseggiato, che formava allora il lato della piazza di contro al Palazzo della Signoria.

La Tettoia serviva di riparo alle finestre degli Uffici Postali, rispondenti sulla Piazza, dalle quali si faceva la distribuzione delle lettere.

Visto comparire il capo agente del quartiere. Lucertolo lo salutava e gl’indicava il famiglio venuto da Brozzi, di bizzarra apparenza co’ suoi rozzi panni, e che raccontava() per la cinquantesima volta la catastrofe della notte precedente.

– Ebbene! – disse il capo agente – lasciate vociare quel tanghero!…

I birri delle città, specialmente quelli residenti in Firenze, si consideravano molto superiori ai famigli che servivano nei Capitanati.

– Lasciatelo vociare! – soggiungeva l’agente. – È l’elogio funebre che merita un arnese, com’era quel Bobi… È affogato… e meglio per lui… Altrimenti ne avrebbe fatte un giorno delle sue… Ricordatevi che nel Corpo dei Pompieri non ce l’avevano più voluto… Era stato un bel regalo per la polizia…

– Ma credete voi() – osservò Lucertolo, tutto pensoso – che il Carminati sia affogato davvero?

– E chi ne può dubitare?

– Io! – replicò Lucertolo con voce cupa.

– Siete pazzo?

– Chi sa!

– Spiegatevi.

I due birri, camminando mentre discorrevano; erano arrivati all’imboccatura del Chiasso dei Lanzi.

– Sì! io ne dubito – tornò a dire Lucertolo. – Il Carminati è un uomo capace di tutto… A quest’ora chi sa dove se l’è svignata.

– Ma perchè?

– Eh, perchè… perchè… lo so io, insomma. L’uomo da un pezzo non si sentiva più tanto sicuro. Aveva capito che io mi era accorto… e che un giorno o l’altro sarebbe rimasto alla pania, che io gli tendevo… E così ha preso il volo… Lo riacchiapperò, lo riacchiapperò!…

E Lucertolo si accendeva nel parlare.

Il suo confabulatore non si raccapezzava bene in quella foga di parole, poichè il birro discorreva, come se rispondesse a’ suoi interni ragionamenti, in modo confuso e interrotto.

– C’è qualche cosa di nuovo! – osservò l’agente.

Infatti una gran folla si andava sempre più accalcando in un certo punto della piazza.

Tra la folla si sbracciava, vociava un contadino tutto trafelato e senza cappello.

Costui giungeva da Montelupo e recava notizia che un cadavere era stato gettato dalle acque gonfie sopra un greto del fiume.

Il cadavere dell’annegato aveva però la testa tutta sfracellata.

La violenza della corrente lo aveva di certo sbattuto forte contro le pile dei ponti. Il cranio si era spaccato, gli occhi pesti, il naso infranto, la bocca squarciata; era impossibile riconoscerlo.

Il colore dei capelli, della barba, la statura inducevano a credere che l’affogato fosse il Carminati.

Il cadavere era vestito di una giacchetta simile a quella che indossava il birro.

Due famigli di Montelupo avevano dichiarato esplicitamente di riconoscere nel cadavere il Carminati, per quanto fosse arduo ritrovare il ricordo di note fattezze su quella testa così lacerata.

– Domani – asseverava il contadino – il cadavere sarà seppellito!

Lucertolo si sentiva affranto.

Tutto cospirava contro di lui.

Ormai le sue ricerche per provare l’innocenza di Nello sarebbero state anche più difficili.

Gli restava però una speranza.

L’orma del piede scalzo da lui scoperta sul tappeto doveva almeno rivelargli un complice.

E il birro entrava in una via di nuove e strane ipotesi.

Strane, perchè l’orma del piede scalzo, come già forse ha indovinato il lettore, era stata lasciata sul tappeto dal povero ebreo Isacco la sera del delitto, quando era accorso a liberare Antonietta.

E Lucertolo sarebbe mai arrivato a scovare l’ebreo?

VIII

In una stanza al primo piano d’un antico palazzo, appartenuto a gloriosa famiglia fiorentina, la mattina del 20 decembre 1831 era seduto davanti ad un gran banco, tutto ingombro di libri, di fogli, un uomo piuttosto corpulento, con la testa calva, di bellissime linee, chinata sopra le pagine ingiallite di un grosso volume, ed ogni tanto la agitava, la scrollava nel modo più significativo.

Lo studioso, entrato nella stanza con un lume acceso fin dalle primissime ore della mattina, non si era alzato, nè distratto un istante, sebbene in quel momento scoccassero le dieci.

Di tratto in tratto, pronunziava a voce alta qualche parola.

Le parole da lui proferite erano: Fisco… indizii… Tribunale supremo:

E interrompeva la lettura e scriveva con mano febbrile alcune righe.

La stanza era altissima, sul soffitto erano dipinte ad affresco donne simboliche, dalle forme massiccie, con elmi in capo, con ampli panneggiamenti dai colori vivaci, circondate da nubi, da amorini paffutelli, da genietti scherzosi, ridanciani, chiassoni.

Le pareti, scombiccherate anch’esse da scene mitologiche, nelle quali si era sbizzarrita la fantasia di un pittore, che vedeva tutto grasso, paffuto, adiposo, erano fortunatamente quasi tutte coperte sino ad una certa altezza da scaffali pieni zeppi di libri.

Come abbiamo detto, suonavano le dieci.

Lo studioso non pareva stanco, anzi era forse più che mai infervorato nelle sue ricerche.

La stanza aveva tre porte, ognuna aprentesi a una diversa parete; porte da palazzo, larghe e pesanti, verniciate di bianco, luccicanti e filettate d’oro.

Da circa due minuti una mano leggiera picchiava lentamente ogni pochi secondi ad una delle porte.

Ma il nostro personaggio, assorto nella lettura e nelle sue meditazioni, non aveva udito.

Alla fine fu dato un picchio più forte, poi un altro.

Lo studioso alzò la testa, guardò verso la porta da cui veniva il rumore, quindi, come se non si fosse accorto di nulla, tornò a leggere.

La persona che stava di fuori pare avesse motivo di insistere perchè dette un terzo colpo.

Allora lo studioso cessò di nuovo la lettura, e guardando la porta con un lieve sorriso che rivelava un sentimento dei più teneri e soavi, domandò:

– Chi è?

– Io! – rispose una vocina molle, carezzosa, la quale si capiva che doveva vibrar su due labbra anch’esse sorridenti in quel momento.

La porta si aprì, ed entrò una giovane signora, ravviluppata in una magnifica veste da camera, coi capelli sciolti e cadenti sulle spalle in un disordine delizioso.

L’uomo si alzò dalla poltrona, lasciò il banco, i libri, i fogli, e come dimentico di tutto, corse incontro alla incantevole visione…

Pareva un altro.

Gli occhi erano coruscanti, da tutta la fisonomia gli traspariva una grande contentezza.

Baciò le mani, che gli tendeva la giovane signora, le ribaciò, e la guardava quasi estatico.

– È tanto che batto lì alla porta! – essa disse, rivolgendosi indietro.

– O come?

– Tu eri forse troppo occupato, e non mi hai sentito… Sai che ho ordine di non entrare qui nello studio senza avvertirti… E non volevo, entrando all’improvviso, procurarti uno di quei sussulti, che anche il medico ha detto ti sono molto nocivi, e che ti procura facilmente il più piccolo rumore, quando sei tutto distratto, pensoso, in mezzo a’ tuoi scartafacci.

La giovane sorrideva con un’espressione quasi celeste.

Fra lei e il marito vi era una notabile differenza di età, poichè essi aveva oltrepassati di poco i ventotto anni: il marito si avvicinava ai sessanta.

Ma essa lo adorava: e que’ due cuori battevano uno per l’altro con tutto l’entusiasmo sincero delle vere e profonde affezioni.

– Ti levi ora, mia cara! – disse l’uomo grave, e piuttosto corpulento. – È il primo raggio di sole che entra nella mia stanza. – E tutto ilare le accarezzava i bei capelli biondi. – Vieni, siedi…

– No! no!… c’è un tale che aspetta da una mezz’ora in anticamera, e che dice ha bisogno di parlarti ad ogni costo… Non ti hanno avvisato perchè al solito ho voluto esser io la prima, come tutte le mattine, a entrare nello studio.

E gettava le sue braccia, che uscivano nude e meravigliose di venustà dalle ampie maniche, al collo del marito.

Egli accoglieva con giubilo, con una allegria giovanile quelle caste effusioni: la sua testa intelligente si appoggiava ad una spalla della graziosa signora, e si rialzava come irradiata da lampi di tenerezza.

– Tu sei il mio angiolo, Ilma – ripeteva il marito innamorato – il mio caro angiolo, nessuno può esser più felice di quanto sono io nell’amarti… Oggi pensi di uscire?… quali sono i tuoi disegni per la giornata?… parla, Ilma, da’ ordini al tuo schiavo, che è così orgoglioso di obbedirti.

E l’uomo serio, lo scienziato, faceva un gesto di amabile ostentazione, inchinandosi dinanzi alla moglie, e rimirandola come se pendesse dal suo labbro per ascoltare i comandi, che a lei fosse piaciuto di impartirgli.

Eseguire quei comandi preziosi, esaudire i desiderii di colei che aveva tutto il suo amore, era per lui sempre la più grande consolazione della giornata.

– Dunque parliamo!

E così dicendo, aveva porto il braccio alla moglie, e con lei si era messo a fare alcuni passi per la stanza, tutto gaio e quasi leggero nella sua corpulenza.

– Ma… – interrompeva la moglie – di là c’è sempre quell’uomo… E pare che abbia un affare di gran premura.

– Hai ragione! hai ragione!… Ha detto chi è?

– Sì.

– Chi?

– Un agente della polizia.

– Un agente?,.. che cosa vuole? – domandò a se stesso l’avvocato Arzellini (poichè siamo appunto nello studio del celebre avvocato).

– Basta!… io ti lascio!… – disse la signora Arzellini, avvicinandosi alla porta e, prima di uscire, facendo al marito con la sua mano bianca un affettuoso cenno di addio.

L’avvocato, rimasto solo, suonò il campanello. Entrò un vecchio servitore.

– C’è qualcuno che domanda di me? – egli chiese subito.

– Sì, signore – rispose il vecchio. – C’è un birro…

– Vi ha detto il nome?

– No, ma io l’ho riconosciuto… È quel famoso Lucertolo!…

– Lucertolo! Lucertolo! – mormorò l’avvocato. – Ah, ho capito! – ripeteva fra sè. – È il birro che non mi si staccava mai dattorno, durante il processo di Nello. Che cosa vorrà?… Fatelo pure passare.

Poco dopo il servitore tornava ad aprire la porta, e Lucertolo entrava, col cappello in mano, un po’ imbarazzato, e fermandosi in mezzo alla stanza, salutava l’avvocato nel modo più rispettoso.

– Voi siete un agente… – domandò l’avvocato.

– Sì, signor avvocato! – rispose l’altro, senza lasciarlo finire – e sono venuto a trovarla per un motivo di molta importanza.

L’avvocato squadrò l’agente di polizia con un’occhiata, e quindi, allargando le braccia, e chinando leggermente il capo, fece un gesto, come se volesse dire: – Parlate pure, io vi ascolto!

– La sera del 14 gennaio – così esordì Lucertolo – mentre fu commesso il delitto nel Vicolo della Luna io era di servizio nel Ghetto…

– Ah! – interruppe l’avvocato, mostrando una grande attenzione.

– Sebbene il delitto accadesse lì, a due passi, l’assassino operò con tali precauzioni, che io non ne ebbi notizia sino al momento in cui giunsero varii agenti, varii ufficiali, guidati dall’Ispettore che, incontratomi nella Piazza dell’Olio, mi domandarono se avessi a denunziare nulla di nuovo… Risposi negativamente… Soltanto dichiarai che avevo udito un grido acuto entro il Ghetto proferito di certo da una donna, e che ero subito accorso, ma senza poter riuscire a scuoprir nulla… L’Ispettore mi rispose brusco, irritato, e proseguì, accompagnato dagli agenti, fino alla cantonata di Via Naccaiòli. Si svoltò, arrivammo al Vicolo… trovammo il cadavere…

– Scusate – osservò l’avvocato con una certa espressione di diffidenza – quale scopo vi proponete nel farmi questo racconto?

– La prego di aver pazienza, signor avvocato – riprese il birro con un piglio di grottesca dignità – e quando avrò parlato lei saprà…

– Vi avverto che sono molto occupato…

– Ho capito! – disse il birro alzandosi con mal simulata alterezza. – La riverisco! Da alcuni mesi io mi affatico, ho perduto il sonno, mi logoro il cervello per fare ricerche, indagini contro le indagini e le ricerche già fatte dalla polizia, e tutto per provare l’innocenza di Nello…

– Pigliate una sedia! – E l’avvocato proseguì con tuono autorevole, e meravigliato della serietà con cui parlava l’agente: – Ora vi comprendo! Voi volete dirmi cose che è mio dovere professionale l’ascoltare… Voi, a quello che intendo, siete disposto ad associare le vostre forze alle mie per provare l’innocenza di un accusato… Ma, permettetemi di dirvi che nella vostra condizione di «esecutore» l’idea che vi è venuta è un po’ strana!

– Non le parrà strano se ha la bontà di lasciarmi parlare.

– Dunque, parlate!

– Dalla sera del delitto io ebbi un solo pensiero, prendere una rivincita della umiliazione subita, riparare lo scacco, che avevo ricevuto, e che poteva nuocere alla mia carriera.... Prevedevo che i miei rivali se ne sarebbero valsi… Cominciai dal ripensar bene tutte le circostanze del delitto… Subito vidi chiaro che la polizia aveva messo le mani sopra un disgraziato, il quale aveva contro di sè i più gravi indizii… in apparenza, ma che il vero delinquente c’era sfuggito.... Insieme ad un esecutore, mio collega, principiammo una serie di nuove ricerche e avevo trovato alla fine il vero colpevole.

– Eh? – interrogò l’avvocato, divenuto tutto acceso nel volto, e battendo un pugno sul banco.

– L’argomento è delicato… è inutile che io raccomandi alla sua prudenza quello che le confido…

– Andate avanti…

– Mi sono dato alle mie ricerche con tutta l’anima, con tutto l’ardore. Per me si trattava di arrivare a mostrare che tutta la polizia era caduta in errore, di liberare un innocente, di metter il vero colpevole nelle mani della giustizia, di distinguermi su gli altri, di trionfare.

– E dunque?

– Le mie pene sono state inutili.

– Ma non avete trovato l’assassino?

– Ora sono certo di averlo trovato…

– Bravo!

– Però non potremo raggiungerlo.

– Perchè? – domandò ansioso l’avvocato, inchinandosi verso Lucertolo.

– Si è suicidato!… – rispose il birro con voce lenta e solenne.

– Suicidato?…

Lucertolo raccontò la catastrofe avvenuta, la supposta caduta del Carminati nelle acque del fiume, accennò al cadavere ritrovato.

Palesò all’avvocato come fossero sorti in lui i primi sospetti sul Carminati, parlò della sua visita notturna alla casa del pompiere, dello spavento cagionato dal suo arrivo, della fuga pei tetti, delle menzogne della sorella, del modo col quale aveva scoperto che il Carminati era in casa quella notte.

Ma fu magnifico, eloquente, allorchè si mise a descrivere l’effetto da lui provato ascoltando l’arringa dell’avvocato Arzellini dinanzi alla Rota. Il suo entusiasmo per l’oratore, che aveva così acutamente indicato la via, che avrebbe dovuto seguire la polizia nelle sue indagini, lo inebriava.

Un lieve sorriso di compiacenza sfiorava le labbra dell’avvocato.

Lucertolo rammentò che, finita l’udienza, aveva subito messo ad effetto l’idea manifestata dal difensore di far ricerche nel sozzo locale della Palla.

Riferì tutto il dialogo con la Sguancia; insistè sulle particelle di materia insanguinata che aveva raccolto, sulla catinella, che aveva trovato nel rovescio tutta impiastrata di sangue, e di sangue che vi si era accagliato, e poteva esser rimasto lì fin dalla sera del delitto.

– L’ho fatto esaminare – soggiunse Lucertolo con un gesto pien d’orgoglio – ed è sangue umano!

L’avvocato dette in uno scroscio di risa.

– Di che lei ride? – chiese il birro perplesso.

– Ve lo dirò… ve lo dirò!… Continuate!

Lucertolo si diffuse nello esporre le prove che egli aveva sulla tresca, sulla intimità fra la Sguancia e il Carminati; rivelò il turbamento cui la donna era stata in preda durante l’interrogatorio al quale l’aveva sottoposta; corroborò di tutti gli argomenti, che aveva alle mani, la sua convinzione circa la reità del Carminati.

Finito che ebbe il suo discorso, vi fu una breve pausa.

L’avvocato era pensoso, teneva sugli occhi la mano sinistra, come in atto di raccogliersi.

Poi, drizzandosi sulla persona, proruppe in queste parole:

– Voi siete ingegnoso, intelligente! Ma non mi pare che vi siate messo ad una bella impresa per far carriera, come desiderate…

Il birro inarcava le ciglia dallo stupore.

– Nello non è reo… voi sapete quanto io ne sono convinto… ma è reo, come voi dite, il Carminati?… Prima di tutto, siete sicuro che egli sia morto?

– Il suo cadavere – rispose Lucertolo – sebbene la testa fosse sfracellata e deformata, è stato riconosciuto da due famigli, sono stati riconosciuti alcuni vestiti…

– E voi credete?…

– Io credo che il Carminati, ridotto alle strette dalle mie ricerche insistenti, avvisato del mio dialogo con la Sguancia, avvertito da certe mie occhiate, si sia impaurito, si sia gettato nel fiume… non ammetto che vi possa esser caduto inavvertitamente per… sfuggire alla sua pena…

– Ah! inezie!… inezie!… Dato che questo Bobi fosse l’assassino, gli uomini come lui non si suicidano… L’idea dell’onore può armare la mano di un gentiluomo, che ha commesso un delitto in un momento di aberrazione, contro sè stesso, ma non udirete mai che un delinquente volgare si sia ucciso per sottrarsi alla giustizia… E, del resto, le prigioni sono piene di gente che ve lo dimostrano… Non riconosco qui il vostro acume… E poi, a che scopo il Carminati avrebbe commesso il delitto?

Lucertolo rifletteva.

L’avvocato gli scuopriva un altro punto debole delle sue ricerche.

Egli aveva negletto di risalire all’origine del reato.

Però non si perdette d’animo.

– La massima legale che l’autore del delitto deve ricercarsi in colui al quale il delitto giova, signor avvocato, non è sempre vera, e lei deve saperlo meglio di me… Ci sono delitti, il cui movente è così nascosto, così celato, che sfugge alle nostre prime osservazioni. Nella ricerca di essi bisogna procedere per induzioni. E bisogna diffidare ad ogni passo di mettere il piede in fallo. Quando un agente lavora per scoprire un delitto è alle volte disposto ad evitare le cose più facili, a non tener conto delle circostanze più semplici, a supporre in tutti i delinquenti un grande artifizio… E questo è causa di molti errori… Inoltre, nelle ricerche spesso si vede un lato solo, e si trascurano gli altri… Io sono sicuro che Nello è innocente, che il Carminati era il reo, e le giuro che presto avrò trovato la prova materiale di questi fatti.

– Spiegatemi il vostro ragionamento, ditemi in qual modo con le vostre ipotesi voi ricostruirete, per così dire, il delitto.

– Ecco… Io sono persuaso che il Carminati ha dato il colpo di pugnale… Quindi egli è fuggito alla Palla… Là ha parlato con la Sguancia… si è lavato il sangue… il sangue di cui restano tuttora scarse, ma sufficienti traccie, quasi distrutte, ma evidenti, nella lurida cucinaccia, ove di rado è adoperata la scopa e dove, pare, si fa risparmio di acqua.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
230 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain
Аудио
Средний рейтинг 4,1 на основе 365 оценок
Текст, доступен аудиоформат
Средний рейтинг 4,3 на основе 485 оценок
По подписке
Аудио
Средний рейтинг 4,6 на основе 682 оценок
Текст, доступен аудиоформат
Средний рейтинг 4,3 на основе 985 оценок
Аудио
Средний рейтинг 4,7 на основе 1823 оценок
Текст, доступен аудиоформат
Средний рейтинг 5 на основе 438 оценок
Текст, доступен аудиоформат
Средний рейтинг 4,7 на основе 1024 оценок
Аудио
Средний рейтинг 5 на основе 427 оценок
Черновик
Средний рейтинг 5 на основе 141 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Текст
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок