Читать книгу: «Il processo Bartelloni», страница 6
L’avvocato dette di nuovo in uno scroscio di risa; come aveva fatto poc’anzi, quando Lucertolo gli aveva parlato della catinella da lui trafugata, e che conservava come un prezioso indizio.
– Mi rincresce di dover demolire a pezzo a pezzo l’edificio da voi architettato… Ma mi fa troppo ridere l’insistenza che voi mettete a voler considerare come un grande indizio quelle traccie… trovate in un tal luogo… in casa della Sguancia.
– Sangue umano! – disse Lucertolo bruscamente.
L’avvocato continuava a sghignazzare.
– Per Bacco!… – esclamò a un tratto Lucertolo, battendosi la fronte. Poi, lasciando ricadere la mano sul ginocchio, e chinando la testa, mormorò:
– L’equivoco è troppo ritorto!… Ora capisco – proseguì Lucertolo a voce più alta – perchè anche la Sguancia rideva alcuni giorni dopo… e quasi mi sfidava. Aveva già preparato una difesa… se pure…
– Su che fondate ancora – ripetè con serietà l’avvocato – le vostre presunzioni circa l’innocenza di Nello e la reità dei Carminati?
– Non potrei specificarlo con più minuti particolari di quelli che le ho riferiti.... Ma è una convinzione che io sento, che mi domina, che mi viene da un esame attento, da una sorveglianza continua di certe persone, che per alcuni mesi ho sempre pedinato; una convinzione che è nata, si è rafforzata in me, dopo certi sguardi che ho sorpreso, dopo che ho veduto in alcuni momenti certi volti impallidire… Insomma, sono uomo vecchio del mestiere.... ho fiducia assoluta che proverò l’innocenza di Nello.
– Ve lo auguro… Intanto io dubito che la Consulta accetti il ricorso in grazia, che ho già presentato, e prevedo che Nello fra qualche settimana sarà esposto alla gogna, insieme all’ultimo assassino condannato dalla Rota, e poi mandato a Pisa, a Livorno, o altrove, a fare i pubblici servizii con altri galeotti. Ed è innocente! innocente!… – ribatteva l’avvocato, esasperandosi.
– Anderà a scontare la sua pena, sì… ma ne uscirà… Anni sono, – così si esprimeva Lucertolo – quando io era famiglio nel capitanato di Siena, mi sono trovato a un caso, il cui ricordo ravviva ora tutte le mie speranze. Una donna dimorava in una casetta ad un solo piano insieme col marito. Dormivano separati, ciascuno in una stanza diversa… Un amante della donna si arrampicava talvolta di notte ad una terrazza, di là entrava nella camera della donna… Una notte entra, spinge la fragile porta, che dava nella terrazza, si accosta dove credeva che fosse la sua innamorata… La chiama, essa non si muove. Tenta di scuoterla, e si sente le mani bagnate… Riesce ad accendere un lume, e vede la donna immersa nel proprio sangue, con una gran ferita sotto la mammella sinistra… L’amante fugge, ma nel fuggire lascia sul muro traccie delle sue mani insanguinate. La mattina si scuopre il delitto… Nessuno pensò ad accusare il marito!… Si sapeva che la donna aveva un amante. La polizia si recò alla casa di quest’ultimo, gli trovò le vesti insanguinate, fu riscontrato che la traccia sanguinosa lasciata nel muro corrispondeva alla mano di lui… Due donne deposero che il giorno innanzi avevano udito fra i due amanti un grande alterco, seguito da violenti minaccie… Le circostanze, gl’indizii erano gravi contro l’inquisito… Fu condannato…
Lucertolo si riposò un istante, quindi aggiunse:
– Anche allora io dubitavo della reità dell’inquisito… A forza di induzioni, e di domande, mi parve di avere scoperto che il marito era sonnambulo. Ci nascondemmo per alcune notti in quattro persone, tutti d’accordo, nella casa… Una notte, sentiamo un rumore… L’uomo esce dalla sua camera con un lume, va nella cucina, prende un coltello, si accosta alla camera dove aveva dormito la defunta sua moglie, si avvicina al letto, che vi era sempre, e fa l’atto di menar giù un colpo di coltello. Tutti gettammo un grido!… Il sonnambulo si svegliò, il mistero era spiegato.
L’avvocato si era alzato e passeggiava su e giù per la stanza.
Si fermò dinanzi al caminetto, e volgendo le spalle al fuoco, mentre guardava il birro, che, sempre seduto, si dimenava sulla seggiola per vedere in viso il suo interlocutore, l’avvocato dette in un’esclamazione.
– Ah! ah! – egli ripetè – se io volessi raccontare tutti i casi ne’ quali dopo una condanna, è stata riconosciuta l’innocenza di un inquisito, vi dovrei trattenere qui un pezzo… Sono quasi quarant’anni che esercito la mia professione, e mai, fortunatamente, fino ad ora, io mi era trovato nel caso di difendere un innocente e vederlo condannato… Ma oggi, oggi è altrimenti… Io sono certo che quel ragazzo non è reo.
– Dunque?…
– Dunque – soggiunse l’avvocato molto perplesso, e cogitabondo – gl’indizii contro di lui, dirò meglio le apparenze son tali da rendere timoroso anche il giudice più benevolo che si sentisse disposto in favore del disgraziato… Pure abbiamo un giudice dalla nostra, e il giudice più autorevole del Collegio della Rota, il presidente… Concorde con quello di lui ha dato il voto anche un altro auditore… Se un terzo auditore, dubbioso sulla reità dell’inquisito, avesse esitato… avesse dato il voto favorevole… il mio cliente sarebbe stato assoluto… Il processo è ora sottoposto alla revisione della Consulta, appunto per il dissenso del presidente con gli altri quattro auditori… Questo dissenso, secondo la nostra legge, autorizza la revisione!
– E allora – ripigliò Lucertolo, anch’egli tutto concentrato e pensieroso – abbiamo dinanzi a noi un mese, due mesi forse, fino a che pende la revisione, per continuare, per completare le ricerche.
– Sì, ma vi dico chiaro – insistè l’avvocato – che io non spero nulla dalla revisione! Conosco troppo quei giudici, conosco le severe abitudini della Consulta nei processi criminali… E poi, parliamoci franchi, io e voi siamo convinti della innocenza del mio cliente… sta bene; ma possediamo un solo, un valido argomento, che la provi in modo da dileguare ogni contradizione?… E bisogna ricordare che i nostri giudici, sempre secondo la legge, debbono inspirarsi nel dar il loro voto alla convinzione legale, non alla convinzione morale.
– Mi pare che lei disperi troppo! – affermava l’agente di polizia, che non voleva lasciarsi sfuggire quella occasione di segnalarsi, occasione che egli teneva per molto propizia. – Io, invece, sono pieno di fiducia… Io vedrò Nello alla gogna, lo vedrò partire per la galera… e pure avrò sempre una speranza, quella di riuscire a salvarlo…
– Forse! – interruppe l’avvocato.
– E la mia vittoria sarà tanto più grande quanto saranno stati maggiori gli ostacoli, che avrò superato, e i pericoli a cui sarà stato esposto un innocente.
Sembrava che il giureconsulto fosse a poco a poco guadagnato dalla fede del poliziotto, riscaldato da quell’ardore, e che il suo scetticismo in parte cedesse.
– Riflettete bene – egli prese a dire con molta lentezza – che per strappare un uomo dalla galera, quando ci è entrato, ci vuole quasi un prodigio… Nello non ha per sè neppure quell’effimero favore, che certi condannati trovano nell’opinione pubblica… Il pubblico sino dai primi giorni del processo si è pronunziato contro di lui… Questo ragazzo povero, vagabondo, che andava in giro ogni giorno pel Mercato, guardato da tutti con sospetto, bisognoso di chiedere a tutti, di carattere strano e bisbetico, idiota, come io lo credo, aveva fra i mercatini molti nemici: i nemici che ha naturalmente chi è sciagurato, derelitto, chi ha necessità di tutto, e vive fra gente, la quale pensa di continuo ai guadagni, e vuol esser circondata soltanto di persone che le profittino.
– L’odiosità – notò Lucertolo – nasce appunto da questo. Il giovinastro non ha mai lavorato, perchè inetto ad ogni lavoro, e pure si sapeva che doveva campare. Come?… Ecco la domanda di tutti. Quindi ogni volta che avveniva un piccolo furto se ne accusava Nello: quelli stessi forse che lo commettevano preparavano più o meno abilmente prove, lievi indizi contro di lui… Allorchè si accostava a un banco era guardato con sospetto, allontanato con urli… Il ragazzaccio melenso diventava torvo, talvolta minacciava… ne avvenivano conflitti… Ecco perchè i mercatini sono lieti di vedersi sbarazzati di lui.
– Però la vostra impresa non è facile: da una parte indizii, che paiono concludenti, e che escludono ogni dubbio; dall’altra la voce pubblica ostile… Aggiungete la immensa prevenzione di una condanna… E poi, ammettiamo l’innocenza di Nello, dove è l’uomo che noi possiamo presentare come reo, con sicurezza?… E quando è commesso un delitto, la giustizia cerca e vuole un delinquente… No, credetelo. Nello è innocente, ma farà i suoi venti anni di galera…
– Non li farà, signor avvocato!… non li farà!… – disse il birro con voce enfatica, e balzando sulla sedia. – Parola di Lucertolo, sangue della… – e il birro si mise l’indice della mano destra fra i denti, come se rattenesse a dispetto la fine della sua violenta esclamazione – non li farà!
– Io spero che potrò tutt’al più, mediante alte influenze, trovar modo che giunga all’orecchio del Sovrano la storia veridica del caso… Però anche il Sovrano, dato fosse inclinato alla clemenza, sarà rattenuto dalla gravità dell’ingiuria fatta ad un forestiero, ad un ospite così ragguardevole, e che personalmente gli era caro… Insomma, da ogni lato che ci voltiamo, troveremo un terreno infuocato o irto di spine… Pure io ho qualche fiducia in una modificazione della pena per grazia del principe.
– Ed io confido nelle mie ricerche, le quali paleseranno la verità!
Sino allora l’avvocato aveva tergiversato, aveva tentennato, ad un solo scopo: di chiarirsi qual fosse l’energia, il vigore, la forza di carattere dell’agente, qual fosse l’impegno, quanta fosse la serietà, la costanza con cui si era messo all’opera.
Ma appurato con che zelo, con che indomito, intrepido, pertinace volere vi si accingeva, egli mutò.
La sua fronte, sino allora rannuvolata, si rasserenò, apparve più tranquillo, più disinvolto, più umano.
Tornò a sedersi dinanzi al birro.
Fissò gli occhi in quelli di lui, e dopo un istante:
– Fino ad ora, – così parlò, – ho voluto mettervi alla prova.
L’agente di polizia trasecolava.
– Sapete già quanto profonda sia la mia convinzione sull’innocenza di Nello… Ve l’ho detto oggi, l’avrete udito il giorno in cui svolsi la mia difesa!
Lucertolo assentiva, facendo cenni col capo.
– Non vi nascondo che la vostra venuta, le vostre prime parole hanno eccitato in me la diffidenza… la diffidenza che è sempre esistita, che esisterà sempre fra gli uomini della mia professione e quelli della vostra…
Il birro contrasse lievemente le labbra.
– Dovete convenire che era assai naturale che il vostro atto mi sembrasse strano. Nella mia lunga carriera… non ve lo dissimulo… è la prima volta che m’incontro in un agente della polizia, il quale piglia in cotesto modo le difese di un accusato… In generale, nei processi, l’agente comparisce unicamente per aggravare, per inasprire l’accusa; per ingigantire, avvalorare gl’indizii, non per combatterli. Gli agenti sono, a così dire, il braccio destro con cui il Fisco combatte la difesa: un agente ausiliario del difensore è raro, raro, lasciate che ve lo ripeta, e… se volete… che me ne commova!
A Lucertolo non sfuggiva la benevola e sottile ironia di tali parole.
– Voi vi proponete, in questo processo per tentato omicidio di scoprire la verità… Per la conoscenza, che ho ormai acquistato degli uomini, mi accorgo che simil proposito è in voi serio, radicato, incrollabile. Vi faccio un’offerta.
– Quale? – domandò Lucertolo, i cui occhi già brillavano di mille ansietà e di cupidigia.
– Vi offro – rispose solennemente l’avvocato – di diventare vostro cooperatore nelle nuove ricerche che farete. Voi agirete con la stessa alacrità con cui avete agito fino ad ora, però, affinchè la vostra operosità non vada perduta, non vi sobbarchiate a fatiche superflue, inutili… io vi dirigerò.
– Bravo! bene! – disse Lucertolo, battendo le mani, a palma a palma – è proprio quello che ci voleva.
E allungando un braccio verso l’avvocato, col gomito appoggiato sul banco:
– Perchè io… veda, signor avvocato… io sento qui – e parlando si percuoteva la fronte con una mano – sento che ci è stoffa… sento che ci sono idee e che idee!… Se mi lasciassero fare, se gli ufficiali, i capi-agenti gelosi non mi tarpasser le ali, a quest’ora, in fede mia, non sarei no, il misero birracchiuolo Lucertolo, povero e in carniera, sarei arrivato anch’io, mi sarei slanciato ai primi posti… Ma mi è sempre mancato qualche cosa… Una certa facoltà, che hanno gli uomini come lei, di poter far nascere un’idea da un’altra rapidamente, di collegarle, di vedere fra un’idea e l’altra certe relazioni sottili, che sfuggono a noi di cervello grossolano… Quando io ascoltavo la sua difesa, mi dicevo: se io avessi l’acutezza, l’ingegno pronto di quest’uomo unito alle mie facoltà di esame e di osservazione!… E oggi lei mi offre… Oh, benissimo, ora poi sono tranquillo sulla vittoria…
– Non voglio indagare i veri e riposti motivi, che stimolano la vostra attività… Ma vi riconosco sincero nel vostro entusiasmo e vi prometto tutto il mio aiuto. State attento!
Il birro inarcava le ciglia.
– Due avvenimenti straordinarii si sono compiuti la sera del 14 gennaio… L’assassinio nel Vicolo della Luna… e un altro avvenimento al quale non ho voluto accennare nella difesa per ragioni delicate…
Lucertolo era addirittura assorto nell’ascoltare.
– Il secondo avvenimento è… la sparizione di una ragazza che abitava in Piazza degli Amieri.
– Mio Dio!
– Non avete mai pensato che ci possa essere una relazione fra i due avvenimenti?… La mia polizia è più attiva della vostra… Io so, per esempio, che la ragazza conosceva il pittore Gandi… Non vorrei fare ipotesi ingiuriose, nè troppo arrischiate che, invece di condurci alla verità, ce ne allontanassero, ma è un lato questo da non trascurare nelle ricerche… Si è più saputo nulla della ragazza?…
– No!
– Altro lato delle ricerche: bisogna occuparsi della famiglia Carminati! Bobi Carminati è morto?
– Morto! – soggiunse Lucertolo.
– Avete notizie di sua sorella Lina? dov’è, dov’è andata?… e con chi, partendo da Firenze?
– Lei è un genio! – disse Lucertolo, alzandosi e portandosi alle labbra la mano destra dell’avvocato. Un lampo d’immensa luce aveva ora rischiarato la sua mente. – Se sapesse quante, quante cose io vedo in questo momento!
Lucertolo uscì poco dopo dallo studio dell’avvocato, tutto baldanzoso.
Ma al solerte agente i fatti preparavano le più amare delusioni!
IX
L’anno 1831 finì, senza che Lucertolo avesse ottenuto alcun notevole trionfo nelle sue ricerche.
Nella prima settimana del gennaio 1832, pochi giorni dopo il colloquio fra il birro e l’avvocato, la I. e R. Consulta rigettava unanime la domanda di revisione del processo di Nello.
Egli dunque doveva partire per il luogo di pena a lui destinato.
Lo stolido, sin dal giorno in cui il cancelliere gli aveva letto la sentenza della Rota, che lo condannava, era caduto in un grande abbattimento; passava le giornate sdraiato in terra nella prigione, alzando appena la testa quando qualcuno entrava, rispondendo di rado alle domande che gli erano volte, e soltanto dando in risposta parole sconnesse e insensate.
Gli rimaneva a subire la dolorosa prova della gogna.
La mattina del 23 gennaio 1832, in via del Palagio il sotto-boia, personaggio allora notissimo in Firenze, era occupato con un suo ragazzo a rizzare intorno al muricciuolo, che era a destra della porta del Palazzo Pretorio, che rispondeva in Via del Palagio, un cancelletto di legno.
I curiosi cominciavano a fermarsi in quel tratto di strada dinanzi al Bargello.
Le beghine, che entravano nella vicina chiesa di Badia per udire la prima messa, palpitavano d’impazienza, e attendevano ansiose il Deo Gratias! per svignarsela, e prender posto sulla scalinata del tempio.
Ma, quando uscirono, trovarono già il terrazzino e gli scalini quasi gremiti di gente.
Ne era andata la voce: tutta Firenze sapeva ormai che quella mattina, verso le 10, sarebbero stati esposti alla berlina alcuni delinquenti.
E ognuno si era affrettato, e non ostante la rigida mattinata di inverno centinaia di persone non aveano avuto paura di fare una levataccia.
Due ore prima che la campana del Bargello cominciasse a suonare a gogna, in via del Palagio la gente si pigiava.
La folla era allegra, chiassona, rumorosa. I mercatini vi si trovavano in gran numero, e si riconoscevano più che altro al delicato profumo che tramandavano, ai dialoghi pittoreschi, alle energiche esclamazioni, ai soprannomi sonori, e non tutti puliti, con cui si chiamavano fra loro.
Da un punto all’altro, alla distanza di cinque, di dieci passi si parlavano, si distribuivano i loro salaci appellativi, si comunicavano le loro idee pellegrine.
Le donne mercatine, in capelli e in ciabatte, alcune scalze e sbricie, erano accorse ad aumentare la gazzarra, e univano le loro voci stridule a quelle più vibrate dei congiunti.
Qua e là giravano i venditori di leccornìe, berciando la loro merce.
La folla era mossa da un solo desiderio: veder Nello, veder l’assassino, il ladro del Vicolo della Luna!
A un tratto si udirono i primi gravi rintocchi della campana.
Un urlo immenso proruppe da tutti que’ petti: centinaia di teste e di braccia si alzarono in aria; il mite popolo toscano impazzava di ferocia in quei momenti.
La campana continuava a suonare lenta, monotona, sinistra su quell’osceno tripudio.
La gente fitta sulle scalinate di Badia si rizzava in punta di piedi, si spenzolava dai parapetti delle gradinate.
Un gruppo di preti stavano solenni, maestosi sulla porta della chiesa; i preti, non meno degli altri, curiosi, gli occhiali inforcati, e due di essi ritti su sgabelli.
Volevano tutti vedere l’assassino del Vicolo della Luna, ma il vedere le sue fattezze, la sua persona non era la principale attrattiva.
I vecchi, le donnicciuole, le beghine, i mercatini erano stati stimolati da un’altra idea.
Aspettavano che uscissero i condannati per leggere il cartello, che portavano legato al collo e sul quale erano scritti la età, gli anni della condanna, il giorno del delitto, ecc., ecc.
Si trattava di studiare i cartelli, saperli interpretar bene, farci una buona cabala, levarci i numeri del lotto.
E a favoreggiare così nobili istinti la gogna aveva luogo, in generale, di venerdì.
La campana ora suonava, suonava a distesa.
Era la stessa campana, che aveva un tempo servito a chiamare i messi del Potestà, a indicare il momento in cui quell’ufficiale e i suoi giudici cominciavano l’amministrazione della giustizia.
Proprio la medesima campana, che poi fu destinata ad annunziare che un misero colpito dal rigor della legge s’incamminava al supplizio.
Più tardi con il suonarla si volle notare quell’ora, dopo la quale non era lecito ai cittadini di percorrere le vie senza lumi ed armati, senz’averne uno speciale privilegio, e per questo si chiamò campana dell’armi. Suonò per tale oggetto finchè ebbero vita le leggi repubblicane; suonò ancora dopo che Cosimo I ebbe pubblicato leggi ben più severe, per le quali condannavasi al taglio della mano chi dopo il suono di quella fosse stato trovato per le vie di Firenze!
Suonava, come ricorderà il lettore, sul principio di questo racconto, e suonò, sino a che spariti certi avanzi di barbarici ordinamenti, nel 1848 fu lasciata in pace, anzi calata.
Quella campana, con la sua lingua di bronzo, poteva ripetere la storia di cinque secoli!
E all’ombra della torre, in cima alla quale dindonava, si erano svolte Dio sa quante tragedie!
Un erudito, scrivendo sul palazzo del Bargello, si dichiarava «persuaso che di gran lunga maggiore delle già conosciute, esser debba il numero delle tragedie, che per effetto di una tirannia timida o sospetta vi si sono consumate nell’ombra e nel mistero, senza che all’occhio dei profani sia stato concesso di scorgere neppure una stilla del sangue che si è versato!»
La smania dei convenuti era di veder Nello, sebbene gli altri delinquenti, che con lui dovevano subire l’ora di esposizione, non fossero, a così dire, di minor levatura.
L’uno era antico cursore, già appartenuto alla polizia. Se n’era andato da Firenze con la moglie, sotto colore che la moglie desiderasse riveder il suo paesello nativo. Tornato poco appresso solo, dette voce di aver lasciato la moglie tra i suoi. Intanto egli trescava con una druda. Venuto un giorno a parole con la mala femmina, e ad aspre e infuocate parole, costei, entrata in ruzzo, si lasciò scappar di bocca che egli aveva ammazzato la propria moglie. Fu detto a due o tre persone, poi ripetuto, propalato: il cadavere della povera donna fu scoperto, dissepolto: l’uxoricida arrestato, condannato. Ecco uno di coloro che quel giorno dovevano comparire alla gogna: o, come pur si diceva, alla berlina.
Ne stavano alquanto di mal’animo i suoi antichi colleghi della polizia, a’ quali pareva ricadesse anche su loro un po’ dell’orrore di quel delitto.
Ma il popolo non era eccitato dall’uxoricida.
E neppure lo eccitava la imminente comparsa alla gogna di un altro assassino: di colui che aveva subito davanti alla Rota un processo assai clamoroso per avere scannata una serva in una casupola presso l’Arco dei Pescioni.
La scoperta dell’autore del delitto era stata un miracolo di abilità per parte della polizia.
Rimasto lungo tempo ignoto, lo scannatore era stato arrestato una notte caldo caldo nel suo letto, quando ormai credeva all’impunità.
Bellissimo uomo, egli era al servizio di una famiglia cospicua, soleva indossare smagliante livrea, e il popolo lo conosceva per averlo veduto sempre da anni ritto sulla predella dietro la carrozza di un patrizio, come stavano allora i valletti, denominati cacciatori; maestosi e risguardevoli col loro cappello a due punte e i copiosi pennacchi.
Però anche pel cacciatore il popolo non si dava briga più che tanto.
Voleva Nello, non altri che Nello, voleva l’assassino del Vicolo della Luna!
Da lui soltanto in quell’occasione si dovevano levare i numeri del lotto; da lui doveva venire la fortuna: sul suo cartello tutti avrebbero cercato gli storni, gli ambi, i terni propizi.
– Eccoli! eccoli!
Si udì un immenso grido, che rimbombò per tutte le vie circostanti e fu ripetuto da tutti gli echi.
– Sì, eccoli… Son davvero!
E la gente allungava il collo, lavorava coi gomiti, si accalcava, si pigiava sempre più; quelli sulle scalinate di Badia, strimizziti, addosso l’uno all’altro quasi soffocavano e si contorcevano, si divincolavano, si dibisciavano per arrivare a dar un’occhiata sino all’angolo della porta.
I preti grassi, paffuti, dall’alto dell’ultimo scalino che metteva nella chiesa, guardavano sorridendo quell’agitatissimo ondeggiar di teste.
– Eccolo! – tuonò di nuovo un grido formidabile dalla chiesa di Badia fino all’angolo di via Vergognosa, e il grido fu seguito da una straordinaria concitazione.
Infatti alcuni birri eran comparsi sulla soglia della porta, e dietro ad essi subito uscì fuori Nello pallido, esterrefatto, atterrito dinanzi a quella folla, coi capelli irti sulla fronte, sulla quale gli scendeva a grosse goccie il sudore.
I mercatini lo salutavano con esclamazioni bestiali, gli mostravano i pugni, rompendo in motti di scherno.
Il sotto-boia aprì il cancelletto di legno che era attorno al muricciuolo e spinse dentro Nello.
Poi egli pure salì sul muricciuolo, e legò le gracili braccia del condannato a due campanellette di ferro fitte nel muro.
Entrarono quindi gli altri due assassini, torvi, terribili, fulminando con occhiate di disprezzo la folla, che li salutava col solito vocìo, li bersagliava co’ suoi motti insolenti e spietati.
Richiuso il cancelletto, il sotto-boia andò a mettersi sulla soglia della porta, fosco, rigido, impalato.
Una fila di birri faceva la guardia intorno e dinanzi al cancelletto.
– Che numeri ci sono nel cartello?
La domanda andava di bocca in bocca: la urlavano i lontani a’ più vicini, ammiccando al cartello, che Nello aveva al collo.
Alcuni scrivevano i numeri in un foglietto e lo passavano di mano in mano agli altri.
Le vecchierelle insistenti, di bassa statura, o di vista corta, non esitavano a tirar per la manica anche le persone più civili che si trovassero lì presenti, e chiedere:
– via… mi dice i numeri()?
Un’ora durava quello scempio, «affinchè, diceva la legge, i delinquenti sieno generalmente conosciuti ed il pubblico resti sodisfatto della retta amministrazione della giustizia.»
I legislatori fiorentini avevano sempre avuto strane idee di tormenti.
Non furono fiorentini i legislatori che statuirono la pena del battesimo: – debeat aqua baptizari – che consisteva nel tradurre il colpevole sopra uno dei ponti della città, e legato con una fune tuffarlo, una o più volte, nell’Arno? Era considerata come infamante e in molti statuti ordinata contro i bestemmiatori e le meretrici…
– (Vien fatto di domandare, dato che si amministrassero oggi tali castighi ai bestemmiatori, se le acque d’Arno sarebbero sufficienti)!
A un certo punto della gogna, un birro prendeva i cappelli dei condannati e li buttava in terra arrovesciati dinanzi al cancello.
Se il condannato ispirava qualche simpatia, se si trattava di un omicidio in rissa, di un delitto per cui il popolo avesse circostanze attenuanti, i quattrini, i soldi, le crazie, piovevano nei cappelli. Ma se i delinquenti erano invisi, ben pochi davano loro anche quel lievissimo obolo.
Infatti in tal mattina appena cinque o sei persone avevano gettato pochi miseri quattrini nei cappelli.
Una donna, tutta velata di nero, traversò a stento la folla, si accostò al cancelletto, e gettò nel cappello di Nello un pugno di monete d’argento.
Poi si allontanò, vacillando, quasi barcollando, fino a che giunta alla cantonata di Via de’ Librai si sentì ghermire per una spalla da una mano, forte, come acciaio.
La donna era Lina Carminati.
Si voltò indietro raccapricciata: e si trovò dinanzi Lucertolo!