Un Abbraccio Per Gli Eredi

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Из серии: Un Trono per due Sorelle #8
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CAPITOLO DUE

Sofia fissava la città oltre la porta, oltre i normali spazi del mondo. Sienne le stava appoggiato alla gamba, mentre Lucas e Kate erano rispettivamente ai suoi fianchi. Sofia non sapeva cosa pensare della città che aveva davanti, anche se l’aveva vista prima nelle sue visioni. La città era radiosa, del colore dell’arcobaleno in certe parti e dorata in altre. La gente, alta ed elegante, camminava per le strade, con abiti radianti e d’oro.

Era tutto bellissimo, ma non era niente di ciò che Sofia era venuta qui a cercare. Niente di tutto questo era il motivo per cui aveva lasciato sua figlia, suo marito e il suo regno per attraversare mare e deserto, oltre la città di Morgassa e fino alle terre desolate. Lo aveva fatto per trovare i suoi genitori.

E loro erano lì.

Si trovavano in una strada, in uno spazio sgombero in mezzo al resto della gente e guardavano l’ingresso che Sofia e gli altri avevano appena attraversato. Erano più vecchi di quanto apparissero nei suoi ricordi, ma era passato tanto tempo da allora: come poteva essere diversamente? La cosa più importante era che ancora assomigliavano a loro. Suo padre si appoggiava a un bastone ora, ma era ancora alto e dall’aspetto forte. Sua madre aveva gli stessi capelli rossi, sebbene vi si vedessero delle sfumature grigie, e sembrava sempre la più bella donna del mondo per Sofia.

Corse verso di loro senza neanche pensarci, e non fu sorpresa di vedere che anche Kate e Lucas correvano con lei. Gettò le braccia attorno a sua madre e a suo padre, e gli altri si unirono all’abbraccio, fino a sentirsi raccolti in una grande massa in mezzo alla strada.

“Vi abbiamo trovati,” disse Sofia, stentando quasi a crederlo. “Vi abbiamo trovati sul serio.”

“Sì, tesoro,” disse sua madre tenendola stretta a sé. “E avete dovuto passarne così tante per farlo.”

“Lo sapete?” disse Sofia facendo un passo indietro.

“Non sei l’unica della famiglia a vedere le cose,” disse sua madre con un sorriso. “È il motivo per cui abbiamo lasciato il mondo.”

Sofia poteva sentire come Kate si sentisse preoccupata al riguardo.

“Avete visto tutto questo e non siete venuti?” chiese Kate.

“Kate…” iniziò Sofia, ma suo padre rispose prima che potesse dire altro.

“Ci saremmo stati se avessimo potuto, Kate,” le disse. “Avete sofferto, tutti voi, e avremmo interrotto ogni momento di quella sofferenza se ci fosse stato possibile. Vi avremmo portati con noi… vi avremmo dato una vita perfetta se avessimo potuto.”

“Perché non potevate?” chiese Sofia. Pensò all’orfanotrofio e a tutte le cose che erano successe dopo l’attacco alla loro casa. “Perché non l’avete fatto?”

“Vi dobbiamo una spiegazione,” disse loro madre, “e ci sono cose che dobbiamo raccontarvi, ma non qui in strada. Venite con noi, tutti.”

Lei e suo padre fecero strada lungo la via, le folle che si aprivano come in segno di rispetto, o forse nel modo in cui qualcuno potrebbe tirarsi indietro davanti a qualche ammalato. Sofia e gli altri li seguirono fino a una grande casa con intagli all’esterno che sembravano incresparsi alla luce del sole. Non c’erano porte, come se la gente lì non temesse l’arrivo di possibili ladri: c’era una semplice tenda a tenere fuori il vento.

All’interno i loro genitori li condussero a una stanza con il pavimento che sembrava una grande versione in metallo della mappa sul disco che Sofia e gli altri avevano seguito per arrivare fino a lì. Un largo e basso tavolo si trovava al centro della stanza, con sedie disposte attorno. C’era anche un divano, sul quale si accomodarono sua madre e suo padre, una sedia pieghevole che Kate prese senza tanti complimenti e uno sgabello intagliato dall’aspetto strano davanti al quale Lucas sorrise un momento prima di sedervisi a gambe incrociate. Poi c’era una bella poltroncina dall’aspetto comodo con un tappeto davanti, dove Sofia si sedette, con Sienne accoccolato davanti ai piedi.

Subito una donna con gli stessi abiti radianti uscì da una porta laterale portando cibo e acqua. Di nuovo Sofia ebbe la sensazione che il cibo fosse stato preparato in modo specifico per ciascuno di loro. Lucas ricevette una specie di piatto di pesce, Kate un abbondante stufato e lei una pietanza delicata che le ricordava le cose che era solita mangiare al palazzo di Ashton.

“È come se ci conosceste meglio di quanto ci conosciamo noi stessi,” disse Sofia. La colse un pensiero orribile. “È tutto reale, vero? Non è un sogno causato dalla febbre, mentre stiamo morendo nel deserto? Non è un altro tipo di prova?”

“Niente di tutto questo,” la rassicurò sua madre. “Non vi avremmo neanche sottoposti al primo test, se non che la porta lo richiede. Viviamo qui, ma non abbiamo alcun controllo su questo posto.”

“Siamo dovuti passare anche noi attraverso quella dannata porta allo stesso modo,” disse suo padre. “Per me il guardiano aveva la stessa voce del mio vecchio tutore, Valensis.”

“Ci ha fatto scegliere chi sarebbe dovuto morire,” disse Kate.

Loro padre annuì. “La città perduta non ammette coloro che non mettono l’amore al primo posto.”

“Almeno non attraverso quella porta,” disse sua madre. “E notate che vostro padre non ha fatto cenno a quanto siamo rimasti all’interno di quelle maledette prigioni prima di riuscire a scegliere. Ma non è questo che volete sentirci raccontare. Dovremmo dirvi perché non siamo venuti a prendervi.”

“Non potevamo,” disse loro padre.

“Perché la vedova vi avrebbe uccisi se vi avesse trovati?” chiese Lucas.

“Sì,” rispose sua madre, “ma non nel modo che pensi. Quella notte… ha fatto uccidere così tanta gente, ma con noi ha fatto qualcosa di peggio. Ha cercato di spezzare la connessione che ci rende quello che siamo. Ha cercato di avvelenare le nostre connessioni alla terra. Ha cercato di distruggere ciò che ci rende quello che siamo.”

“L’ho sentito,” ammise Sofia. “È come se… potessi toccare tutto nella terra, e addirittura ricavarne potere se ne ho bisogno.”

Kate allora si intromise. “Siobhan mi ha fatto insegnare da un vecchio stregone che tutta la magia consiste in spostamenti di potere. Mi ha insegnato a guarire dando potere alla gente, e a uccidere rubandolo. Anche io ho sentito quella connessione. È come un’enorme bilancia.”

“È lo stesso e non è lo stesso,” disse loro padre. “Alcuni di coloro che hanno la magia lo capiscono, e altri la usano per prolungare le loro vite. Una vecchia creatura come Siobhan aveva il potere per questo. Una cosa come il Maestro dei Corvi ha il potere per questo. Hanno i loro collegamenti: Siobhan alla fontana, il Maestro ai suoi corvi. Per noi è diverso: noi siamo collegati alla nostra terra e al nostro popolo. Equilibriamo questo potere e lo tocchiamo, ma dobbiamo fare attenzione a non prenderne troppo, a non danneggiarlo.”

Sofia l’aveva percepito quando si era connessa con la terra: aveva sentito la fragilità di quei collegamenti, e quanto facile sarebbe stato danneggiarli.

“Non capisco,” disse Lucas. “Come ha fatto la vedova ad avvelenare quel legame pur non avendo la magia? E perché non ha avuto effetto su di noi?”

“L’ha fatto fare a qualcun altro,” disse loro padre. “Ci è voluto un sacco di tempo e di sforzo per scovarlo e fargli eliminare ciò che aveva fatto. Per quanto riguarda il motivo per cui non ha effetto su di voi, immagino che fosse mirato solo a noi. Sono riconoscente a tutti i vecchi dei per il fatto che questa cosa non vi abbia toccato.”

“Questo ancora non spiega perché non siate venuti a cercarci,” insistette Kate.

“Oh, Kate, bambina mia,” disse loro madre alzandosi e avvicinandosi a lei in modo da poterla abbracciare. “Non potevamo portarvi con noi, e poi vi abbiamo perduti per così tanto tempo. Non sapevamo neanche noi dove foste nascosti, non dopo che voi e la balia siete arrivati dagli amici che avrebbero dovuto farvi sparire dalla circolazione.”

“Poi non abbiamo avuto la possibilità di tornare a cercare,” disse suo padre. “Più a lungo stavamo lontani dalla nostra terra, e più lentamente il veleno avanzava. Questo ci ha concesso il tempo per cercare un antidoto, ma questo ha anche significato che non potevamo venire da voi.”

“E c’era dell’altro. Tu hai visto il futuro, Sofia. E anche tu, Lucas.” Lo disse come fosse una constatazione, non una domanda. “Avete visto le cose che succederanno, che potrebbero succedere, che può darsi che succedano.”

“Siobhan parlava di possibilità,” disse Kate.

Sofia vide loro madre annuire.

“Possibilità, influenzate dal minimo tocco,” disse loro madre. “Quando Alfred e io abbiamo discusso del tornare da voi, io ho visto… ho visto il mondo in rovina, una terra dopo l’altra in fiamme, ho visto che morivamo prima di trovarvi. Quando abbiamo deciso di restare e aspettare, abbiamo visto il potenziale di un ritorno a bellezza e pace. Ho visto te, Sofia, e ho visto dopo di te…”

Sofia deglutì al pensiero di sua figlia, Viola, e delle visioni che aveva avuto su di lei. Aveva visto la possibilità di un’età di pace ineguagliabile, e anche la possibilità di qualcosa di decisamente più oscuro. Aveva cambiato il nome che avrebbe potuto dare a sua figlia solo per evitare la seconda. Poteva biasimare i suoi genitori per quello che avevano fatto loro stessi sulla base della bilancia del fato?

“Quindi ci avete lasciati?” chiese Kate, ovviamente non molto propensa a perdonarlo.

“Avrei voluto essere stata con te,” disse sua madre. “Avrei voluto poterti insegnare della magia invece che lo facesse… lei. Avevamo così poco tempo, e non osavamo lasciare la città…”

“Altrimenti la vedova vi avrebbe trovati?” chiese Kate.

 

Non è codardia voler evitare un combattimento, disse Sofia a Kate con il pensiero.

A me sembra così, ribatté Kate.

“Non è stato un atto di codardia, Kate,” le disse sua madre, e Sofia sorrise al pensiero che ovviamente sua madre dovesse avere i loro talenti. “Era l’unico modo in cui avremmo potuto vedervi tutti. Il disco… l’attesa… pensi che lo volessi, piuttosto che allungare la mia mente a voi e portarvi qui?”

“E allora perché non siete venuti quando Sofia ha inviato i nostri messaggeri a cercarvi?” chiese Kate. “Lucas è venuto.”

“Non potevamo,” disse loro padre. “Non potevamo andarcene da questa città.”

“Perché no?” chiese Sofia.

“Il veleno,” rispose lui. “Stare in un posto come questo, isolati dal mondo, era l’unico modo per rallentare gli effetti quanto bastava per vedervi. Era l’unico modo per arrivare a raccontarvi tutto quello che dovevate sapere.”

Sofia deglutì al solo pensiero, all’idea dei suoi genitori costretti a scappare non solo dal regno, ma dal mondo stesso per poter sopravvivere. Ma una delle parole pronunciate da suo padre le rimase in testa.

“Aspetta, hai detto che il veleno è stato rallentato restando qui. Non fermato?”

“No, mia cara,” disse loro madre. “Il veleno è ancora in noi, e sta ancora agendo per ucciderci. Anche solo il breve momento di collegamento con il mondo tramite la momentanea apertura della porta l’ha accelerato. Vorrei… vorrei così tante cose, ma non c’è tempo per nessuna di esse. Vostro padre e io… stiamo morendo.”

CAPITOLO TRE

Sebastian cercava di celare la sua frustrazione mentre parlava con Asha e Vincente. Ovviamente non era facile nascondere qualcosa a quei due, dato che sapevano leggere le menti.

“I rifugiati non possono starsene nelle tende per sempre,” disse.

“Non è per sempre,” disse Vincente. “Solo fino a che l’esercito che ci minaccia non avrà sloggiato.”

“E se non è di loro gradimento,” disse Asha, “possono sempre andare in prima persona ad affrontarli. Non sono loro a tenere uno scudo attorno a Casapietra. Non sono loro che danno la caccia ai nostri aggressori. Dovrebbero essere riconoscenti.”

Riconoscenti di essere incastrati nelle tende. Riconoscenti di aver perso le proprie case e i propri cari. Riconoscenti di essersi trovati costretti a chiedere aiuto.

“Non è questo che intendo,” disse Asha, e ancora una volta era ovvio che si era immersa a fondo nei suoi pensieri.

Sebastian guardò verso il punto in cui Emeline e Cora stavano sedute, con sua figlia Viola rannicchiata tra le braccia di quest’ultima. Cora sembrava felice con lei lì, e Sebastian le era riconoscente per questo, perché aveva visto quanto fosse rimasta ferita dalla morte di Aidan.

“Emeline, puoi aiutarmi?” le chiese. “Asha sta spiando nei miei pensieri.”

Emeline si avvicinò lanciando un’occhiata poco amichevole alla donna che stava a capo di Casapietra. Sebastian sentì qualcosa che gli si avvolgeva attorno alla mente come un mantello, e immaginò che servisse a bloccare le intrusioni da parte di Asha.

“Potrei benissimo passarci attraverso,” disse Asha.

Emeline sorrise a denti stretti. “E invece no, e se tu usassi le dovute maniere, non ce ne sarebbe stato bisogno.”

“Perché la gente dovrebbe voler nascondere i propri pensieri se non sta pensando a niente di sbagliato?” ribatté Asha, ma non sembrava particolarmente convinta.

“Stiamo cercando ogni spazio possibile per la gente,” disse Vincente. “Sei il nostro re, Sebastian.”

Asha lo guardò con evidente sorpresa, e Sebastian ebbe la sensazione che fosse in atto una conversazione silenziosa tra i due. Emeline gliene fornì il contenuto.

“Asha sostiene che Sofia potrebbe anche essere la loro regina, ma tu sei il figlio della vedova, e lei non può seguirti. Dice che entrambi sanno che Viola è la loro vera regina.”

Emeline fece un sorrisino e Asha la fulminò con lo sguardo.

“Non sono imbarazzata,” disse Asha. “La principessa Viola è una di noi. Appartiene a questo posto, e sarà una grande regina.”

“Un giorno,” confermò Sebastian. Però non gli piaceva il modo in cui Asha lo aveva detto. Lo faceva suonare come se lui e Sofia non contassero, come se la loro esistenza fosse veicolata solo a portare Viola nel mondo.

“Sebastian è il nostro re,” disse Vincente a voce alta. “Sofia è la nostra regina, e Casapietra supporta la corona. Creeranno un mondo dove potremo vivere, Asha.”

“Non hanno neanche un mondo dove poter vivere loro,” disse Asha indicando le tende. “Li abbiamo salvati e loro si lamentano. ‘Abbiamo solo delle tende’. ‘Perché non c’è altro cibo?’ ‘E se stessero leggendo i miei pensieri?’ Ci esauriamo per proteggerli, e loro si meravigliano quando ci ribelliamo.”

“Ci vorrà tempo, Asha,” disse Emeline. “Ci vorrà solo…”

Sebastian la vide rimanere immobile sul posto, gli occhi fissi su qualcosa dietro di lui. Sapeva cosa significava: stava vedendo qualcosa ben oltre i confini della città nascosta.

“Cosa c’è?” disse quando vide Emeline sbattere le palpebre ritornando in sé. “Cos’hai visto, Emeline?”

“Qui non siamo al sicuro,” disse Emeline. “Ho visto… ho visto gli scudi che cadevano. Ho visto il Nuovo Esercito che li spazzava via.”

“Impossibile,” disse Vincente. “Gli scudi sono indistruttibili. Abbiamo respinto il nemico con facilità l’ultima volta.”

“L’ho visto,” insistette Emeline. Quando spostò lo sguardo su Sebastian, lui poté vedere quanto fosse seria al riguardo. “Dobbiamo portare Viola fuori di qui.”

Sebastian sbatté le palpebre, ma non poteva che essere d’accordo con lei. Se il Maestro dei Corvi stava per entrare a Casapietra, allora dovevano portare via Viola. Dovevano andarsene tutti.

“Ma non potete prendere Viola,” disse Asha. “È una di noi!”

Sebastian si voltò verso di lei, sorpreso da quell’improvviso tono protettivo. “Viola è mia figlia,” disse. “E non la metterò in pericolo.”

Vide Asha scuotere la testa. “Non è in pericolo. Vincente ha ragione. Nessuno potrebbe entrare a Casapietra.”

“L’ho visto succedere!” ribatté Emeline.

“Dove potremmo portarla?” chiese Sebastian. Se fossero riusciti ad arrivare fino alla costa, allora forse avrebbero raggiunto Ishjemme, ma questo avrebbe voluto dire abbandonare il regno che avevano appena ottenuto. Lo avrebbero perso prima che Sofia potesse anche solo tornare.

“Non c’è praticamente nessun posto forte come questo,” disse Vincente. “L’unico luogo che potrebbe essere più potente sarebbe stato Monthys nei giorni in cui le sue difese erano realmente attive, ma Monthys è caduta.”

“Il che significa che il nemico adesso non è lì,” sottolineò Emeline.

“Lo stesso non sarebbe forte,” ripeté Vincente. “Nei giorni prima delle guerre civili, aveva strati di magia e pietra, ma ora…”

Sebastian aveva sentito da Sofia come era adesso, danneggiata, praticamente in rovina. Ulf e Frig erano andati lì per tentare di ricostruirla, ma ora erano morti, uccisi dal Maestro dei Corvi. Probabilmente il Nuovo Esercito era già passato oltre, ma pensarlo come un posto sicuro era comunque una follia.

“Monthys attirerà la gente,” disse Emeline. “E poi ci saranno ancora le strutture portanti delle difese magiche. Possono essere riattivate.”

“Abbiamo difese magiche anche qui,” insistette Asha. “Viola è il motivo per cui vi abbiamo permesso di venire qui.”

“Non il solo motivo,” disse Vincente.

Asha lo guardò di sbieco, e Sebastian ebbe la sensazione che stessero discutendo. Ma era più interessato a ciò che Asha aveva detto.

“Avete accolto i rifugiati solo per mia figlia? Per un lampo di visione che hai avuto?”

Asha era in atteggiamento di sfida. “Non che ho avuto solo io. Chiunque possa cogliere lampi del futuro ha visto l’arrivo della regina. Non puoi negarlo.”

“Sarà mia figlia a scegliere il suo futuro,” disse Sebastian. “Farò tutto quello che serve per tenerla al sicuro, e per consentirle tali scelte. Combatterò per questo, se proprio devo. Non dimenticartelo, Asha.”

“Non siamo nemici,” disse Vincente. “Siamo…”

Sebastian non poté capire esattamente cosa fossero, perché in quel momento risuonarono delle campane, il segnale che stava accadendo qualcosa oltre le mura della città.

“Dobbiamo andare,” disse Emeline. “Sta arrivando.”

“Siamo al sicuro qui,” insistette Asha. “È solo un qualche piano per portare via la principessa Viola dalla sua gente.”

Sebastian la ignorò e corse verso le mura di Casapietra. Lo scudo che gli abitanti avevano eretto era attivo, sostenuto dagli sforzi delle persone che si trovavano all’interno del cerchio di pietra.

Davanti alla città si trovava un battaglione del Nuovo Esercito, i cannoni puntati, la cavalleria dispiegata come un rete. Sebastian era più interessato alle figure che si fecero avanti. Riconobbe subito il Maestro dei Corvi. L’uomo con la testa rasata che gli stava accanto fu più difficile da identificare, ma se ne stava quasi come fosse un pari del Maestro dei Corvi.

“Quello è Endi,” disse Emeline, “il cugino di Sofia.”

“Quello che ci ha traditi trascinando via mezza flotta dell’invasione?” chiese Sebastian. Aveva sentito le storie, anche se non lo aveva mai incontrato di persona.

“Proprio lui,” confermò Emeline.

“E cosa ci fa con il Maestro dei Corvi?” chiese Sebastian.

“Niente di buono,” rispose Emeline. “Sebastian, dobbiamo uscire da qui.”

Accanto a loro i guerrieri di Casapietra e quelli tra i rifugiati che potevano combattere iniziarono a prendere posizione. Lo fecero con un sorprendente senso di sicurezza, ma poi, pensò Sebastian, si trovavano dietro allo scudo. Fintanto che quello teneva, non c’era nulla da temere. Erano al sicuro.

Allora perché Emeline aveva avuto una visione di distruzione?

Sebastian rimase lì, cercando di mostrare sicurezza anche mentre la sentiva sfumare via. In assenza di Sofia, c’era lui a capo di quel regno, e aveva il dovere di fornire la forza da cui potessero trarre tutti gli altri. Se avesse dimostrato paura, allora si sarebbe scatenato il panico.

Lentamente Endi iniziò a camminare attorno al perimetro di Casapietra, fermandosi a intervalli di pochi passi per fare qualcosa con degli ingredienti che venivano portati da un paio di servitori. Usava un bastone dorato per fare dei segni, leggendo da un libro man mano che si spostava.

“Qualcuno può sparargli con un moschetto?” chiese Sebastian.

“A questa distanza?” chiese Vincente. Iniziò a caricare il suo. “Improbabile, ma possiamo provarci.”

Gli altri guerrieri di Casapietra iniziarono a preparare le loro armi. Sembrarono metterci un penoso lunghissimo tempo per prepararsi.

“Fuoco!” gridò Vincente, e una raffica di colpi sfrecciò attraversando la brughiera, ma nessuno di essi andò a colpire Endi. “È troppo lontano. Forse un cannone potrebbe riuscirci.”

Sebastian vedeva chiaramente che non ce l’avrebbe fatta. Endi si stava muovendo troppo rapidamente perché un cannone potesse restare puntato correttamente contro di lui, e l’idea di colpire un uomo con un’arma da artiglieria era comunque ridicola. Non potevano neanche tentare un assalto là fuori per fermarlo, perché avrebbe significato abbassare lo scudo.

Tutto ciò che potevano fare era aspettare.

Sebastian guardava il cugino di Sofia mentre completava il suo percorso attorno a Casapietra. Aveva quasi finito un giro intero. In qualche modo Sebastian aveva la sensazione che dovessero fermarlo prima che completasse tutto il giro. La forza non avrebbe funzionato, ma magari l’ingegno sì.

“Endi,” gridò. “Endi, sono Sebastian, il marito di Sofia.

Vide Endi fermarsi e voltarsi a guardarlo.

“So chi sei,” gridò Endi in risposta.

“Sarebbe più facile parlarti se fossi più vicino.”

“Sarebbe più facile anche spararmi,” precisò Endi. “E hai già dimostrato di essere intenzionato a farlo.”

“Cosa stai facendo, Endi?” chiese Sebastian. “Sei il cugino di mia moglie. Mia figlia è sangue del tuo sangue. Non dovresti dare una mano ai nostri nemici.”

Endi lo guardò a lungo. “Se i parenti fossero l’unica cosa che conta, saresti morto insieme ai tuoi, e i miei non mi avrebbero cacciato.”

“Ma stai aiutando il Maestro dei Corvi!” gridò Sebastian. “Sai quanto sia malvagio. Ha attaccato Ishjemme, e la tua famiglia, e i tuoi amici!”

 

“Almeno lui ha un posto per me!” gridò Endi, e riabbassò il bastone dorato facendo un’ultima serie di segni. Sembrava mormorare delle parole tra sé e sé, e rapido quasi come un serpente si girò, pugnalando prima un servitore e poi l’altro, versando il loro sangue a terra.

Delle strisce di potere scorsero negli spazi che aveva percorso, colorate di un rosso sangue intenso. Sembrava che l’aria soprastante fosse carica di energia vorticante, e per un momento Sebastian pensò di sentire grida di morte oltre i limiti del loro insediamento. Risentì quelle grida riecheggiare dietro di sé, e si voltò vedendo la gente che barcollava nel cerchio di pietra nel cuore di Casapietra, stringendosi la testa come colpiti da estremo dolore. Uno cadde in avanti e non si rialzò.

Sebastian fece giusto in tempo a rigirarsi per vedere lo scudo che lampeggiava e poi si estingueva, brillando nell’aria per un secondo prima di cadere del tutto. Corni e trombe risuonarono nella brughiera, riecheggiando mentre annunciavano i loro comandi. Il tuonare degli zoccoli dei cavalli lanciati al cavallo si unì al frastuono generale.

Sebastian vide che il Nuovo Esercito iniziava ad avanzare, e ora non c’era nulla che loro potessero fare per fermarli.

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