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Garibaldi e Montevideo

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«Desaguadero, 22 settembre 1841.

»Il preteso selvaggio unitario, Mariano Acha è stato decapitato ieri, e la sua testa esposta agli sguardi del pubblico.

»Firmato Angelo Pacheco.»

Quest'Angelo Pacheco è un cugino del generale Pacheco y Obes, ma che segue, come si vede, una strada differente da quello. Voi avete letto sul rapporto di Santos Ramirez anche la frase: tra loro, cioè fra i prigionieri, v'ha un figlio di La Madrid. Ebbene aprite la Gaceta Mercantile, N. 5703, del 21 aprile 1842 e vi troverete questa lettera scritta da Nazaro Benavidès a don Juan Manuel Rosas:

«Mira florès, in marcia, 7 luglio 1842.

«Nei miei dispacci precedenti io vi ho detto i motivi per i quali io riteneva il selvaggio Ciriaco La Madrid (figlio del Peloso); ma sapendo che quest'ultimo s'è indirizzato a parecchi capi della provincia per trascinarli alla defezione, io ho fatto, al mio arrivo a Rioja, decapitare il primo come pure il selvaggio unitario, Manuel-Julian Frias, nativo di Santiago.

» Segnato: Nazaro Benavidès.»

Il generale Don Manuel Oribe, colui che gli organi di Rosas chiamano l'illustre, il virtuoso Oribe, ha comandato per qualche tempo le armate di Rosas, incaricato di sottomettere le Provincie argentine. Una delle sue divisioni disfece, il 15 aprile 1842, sul territorio di Santa-Fè, le forze comandate dal generale Juan Pablo Lopez. Nel numero dei prigionieri si trovò il generale Don Apostol Martinez. Leggete il bullettino del fatto d'arme, pubblicato a Mendoza, questo bullettino contiene una lettera segnata dall'illustre e virtuoso Oribe; essa è indirizzata al generale Aldao governatore della provincia:

«Dal quartier generale delle Barrancas
de Coronda, il 17 aprile 1848.

» … Trenta e tanti morti e parecchi prigionieri, fra i quali il preteso generale selvaggio Juan Apostol Martinez, al quale è stata tagliata ieri la testa, ecco il risultato di questo fatto onorevole per le nostre armi federali. Io mi congratulo con voi di questo glorioso successo e mi dico vostro servitore devoto

»M. Oribe.»

Già che abbiamo nelle mani questa Gaceta Mercantile, apriamo il N. 5903, alla data del 20 settembre 1842, e noi vi troveremo un rapporto officiale di Manuel-Antonio Saravia, impiegato nell'armata d'Oribe. Questo rapporto contiene una lista di diciassette individui, fra i quali un capo battaglione ed un capitano che furono fatti prigionieri a Numayan e subirono il castigo ordinario della PENA DI MORTE.

Giacchè parliamo dell'illustre e virtuoso Oribe, ci sosterremo alquanto; noi troviamo il suo nome nel N. 3067 del Diario de la Tarde del 22 ottobre 1841 in occasione della battaglia di Monte-Grande, di cui egli ha fatto il rapporto; in questa relazione officiale si leggono le linee seguenti:

«Quartier generale al Ceibal,
14 settembre 1841.

»Fra i prigionieri s'è trovato il traditore selvaggio unitario ex-colonello Facundo Borda, che fu giustiziato sull'istante medesimo unitamente ad altri sedicenti officiali tanto di cavalleria che d'infanteria.

»M. Oribe.»

Un traditore dà nelle mani di Oribe il governatore di Tucuman ed i suoi officiali: ed egli, l'illustre, il virtuoso dà quella nuova a Rosas in questi termini:

«Quartier generale di Metan,
3 ottobre 1841.

»I selvaggi unitarii che mi ha consegnato il comandante Sandeval, e che sono: Marcos, M. Avellaneda preteso governatore di Tucuman, colonnello J. M. Vilela, capitano José Espejo ed il luogotenente in primo, Leonardo Sosa, sono stati sul momento giustiziati, nella forma ordinaria, ad eccezione d'Avellaneda, cui ho ordinato di tagliare il capo per essere esposto agli sguardi del pubblico sulla piazza di Tucuman.

»M. Oribe.»

Ma Oribe non è il solo luogotenente di Rosas che sia incaricato delle esecuzioni del dittatore, vi è pure un certo Maza che gli organi di Rosas si sono dimenticati di qualificare l'illustre ed il virtuoso, e che non per tanto merita questo doppio titolo, come si può vedere in questa lettera inserita nel numero 5483 della Gaceta, in data del 6 dicembre 1841.

«Catamarca, il 29 del mese di Rosas 1841.
A Sua Eccellenza il sig. Governatore D. Cl. A. Arredondo

»Dopo oltre due ore di fuoco, e dopo avere passato a fil di spada tutta la fanteria, anche la cavalleria è stata messa alla sua volta in rotta, ed il capo solo fuggì per il Cerro d'Ambaste con trenta uomini; presentemente lo si insegue, e la sua testa sarà bentosto sulla piazza pubblica, come vi sono già quelle dei pretesi ministri Gonzales y Dulce, e d'Espeche.

»Firmato M. Maza.»

»Viva la federazione!»

Lista nominativa dei selvaggi unitarii sedicenti capi ed officiali, che sono stati giustiziati dopo il fatto del 29.

«Colonnello: Vincente Mercao.

»Comandanti: Modesto Villafane, Juan Pedro Ponce, Damosio Arias, Manuel Lopez, Pedro Rodriguez.

»Capi di battaglione: Manuel Rico, Santiago de La Cruz, Josè Fernandes.

»Capitani: Juan de Dios Ponce, José Salas, Pedro Araujo, Isidoro Ponce, Pedro Barros.

»Aiutanti: Damasio Sarmiento, Eugenio Novillo, Francisco Quinteros, Daniel Rodriguez.

»Luogotenente: Domingo Diaz.

«Firmato M. Maza.»

E giacchè siamo a Maza, continuiamo, dopo verremo a Rosas.

«Catamarca, 4 novembre 1841.

»Vi ho già scritto che qui noi abbiamo messo in rotta completa il selvaggio unitario Cubas, che era inseguito e che noi avremmo avuto presto la testa del bandito.

»Infatti è stato preso, al Cerro di Ambaste, nel proprio letto; di conseguenza la testa del detto brigante Cubas è esposta sulla piazza pubblica di questa città.

»Dopo il fatto. Si sono presi diciannove officiali che seguivano Cubas. Non fu loro dato quartiere; il trionfo è stato completo, neppur uno c'è sfuggito.

»Firmato A. Maza.»

Guardiamo di volo nel Boletin de Mendoza, n. 12, una frase scritta in una lettera diretta dal campo di battaglia d'Arroyo-Grande e indirizzata al governatore Aldao dal colonnello D. Geronimo Costa.

«Noi abbiamo fatti prigionieri più di cento cinquanta capi ed officiali, che furono giustiziati sull'istante.»

Ho promesso di parlare di Rosas; debbo tener parola.

Quando il colonnello Zelallaran fu ucciso, si portò la sua testa a Rosas; questi passò tre o quattro ore a rotolarsela fra i piedi e sputarvi sopra. Sa che un altro colonnello, compagno d'arme di quello, è prigioniero, pensa subito di farlo fucilare, ma poi cambia di parere, in luogo della morte lo condanna alla tortura e comanda che il prigioniero per tre giorni resti due ore a guardare quella testa mozza posta sopra d'un tavolo.

Nel 1833, Rosas faceva fucilare in mezzo alla piazza San-Nicolas una parte dei prigionieri dell'armata del general Paz. Fra quelli si trovava il colonnello Videla, antico governatore di Saint-Louis. Al momento del supplizio il figlio del condannato gli si getta fra le braccia; separateli, dice Rosas; ma il ragazzo si afferra a suo padre; allora, fucilateli tutti e due, dice Rosas; ed il padre ed il figlio cadono morti stretti nelle braccia l'uno dell'altro.

Nel 1834, Rosas fece condurre su di una piazza di Buenos-Ayres ottanta indiani prigioni, ed in pieno giorno, su quella piazza, davanti a tutti, li fece scannare a colpi di baionetta.

Camilla O'Gorman, giovane di diciott'anni, d'una delle prime famiglie di Buenos-Ayres, viene sedotta da un prete di ventiquattr'anni. Lasciano tutti e due Buenos-Ayres rifugiandosi in un piccolo villaggio di Corrientes, nel quale, dicendosi maritati, aprono una specie di scuola. Corrientes cade in potere di Rosas; il giovane vien riconosciuto da un prete e denunciato a Rosas colla sua compagna; ambidue sono ricondotti a Buenos-Ayres, dove senza nessun giudicio, Rosas ordina che sieno fucilati.

– Ma dite a Rosas che Camilla O' Gorman è incinta di otto mesi.

– Battezzate la pancia, risponde Rosas, se volete salvare l'anima di quel fanciullo; e battezzato il ventre, Camilla O' Gorman viene fucilata: tre palle attraversano i bracci dell'infelice madre che per un movimento naturale, ella aveva stesi per proteggere suo figlio.

Ora, come avvenne che la diplomazia si fece nemica di Garibaldi, e amica di Rosas? Egli è che l'Inghilterra una volta imponeva a tutti la sua volontà.

Capo Quarto

Tornando ora a Montevideo, da cui ci allontanarono un poco Achille e Tersite, abbiam già detto, come il 3 febbraio 1843 non vi fosse denaro, nè viveri, nè depositi, nè materiali di guerra. In quel giorno il ministro della guerra chiedeva a quel delle finanze quali fossero le risorse onde organizzar la difesa, e ne avea per tutta risposta, potersi reggere a stento sino al ventesimo giorno.

 

– E quanto tempo resistettero gli Spagnuoli nel primo assedio? gli chiedeva di nuovo.

– Ventitrè mesi, rispose il ministro delle finanze, ed erano in migliore situazione di noi.

– Ebbene, noi terremo per ventiquattro, disse Pacheco y Obes; vergogna a noi, se ciò che fecero gli stranieri per la tirannide non lo potremo noi a difesa della libertà.

Montevideo resiste da ben sett'anni!

Egli è però vero che il primo decreto del ministro della guerra diceva:

– La patria è in pericolo! —

– Il sangue e l'oro dei cittadini appartiene alla patria. —

– Chi ricuserà alla patria il suo oro o il suo sangue, sarà punito di morte. —

Benchè le molli abitudini di Montevideo fossero d'inciampo a tali misure, e che gli individuali interessi levassero alta la voce, pure tutti i cittadini, niuno eccettuato, ebbero a contribuire col loro sangue e denaro. E primo il ministro della guerra ne fe' l'applicazione sulla propria famiglia. L'armata nemica era alle porte di Montevideo, e mancava tuttora una ambulanza ai futuri feriti delle battaglie future.

Il colonnello Pacheco y Obes, visitando la famiglia, che fuggita la campagna, avea riparato in città, s'accorse che l'edifizio occupato per essa, si prestava ad ospitale; e chiamate a sè le sorelle, annunzia loro la necessità di abbandonare la casa.

– Ma la nostra madre ammalata sarà senza tetto!

– Oh! s'aprirà una porta in Montevideo ad ospitare la madre del ministro della guerra.

Diffatti la madre e le due sorelle fuggitive sono raccolte, e l'armata assediata ha un ospedale.

Due giovani cugini germani del ministro, ed uno tra' suoi teneri amici che volevano sotto l'egida dell'amicizia e del sangue eludere il decreto, sono per ordine del ministro strappati alle loro case e condotti all'armata.

La famiglia del generale Rivera, presidente della Repubblica orientale, aveasi, in onta alla legge, riservato due schiavi, tenendosi sicura all'ombra del potere e del nome. Ma il colonnello Pacheco y Obes recatosi in persona dal generale Rivera, affrancati i due schiavi, li fe' soldati.

Don Luis Baëna, negoziante tra' primi della città, convinto di tener pratiche col nemico, viene secondo la legge condannato dal tribunal militare alla fucilazione. Allora i commercianti stranieri convenuti per impetrarne la grazia, conoscendo le strettezze del pubblico tesoro, offrono in riscatto la somma di L. 300,000 a vestire l'armata. Proclivi al perdono erano gli altri membri del governo, solo il colonnello Pacheco reclamando l'applicazion della legge:

– Se la vita d'un uomo potesse riscattarsi coll'oro, diss'egli, l'erario per quanto povero riscatterebbe quella di Baëna, ma la vita d'un traditore non si riscatta mai. E Baëna vien fucilato.

Di tal modo procedea la difesa tanto dal lato morale, se così è lecito esprimersi, che dal fisico.

In allora Montevideo non avea che una linea di fortificazioni appena tracciata, difesa da soli cinque cannoni. Antichi pezzi d'artiglieria, che per essere inutili, serviano a riparo delle strade, furono estratti; e collocati sui carri, e improvvisata una fonderia, e una fabbrica di polvere, la linea delle fortificazioni in poco d'ora ridotta a termine, potè ricevere cento cannoni; molti de' quali però nel mietere largamente le vite dell'inimico, erano talvolta fatali agli artiglieri che ne aveano il governo.

A datare dal 16 febbraio fu d'uopo mettere in campo questa armata di giovani coscritti, in cui vedevi confuso il ricco signore al povero operaio, l'uomo di lettere allo schiavo restituito alla libertà, a fronte d'un esercito di veterani superbi degli antichi trionfi e forti del terrore che la loro barbarie incuteva. E pure tale prodigio ebbe a compirsi, poichè reggevali in guerra il generale Paz; alla cui lunga esperienza, e sommi talenti, e nobile patriottismo, era dato ottenere insperati successi.

Nè dal suo canto venia meno l'opera del ministro della guerra, che co' suoi forti partiti, colle sue infuocate parole, e colla fede immensa nell'onor nazionale, aveva trasfuso nell'armata uno slancio potente. Di tal modo l'esercito severamente disciplinato alle scaramuccie, alle fazioni, ai combattimenti d'ogni giorno, divenne in breve un pugno d'eroi. E noi diciamo ogni giorno, e ci giova ripeterlo perchè difficile a credersi, sì, ogni giorno si veniva alle mani, e la città ogni giorno si intratteneva, come Troia, d'un eroico fatto de' suoi difensori, o d'una barbara azione de' suoi nemici. Così la difesa traea nuovo vigore dal doppio fomite dell'entusiasmo e dell'odio.

Delle crudeltà dell'armata assediante, necessità vuole che per noi si tenga ancora parola, perchè incredibili, e perchè sappia l'Europa a quali uomini è riservata l'America del Sud, se sventuratamente Montevideo, ultimo propugnacolo della civiltà, fia che cada nelle lor mani.

Giammai dagli assedianti fu graziato del capo un sol prigioniero, e felice colui che moriva senza torture.

Si svolga per poco la storia dell'assedio di Montevideo; e si legga alla pagina 101 la dichiarazione di Pedro Toses capitano nell'armata d'Oribe, fatta davanti la polizia di Montevideo.

Egli dichiara:

Non ricordare il numero dei prigionieri fatti dalle truppe di Rosas alla battaglia de l'Arroyo-Grande; sapere bensì, perchè testimonio oculare, che fu mozzato il capo a cinquecento cinquantasei uomini. «Si conduceano le vittime a venti a venti, nude, colle mani legate: ed ogni drappello tenea dietro uno strangolatore. Giunti sul luogo destinato al supplizio i prigionieri, fattili ad uno ad uno inginocchiare, loro si squarciava la gola.»

Tanto si facea per il comune dei martiri, ma gli officiali superiori otteneano terribili distinzioni.

Pedro Toses asserisce aver visto mettere a morte il colonnello Hinestrosa; spogliato degli abiti, fu da prima mutilato. Un tale supplizio era sino a' dì nostri solo retaggio degli Abissinj. Mozzategli poi le orecchie, gli venne a pezzi strappata la carne, finchè il suo corpo non fu che una piaga: allora i soldati del battaglione di Rincon lo stremarono a colpi di baionetta, e per farne dono al lor capo ne trasser la pelle.

Aggiunge poi (senza dettagli sulla di lui morte) che seconda vittima fu il luogotenente colonnello Leon Berutti.

Che il colonnello Mendoza fu strangolato;

Che il maggiore Stanislas Alonzo venne ucciso a colpi di bastone;

Che il maggiore Giacinto Castillo, il capitano Martinez, e il sottotenente Luigi Lavagna furono fatti a brani;

Che il luogotenente Arismendi, pria mutilato, fu strangolato;

Che il luogotenente Acosta spogliato vivo, morì gridando: Viva la libertà;

Infine che il luogotenente Gomez fu strangolato, del paro che il sottotenente Cabrera y Carillo.

A tali enormezze si erano abbandonati gli assedianti, nella speranza, che inorriditi a simile macello i difensori di Montevideo sarebbero venuti meno all'impresa. Ma si ingannavano a partito, poichè fatti accorti che venendo alle mani di Rosas era vano lo sperar grazia, compresero la necessità di battersi sino alla morte.

Ma questi nuovi soldati ora combattendo in imboscate, o in terreni accidentati, o dietro le fortificazioni non aveano peranco provato al nemico di quanto fossero capaci in campo aperto. Il ministro della guerra prese a sciogliere questo problema.

A tale effetto, la notte del 10 marzo 1843 ei si recava con una divisione ai piedi del Cerro, e l'undici quella parte d'armata che assediava questa fortezza era completamente battuta.

Il 10 giugno 1843 e il 28 marzo 1844 le armi di Montevideo capitanate sempre dal ministro della guerra trionfavano delle forze nemiche; e in questa giornata il generale Angel Nunnez, circondato dai cadaveri di molti tra' suoi soldati, moriva sul campo di battaglia. Egli, il più prode degli officiali di Rosas, era un traditore, poichè sui primi dì dell'assedio, abbandonata l'armata orientale, erasi dato in braccio al dittatore.

In questo stesso terreno il generale Paz batteva il 26 febbraio 1844 una divisione nemica; e il 24 aprile dello stesso anno vi avea luogo tra le due armate un lungo combattimento indeciso; e finalmente il 30 settembre, 100 cavalieri di Montevideo sotto il colonnello Flores, vi battevano 500 cavalieri nemici.

Di tal modo l'infausto nome del Cerro venia mutato in quello di campo fortunato.

Ora nel mentre che Montevideo sentia tuttodì quasi alle porte tuonare il cannone nemico, la città porgeva agli occhi delle nazioni lo spettacolo ammirando dell'unione nel pericolo, dell'unità nella costanza. Gli uomini tutti di cuore eransi fatti attorno al governo e lo appoggiavano in ogni maniera a misura de' propri mezzi con un patriottismo, di cui forse l'istoria non ricorda un esempio secondo.

È dolce per noi il nominar qui, onde sappiano che son noti all'Europa, Francisco J. Munnoz, Andres Lamas, Manuel Herrera y Obes, Julian Alvares, Alexandro Chucarro, Luis Penna, Florencio Varela, Fermin Ferreira, Francisco Agell, Joaquin Sagra, Juan Miguel Martinez; cittadini tutti di Montevideo, che saranno cittadini del mondo in quel giorno che tutti i popoli saranno fratelli in una repubblica universale.

Lamas, allorchè Pacheco y Obes entrò al ministero, fu scelto a prefetto di Montevideo, e diè prova di una attività straordinaria e d'un patriottismo ardentissimo. Uomo di rari talenti e d'immensa istruzione, va annoverato tra' primi poeti dello Stato Orientale. Egli tenne poi il ministero delle finanze, ed ora è rappresentante della repubblica al Brasile.

Noi abbiam detto come la famiglia del colonnello Pacheco y Obes si fosse ricoverata a Montevideo, e come la stessa fortuna avessero seguito gli abitanti della campagna. Meglio di quindicimila persone eran fuggite innanzi al nemico, di nulla altro curanti che della propria salvezza. Era dunque debito del governo fin dal principiar dell'assedio soccorrere ai bisogni di tante infelici famiglie, e assicurare un pane ai poveri della città; talchè più di 27 mila persone veniano alimentate e vestite dal pubblico tesoro.

Erasi pure provvisto agli ospedali, e la famiglia del Pacheco y Obes, come abbiam detto, cedeva la propria casa a cotal fine. I letti che vi sommavano a più di mille, concessi dalle famiglie più agiate, erano segno alle cure d'una pietà che sentia di magnificenza. I farmacisti fornivano gratis i medicamenti, i medici prestavano senza compenso la loro opera, mentre le signore, organizzate in associazione di carità, vegliavano pietose al letto dell'ammalato.

Nei giorni felici di Montevideo, all'epoca delle cavalcate che noi descrivemmo, allorchè i musicali concerti si diffondeano dalle case e per le strade, le sue tertulias gareggiavano in brio con quelle di Lisbona, di Madrid, di Siviglia, e i modi gentili, e la franca ospitalità degli abitanti formavano l'ammirazione degli europei, che in questa vergine terra rinvenivano il lusso e la coltura del vecchio mondo.

Ora invece durante l'assedio nei convegni serali era unica cura preparare filacce, e il conversare comune erano i combattimenti, le azioni eroiche, e i feriti del giorno.

Le grandi sciagure partoriscono le grandi virtù; e ne die' prova il dottore Fermin Ferriera, uno dei medici più distinti che vanti l'America.

Abbandonata, sui primi dì dell'assedio, la sua clientela, si consecrò al servizio degli ospedali e dei poveri. Da quel punto ei non ebbe riposo; avresti detto che questo uomo, spogliato quasi l'umana natura, non patisse difetto di cibo e di sonno. Sempre al letto dei malati e dei feriti li curava con amore di padre. Ridotto all'estremo, venduto per vivere ogni suo avere, nonchè i gioielli della moglie, parea che la miseria avvivasse il suo patriottismo. Ora chirurgo in capo dell'armata, e presidente dell'assemblea dei notabili, si trova, al paro di tutti i difensori di Montevideo, nelle maggiori strettezze.

E come se ogni cosa dovesse ritrarre l'impronta da tanto amore alla patria, l'assedio di Montevideo, epoca di stenti e miserie, ha visto nascere i più belli de' suoi stabilimenti di pubblica utilità.

Il ministro della guerra, Pacheco y Obes, fondò gli ospedali militari civili, e la casa degli invalidi, creò primo le pubbliche scuole, organizzò la società di mutuo soccorso.

Lamas, il capo politico, diè i nomi alle strade della città, e diè vita all'istituto istorico e geografico.

Herrera y Obes, ministro dell'interno, creò l'università.

Ad istanza di Bernardina Rivera, le signore eressero la società di beneficenza sotto il nome di Società delle signore orientali.

 

Anche durante l'assedio si coniò la prima moneta della Repubblica. Lamas ne ebbe il pensiero, e il ministro della guerra offerti gli argenti suoi e della famiglia e degli amici, fe' poscia appello al patriottismo del popolo che non fu sordo alla chiamata; e coll'aureo incensorio del sacerdote diè perfino lo sperone d'argento del cavaliere.

La moneta battuta a Montevideo portava queste sole parole: – Assedio di Montevideo.

Di tal modo la capitale della Repubblica orientale con un atto d'indipendenza individuale protestava contro gli attacchi di Rosas alla pubblica indipendenza.

Un fatto, taciuto sinora da noi, e che avrebbe dovuto aver gran peso nella nostra politica, era l'essere Montevideo una città quasi francese; poichè tra i suoi cinquantamila abitanti, ben ventimila appartenevano alla Francia. Ora costoro stretti alla popolazione per interessi di commercio e famiglia, era impossibile fossero stranieri agli eventi, e accettata la causa della patria adottiva, presero con ardore le armi alla difesa.

A tutto questo si aggiungevano le antipatie che dal 1839 erano nate tra i Francesi e i soldati di Buenos-Ayres. In allora autorizzati dal governo avean tolto le armi contro Echagüe, che poi venne da Rivera distrutto. Così, per gli antichi rancori verso i nostri compatriotti, si udiano i soldati di Rosas gridare agli avamposti di Montevideo:

«Che fanno dunque i Francesi che altre volte si armarono a vane comparse? perchè non armansi adesso che si combatte davvero?»

Malgrado tali parole la popolazione francese restò neutrale.

Ma una lieve favilla bastava ad accender gran fiamma. Essa venne dalla circolare d'Oribe, del primo aprile, in cui lagnandosi dei torbidi suscitati dagli stranieri, minaccia di considerarli quai selvaggi unitarii, ove non siano prudenti a nascondere le loro simpatie.

Levossi un grido di sdegno all'insolente provocazione, i Francesi corsero alle armi e s'organizzarono in legione; legione sacra, che sostenne, malgrado il governo, l'onor della Francia; legione invitta, che seppe resistere al fuoco ed alle seduzioni, e che ora spunta un'arme più terribile di quelle di Rosas, la calunnia dei giornali francesi.

La legione conta già ben sett'anni di vita; al suo nascere provvide da per sè stessa al vestito ed alle armi, nè toccò mai soldo, e lontana 3 milla leghe dalla patria, involta nella miseria oggimai a tutti comune, scalza e cenciosa, coperta di cicatrici, come la propria bandiera, va fiera della sua nudità per le vie di Montevideo, il cui abitante saluta il francese come fratello e lo venera come difensore.

E di vero, non v'ha palmo di terra nell'immensa linea di circonvallazione che difende Montevideo, che non sia bagnato di sangue francese; e sappianlo i ministri e il governo che gli ha abbandonati, più di mille de' nostri sono caduti a datar dall'origine della legione francese a questo giorno.

Il colonnello Thiébaut, antico uffiziale dell'armata imperiale, è capo di questa legione, e il colonnello Brie, già negoziante distinto, ora prode soldato, tiene il comando dei cacciatori baschi; il tenente colonnello Des Brosses, il dottore Martin de Moussy, e quasi tutti i francesi stabiliti a Montevideo ebbero parte nel formare questa legione.

Noi sappiam che a taluni è di niun prezzo l'ingiuria, di grandissimo invece la lode; noi diremo a costoro: Rosas ha versato l'oro a piene mani onde provocare la diserzione. Ebbene! da sette anni, un sol uomo ha disertato, ei si chiama Pelabert. Comandante del primo battaglione, fe' l'estremo d'ogni sua possa per trascinarlo con sè, e non ebbe al delitto che soli due complici.

Tre traditori in tremila uomini! ébberne più gli Spartani che contarono un fuggitivo sovra trecento.

Alla formazione della legione francese tenne dietro quella degli Italiani scossi alla voce di Garibaldi, avido di avventure e di pericoli.

Un nuovo campo si apriva a lui, che già comandante della flotta nazionale, sentiasi scosso dai colpi del cannone che tuonava alla campagna; e fu visto così lo stesso giorno governare il proprio naviglio, marciare alla baionetta alla testa d'un battaglione d'infanteria, e caricare in mezzo alla cavalleria uno squadrone nemico.

Ma il sospiro d'Italia gli giungeva sull'aure del Mediterraneo, e allora tutto cessò per lui; solo un sacro dovere poteva rimuoverlo dal compire un sì nobile sacrifizio.

A canto di Garibaldi brilla un nome illustre nella legione italiana. È quello di Francesco Anzani, uomo di sommo coraggio e di severi costumi da paragonarsi agli antichi. Mai non fu visto in Montevideo che in mezzo a' soldati, vestito come essi, dividendo i loro cibi, sognando la libertà di Italia, combattendo per quella del Nuovo-Mondo. La libertà era la speranza, il sospiro della sua vita.

Quando nel 1847 Garibaldi lasciò Montevideo, con un centinaio de' suoi legionarii per venire a combattere in Italia, Anzani gravemente infermo volle a ogni costo imbarcarsi, e moriva tre giorni dopo il suo arrivo in Italia, pensando all'indipendenza della patria, per cui Garibaldi allora dovea combattere inutilmente, tenendo l'occhio però a quell'avvenire che oggi finalmente si è maturato.

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