Il Volto della Follia

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Из серии: Un Thriller di Zoe Prime #4
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CAPITOLO DUE

Lorna si riparò gli occhi dal sole di fine Agosto, guardando il panorama dal crinale. All’orizzonte sorgevano pale eoliche, bianche e altissime sui campi verdi, cespugli affioranti, avvallamenti e specchi d’acqua che riflettevano il cielo azzurro. Ben presto, la vegetazione avrebbe iniziato ad assumere i toni dell’arancione o del marrone, ma per il momento era ancora brillante e piena di vita. Una tavolozza di verdi e bianchi. Colori perfetti per un’escursione in giornata.

Lorna si voltò a guardare la strada dalla quale era arrivata, gli edifici della città alle sue spalle. Era ancora abbastanza vicina da poterne distinguere alcuni: una chiesa, un centro sociale, la biblioteca accanto a un lembo di terra che era uno dei parchi. La sua casa. Aveva sempre vissuto in questa cittadina del Nebraska, ma con tutte le escursioni e tutte le comodità a portata di mano, non aveva mai pensato di trasferirsi altrove.

Rivolse nuovamente lo sguardo al sentiero davanti a sé e ricominciò a camminare. Nella sua mente, stava tracciando il percorso per il resto della giornata: sarebbe scesa lungo questo crinale e avrebbe oltrepassato quello successivo, superando la base della prima pala – che per uno strano scherzo della prospettiva era sempre più imponente del previsto – per poi proseguire. Si sarebbe fermata soltanto dopo aver raggiunto uno dei suoi punti preferiti: un lago che, a guardarlo bene, aveva quasi la forma di un cuore. Avrebbe sostato lì per un po’, dopodiché avrebbe imboccato una stradina circolare che l’avrebbe ricondotta verso la città e la sua auto, prima di fare ritorno a casa, in tempo per l’ora di cena.

Stava pensando di fermarsi al negozio di alimentari lungo la strada per acquistare qualcosa di già pronto in modo da non dover cucinare. Non era una cattiva idea. Una ricompensa per la fatica della giornata.

Fece i salti di gioia mentre percorreva l’adorato percorso, seguendo i passi di molte altre persone nonché la sua stessa ombra, proiettata davanti a sé su questa stradina che aveva battuto centinaia di volte. Era fortunata a vivere nelle vicinanze di questa serie di piste, che offrivano così tanta bellezza e varietà. Non doveva guidare per dirigersi nel mezzo del nulla come erano costrette a fare altre persone. La sicurezza di casa era sempre alle sue spalle.

Lorna respirò profondamente quell’aria fresca mentre saliva su un altro crinale, flettendo le spalle e sentendole invase dal calore del sole. Con il suo cappellino a proteggerle la testa e il viso, si stava godendo il caldo. Le sue braccia scoperte, sulle quali aveva spalmato un bel po’ di crema solare prima di partire, erano libere di essere sfiorate dalla brezza, cosa che manteneva confortevole la sua temperatura corporea. Era quasi la giornata perfetta. Nella sua mente abbozzò quel panorama, una vista del tutto familiare che avrebbe potuto ritrarre a memoria.

Abbassò lo sguardo e quasi inciampò, fermandosi poco prima di andare a sbattere contro un altro escursionista seduto sul percorso roccioso, appena al di sotto della cima della collinetta. Era un uomo, che aveva in mano uno scarpone da trekking e stava prestando assistenza alla propria caviglia.

“Oh!” esclamò, riacquistando l’equilibrio. “Dio, non l’avevo vista. Mi scusi, stavo quasi per caderle addosso!”

Lui le rivolse un accenno di risata, inclinando la testa all’indietro per guardarla da sotto il proprio cappellino. “Oh, wow, no, dispiace a me, è colpa mia. Non avrei dovuto sedermi nel bel mezzo di un punto cieco.”

“Va tutto bene?” domandò Lorna. Ora che lui aveva la testa all’indietro, riusciva a vedere quanto fosse attraente. Un aspetto classico: un naso importante, zigomi pronunciati, una mascella virile, simile a tre linee rette su una pagina. Era anche giovane, probabilmente sulla trentina. Il suo cuore accelerò. Quasi senza rendersene conto, raddrizzò la schiena, spingendo in fuori il petto e rammaricandosi di non essere un po’ più truccata.

“Oh, sì,” disse lui con disinvoltura, facendole un cenno con una mano mentre rivolgeva nuovamente l’attenzione alla propria caviglia. “Una sciocchezza, in realtà. Credo sia solo una leggera distorsione.”

“Cos’è successo?” domandò Lorna. Le sue mani si piegarono sulle cinghie dello zaino, e le lasciò scivolare sui fianchi.

Lui indicò una roccia, non lontana dalla cima del crinale. “Mi sono slogato la caviglia su quella roccia mentre scendevo dal crinale. Stavo guardando il panorama invece di fare attenzione a dove mettessi i piedi. Un errore da novellino, no?”

Lorna sorrise. “Proprio così. La regola è: fermati e ammira il panorama, poi torna a guardare il terreno su cui cammini.”

“Lo so, lo so,” disse lui, scrollando le spalle con aria impotente. “Immagino che questo mi insegni a fare attenzione quando esco in posti che non conosco.”

“Vuoi che chiami qualcuno?” domandò Lorna. Le sue mani si mossero verso le tasche, dove il suo cellulare era in attesa in caso di emergenza. “O magari che ti aiuti ad alzarti?”

“Me la caverò,” disse lui, iniziando a infilare nuovamente lo scarpone. “Devo rimettermi in cammino. Mi basterà fare due passi per stare meglio, credo.”

“Sicuro?” Lorna esitò, guardandolo con aria preoccupata. Secondo i suoi amici, aveva la tendenza a essere iperprotettiva. Non poteva farne a meno. Vedere qualcuno in difficoltà e non cercare di essere d’aiuto le metteva ansia.

“Sì, sì,” disse lui, allacciandosi la scarpa. “Sinceramente, mi sento davvero un idiota. Ma quantomeno sono stato fortunato che a trovarmi intento a pentirmi di uno stupido errore sia stata una bella donna!”

Le guance di Lorna arrossirono lievemente. L’aveva chiamata “bella donna”, ma l’avevo detto come se nulla fosse, senza neanche guardarla, mentre usava quel suo stesso sfogo per rimettersi faticosamente in piedi. Come se fosse un fatto evidente, qualcosa che non avesse bisogno di ulteriori discussioni né di scambi di sguardi, perché era scontato per entrambi.

Lorna si fece un po’ da parte per fargli spazio, allungando inconsapevolmente una mano verso di lui nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto. L’uomo saltellò e si mosse un po’ a fatica, testando il peso sulla caviglia prima di uniformarlo su entrambi i piedi. Una postura semplice, comoda ed esperta, nonostante il dolore.

“Sicuro di stare bene?” domandò Lorna. Lo guardò con aria dubbiosa, quasi aspettandosi che lui inciampasse e cadesse nuovamente a terra.

L’uomo testò il piede ancora un po’, muovendosi gradualmente fino ad appoggiarvi la maggior parte del peso. “A quanto pare,” rispose lui, mostrandole un sorriso. “Ma non ho nessuna intenzione di rischiare. Andrò verso l’auto e tornerò a casa.”

“Lascia che ti accompagni,” si offrì immediatamente Lorna, sia perché era la cosa giusta da fare, sia perché, in segreto, desiderava trascorrere ancora un po’ di tempo con questo bellissimo sconosciuto. Forse, se fosse stato uno del posto, avrebbero potuto scambiarsi i numeri e concordare un’escursione da fare insieme, uno di questi giorni.

“Non voglio disturbarti,” disse lui, altrettanto rapidamente. “Avrai sicuramente i tuoi programmi e io mi sto mettendo in mezzo. La tua camminata è appena iniziata, no?”

Il respiro le si fermò per un istante. “Come fai a saperlo?”

Lui indicò la strada da cui era venuta. “Sei arrivata dal parcheggio alla base del sentiero. Proprio come me.”

Lei annuì, sorridendo per la sua paranoia. “Certo,” disse. “Beh, non c’è problema, figurati. Non mi sentirei a mio agio al pensiero di lasciarti tornare a piedi da solo. Mi dispiacerebbe molto se, al mio ritorno, ti vedessi seduto a terra perché non ce l’hai fatta a tornare giù.”

Le sue labbra, che avevano una perfetta forma ad arco ed erano così carnose da far venire voglia di baciarle, si incurvarono in un sorriso. “Va bene,” disse. “Non ho nessuna intenzione di farti dispiacere. Forza, andiamo.”

Si voltarono insieme e iniziarono a camminare in direzione del parcheggio. Al di sopra delle loro teste, una solitaria nuvola bianca attraversava il cielo azzurro, spinta dalla leggera brezza. “È una gran bella giornata per un’escursione,” disse Lorna.

“Certo che sì,” rise lui. “Ecco perché ho pensato che sarebbe stata un’ottima idea venire qui. Non capita spesso che il tempo sia bello durante una giornata di ferie.”

“Sono piuttosto stupita,” disse Lorna, camminando a lato della pista in modo che lui potesse occupare la parte più uniforme del terreno. “Avrei scommesso ci fossero un sacco di persone oggi. Invece è tranquillo.”

“La maggior parte delle persone è a casa, immagino,” disse lui, indicando la città in lontananza. Da alcuni dei punti più vicini era possibile distinguere le scie sottili di fumo nero. “A cucinare di tutto al barbecue.”

Lorna annuì, schermandosi gli occhi per guardare in direzione della città. “Hai ragione,” disse. “Non ci avevo pensato.” Non aggiunse il motivo: era single, ovviamente, e non aveva molti familiari con cui passare il tempo. L’escursionismo era tutto per lei: silenzio, solitudine, tempo per riflettere.

A pensarci bene, in fin dei conti non era così male condividerlo con qualcuno.

“Per quanto mi riguarda, preferirei mettermi in cammino ogni giorno,” disse lui. Quando lei si girò a guardarlo, l’uomo sorrise con una scintilla negli occhi. “Non ho una ragazza da cui tornare, quindi passo più tempo possibile all’aria aperta. Vivo a un paio di città di distanza da qui. È per questo che di solito non vengo da queste parti.”

“Ah sì?”domandò Lorna. La sua mente era impegnata a elaborare quelle informazioni: lui era single, viveva nei dintorni ed era innegabilmente attraente. Questo incontro stava diventando alquanto opportuno. Si stava chiedendo in che modo tirare fuori l’argomento. Forse avrebbe dovuto aspettare che fosse lui a parlarne per primo, o magari dire casualmente qualcosa a proposito di mostrargli i cammini, nel caso avesse voluto riprovarci.

 

“Ehi, magari qualche volta potresti mostrarmi la zona,” disse lui, facendo accelerare il battito cardiaco della ragazza. “Ti andrebbe? Insomma, quando la mia caviglia si sarà rimessa in sesto.”

“Certo,” rispose lei. Non si azzardò a guardarlo, nel caso lui si fosse accorto del rossore sulle sue guance. “Mi piacerebbe.”

“Sono davvero felice di averti incontrato, oggi, Lorna,” disse lui, e lei non poté fare a meno di condividere con tutto il cuore.

Poi si fermò, rendendosi conto che lui aveva pronunciato il suo nome.

Quando gli aveva detto il suo nome?

Aprì la bocca per chiedergli se si fossero incontrati altrove prima d’ora; in caso contrario, come avrebbe potuto sapere chi fosse? Ma in quel momento, mentre iniziava a voltarsi verso di lui, qualcosa di duro colpì la parte posteriore della sua testa, in un punto doloroso che sembrò scuoterle il cervello nel cranio.

Lorna aprì gli occhi e si accorse di essere distesa a terra, nonostante avesse soltanto sbattuto le palpebre. Sentiva un dolore acuto rimbalzare tra le pareti della sua testa, e quando allungò una mano, con aria intontita, per controllare se ci fosse del sangue, lo vide. Ora era in piedi davanti a lei, e ogni segno di problemi alla caviglia era sparito. Era eretto e alto, la sua postura decisa, inflessibile. La sua mano sinistra impugnava un manganello di cuoio, e lei si rese conto vagamente che doveva essere stata quella l’origine del dolore alla testa.

“Cos …?” cercò di domandare. Aveva sonno, nonostante il dolore, e sembrava come se tutto si stesse muovendo attraverso della melassa.

“Non ti muovere,” disse lui. La sua voce adesso era piatta e dura, come un pezzo di ardesia.

Lei non aveva alcuna intenzione di obbedire a quel comando, ma non c’era molto altro che potesse fare. Lorna smise di toccarsi la testa alla ricerca dell’origine del dolore e cercò invece di girarsi, un processo lento che la fece ansimare e fermare, mentre il suo cervello oscillava e pulsava.

Lui uscì da una macchia di cespugli bassi, ritornando nel campo visivo della ragazza. Adesso aveva qualcos’altro in mano. Qualcosa di lungo che brillava al sole, emanando riflessi argentei. Cercando di reprimere un’ondata di nausea mentre si voltava, Lorna si rese conto vagamente di cosa fosse: una sorta di spada, con una leggera curvatura verso l’estremità della lama.

“Ho detto,” ringhiò lui, avvicinandosi e fermandosi in piedi davanti a lei, schermando il sole con il proprio corpo, “non ti muovere.”

Lorna alzò lo sguardo. La testa dell’uomo era circondata da un alone creato dai raggi del sole, ma il suo viso era coperto da un’ombra nera. Lui sollevò il machete e spostò leggermente i piedi, come se stesse cercando la posizione giusta. Lorna portò in avanti un pugno ripiegato per strisciare via, cercando di muoversi, cercando di fare qualsiasi cosa per scappare.

Sentì un sibilo mentre il machete si abbatteva su di lei, e Lorna chiuse gli occhi in modo da non dover vedere.

CAPITOLO TRE

Va tutto bene, ricordò a se stessa Zoe, spostando lo sguardo tra il viso ridente di Shelley e quello di John, e incollando un sorriso sul suo per imitarli. Di fronte a lei, Harry, il marito di Shelley, stava lisciandosi la cravatta, discretamente compiaciuto di se stesso per la barzelletta ben raccontata. Era un gesto così simile a quello di John che Zoe dovette frenarsi dal fissarlo. Cos’avevano le cravatte perché tutti volessero lisciarle?

“Questa è stata davvero un’ottima idea, Shelley,” disse John, alzando verso di lei il suo bicchiere di vino prima di fare un sorso. Aveva scelto ancora una volta una camicia a strisce blu per quella cena. Zoe stava tenendo il conto di quante ne avesse, e sembrava che ne fossero un bel po’.

“Sono d’accordo,” disse Harry. “È bello conoscere meglio i tuoi colleghi.” Rivolse a Zoe un sorriso gentile, come se volesse farle sapere che era stato tutto perdonato. Insieme ai suoi capelli castani scompigliati, che sembravano sempre un po’ selvaggi, gli conferì un aspetto piuttosto geniale.

Zoe arrossì un po’, ma ricambiò il sorriso. L’ultima volta che era stata invitata a cena da Harry e Shelley, era scappata via da casa loro in preda al panico, sentendo il peso della vita perfetta di Shelley abbattersi su di lei.

Ma quello era stato prima. Prima che la dottoressa Monk l’aiutasse, prima che lei acquisisse il controllo sui numeri che l’avevano accompagnata in ogni istante della sua vita fino ad allora. Prima che potesse immaginare di sedersi in un ristorante affollato insieme ad altre tre persone, di sopportare conversazioni che si incrociavano e si sovrapponevano e di essere persino in grado di stare al passo.

“Le vostre portate,” annunciò il cameriere, facendo la sua comparsa alle spalle di Zoe con quattro piatti ben equilibrati tra il braccio e la mano. Il tavolo fu percorso da un mormorio generale di approvazione, e tutti tirarono indietro le mani e i gomiti per fare spazio.

Zoe abbassò lo sguardo sul proprio piatto mentre veniva sistemato davanti a lei, e i suoi occhi si spostarono sull’insalata di lato. Contò cinque foglie di lattuga iceberg, tre di lattuga romana, due pomodorini, un quarto di peperone tagliato a listarelle …

Chiuse gli occhi per un istante, cercando di raggiungere una tranquilla spiaggia insulare con nient’altro che il dolce sciabordio delle onde. Sotto il tavolo, la mano di John trovò e strinse la sua. Aprì gli occhi per fissarlo e sorridergli e respirò di nuovo, riportando i numeri in sottofondo, dove dovevano essere. John non conosceva il suo segreto, eppure sembrava capire istintivamente quando le servisse conforto.

“Sembra delizioso,” disse Zoe, sbirciando i piatti degli altri e pensando la stessa cosa.

Ci furono mormorii d’assenso e rumori metallici, mentre ciascuno di loro prendeva le proprie posate e iniziava ad affondarle nelle rispettive pietanze. L’arrivo del cibo fu sia benvenuto che indesiderato. Le fornì una scusa per non dover tenere il passo con quella costante conversazione, ma lasciò anche il tavolo avvolto nel silenzio, una cosa che faceva sempre sentire Zoe a disagio.

Beh, in realtà si sentiva più a suo agio quando c’era silenzio. Ma conosceva le aspettative sociali degli altri, quella pressione che imponeva che il silenzio venisse riempito. Alzò lo sguardo ansiosamente e incontrò quello di John, e lui le sorrise. Zoe allungò la mano per prendere il suo bicchiere di vino e fece un sorso, tranquillizzata dall’andazzo delle cose.

La portata principale terminò abbastanza agevolmente, con frammenti di conversazione qui e lì che lasciarono nuovamente il passo al gradimento generale delle pietanze, apparentemente senza alcun imbarazzo. Zoe rimase in stato di allerta, con la testa che si muoveva regolarmente per tutto il tavolo, attenta a cogliere indizi sociali che altrimenti avrebbero potuto sfuggirle. Questo le permetteva di rimanere vigile, teneva i numeri lontani dalla sua mente. Stava riuscendo a partecipare alla conversazione, piuttosto che limitarsi a essere seduta in disparte e sentirsi sopraffatta come capitava di solito.

“Allora, John, tu sei un avvocato, giusto?” domandò Harry, portando alla bocca l’ultimo boccone della sua portata a base di pesce.

John annuì, ingoiando frettolosamente prima di parlare. “Sono nel settore del diritto immobiliare. Proprietà ereditarie, affari immobiliari, controversie sui confini: quel genere di cose.”

“Deve tenerti piuttosto occupato,” commentò Harry. Zoe non aveva mai capito questo genere di convenevoli, e neanche ora ci riusciva. Per quale motivo Harry non si limitava a chiedere quello che voleva sapere davvero? Tutti che cercavano di nascondere le proprie intenzioni dietro domande vaghe e cortesi per tentare di capire. Zoe era felice di essere in rapporti abbastanza stretti almeno con John e Shelley da non dover ricorrere a ciò.

“Abbastanza occupato,” rispose John, accennando un sorriso. Posò momentaneamente la forchetta per passarsi una mano tra i suoi cortissimi capelli castani, un gesto abituale. Zoe notò la flessione dei muscoli del suo braccio e della spalla sotto la camicia, e ricordò a se stessa di concentrarsi. “Ho appena finito di lavorare a un caso davvero pazzesco. Due fratelli in lotta per la proprietà del defunto padre. Quei due stavano quasi per venire alle mani per qualche metro in più. A quanto pare non riuscivano ad accettare le cose per come le aveva decise il loro vecchio.”

Shelley scosse mestamente la testa. “Non so come facciano le persone a essere così insensibili,” disse. “La famiglia è tutto. Non è giusto scontrarsi così.”

“La famiglia non è tutto per chiunque,” disse sottovoce Zoe. “Ad alcune persone non interessano i legami di sangue.”

Shelley le rivolse uno sguardo attonito e dispiaciuto. Aveva indubbiamente dimenticato, in quell’istante, il rapporto travagliato – o per meglio dire, la mancanza di qualsiasi tipo di rapporto – tra Zoe e sua madre. “Hai ragione,” disse. “Certo. Suppongo sia io a considerare brutta l’idea di rivoltarmi contro la mia stessa famiglia in quel modo.”

“Questo perché hai un cuore grande,” disse Harry, stringendo la mano di sua moglie sul tavolo. Per un istante si guardarono a vicenda con amore; Zoe distolse lo sguardo da quello che le sembrava un momento privato, guardando John, che a sua volta la stava osservando con un sorriso curioso stampato sul suo viso.

“C’è spazio per il dessert?” domandò John, sistemando con cura il coltello e la forchetta nel piatto vuoto.

Harry e Shelley si scambiarono uno sguardo significativo prima di annuire all’unisono. “Perché no?” disse Harry. “Cercherò di attirare l’attenzione di qualcuno perché ci porti i menu.”

“Bene,” rispose Shelley, mettendo il tovagliolo sul tavolo accanto al piatto. “Mentre tu fai questo, Zoe e io faremo un salto al bagno delle signore.”

Zoe esitò. “Non ho bisogno di andare in bagno,” disse, perplessa dal fatto che Shelley avesse compreso anche lei.

Shelley le rivolse uno sguardo evasivo, piegandosi leggermente sulla propria sedia per sussurrare all’orecchio di Zoe. “Non devi averne bisogno tu. Ne ho bisogno io. E tu verrai con me.”

“Perché?” domandò Zoe, sempre più stupita.

“Per farmi compagnia,” disse Shelley. Dopodiché, con un gesto spazientito e un leggero brontolio di frustrazione, aggiunse: “Per spettegolare sui nostri uomini dove non possono sentirci. Andiamo.”

Zoe non era ancora del tutto sicura di aver compreso, ma si alzò comunque. Seguì la sua partner con passo alquanto vacillante, dovuto non tanto all’incertezza di andare con Shelley – dopotutto si fidava abbastanza di lei da assecondarla – ma al fatto di indossare i tacchi, cosa che aveva dimenticato fino a quando non si era alzata dal tavolo, e quella sensazione estranea alla base delle gambe non aveva ripreso a mettere a dura prova il suo equilibrio. Shelley, dal canto suo, camminava con sicurezza sui suoi tacchi a spillo, con quei fianchi formosi che oscillavano da una parte all’altra con grazia.

“È per questo che le donne vanno sempre al bagno insieme?” domandò Zoe, mentre aprivano la porta della toilette, notando la presenza di alcune donne che si lavavano le mani e si guardavano attentamente agli specchi collocati sopra i lavandini.

“Sì,” disse Shelley, ridendo. “E per comodità e spirito di compagnia. Perché è una cosa piacevole. E poi gli uomini cacciano in branco, quindi perché noi non dovremmo fare altrettanto?”

Zoe dovette ammetterlo, Shelley non aveva tutti i torti. Nascose un sorriso e si appoggiò a un fasciatoio libero e ripiegato, tenendosi più in disparte possibile in quello spazio ridotto. Intravide il suo riflesso in uno specchio collocato accanto alla porta, non riconoscendosi per un istante. Le cure della dottoressa Applewhite avevano esaltato i suoi occhi, e al suo fisico, che spesso pensava fosse mascolino, senza fianchi o petto da mettere in mostra, erano state conferite curve fittizie dal taglio del vestito. In qualche modo, persino i suoi capelli corti apparivano più dolci e femminili questa sera, bilanciati da orecchini pendenti con pietre rosse che sentiva pesanti ed estranei.

Una alla volta, le altre donne finirono di specchiarsi e tornarono in sala, e quando Shelley uscì dal suo cubicolo le due erano rimaste sole.

Shelley iniziò a lavarsi le mani, guardando Zoe in modo da introdurre la conversazione alla quale stava chiaramente mirando. “Stai andando davvero bene,” disse, chiudendo il rubinetto.

“Davvero?”

Shelley la guardò con la coda dell’occhio mentre si asciugava le mani con un asciugamani di carta monouso. “Lo sai bene anche tu. Ma è giusto dirtelo. Sono orgogliosa di te. Quando abbiamo lavorato insieme la prima volta, non avrei mai pensato che saresti stata in grado di fare qualcosa del genere.”

 

Zoe doveva ammettere che aveva ragione. “Io non avrei neanche mai pensato di desiderarlo, figuriamoci di esserne in grado.”

“Beh, allora sono felice che tu abbia cambiato idea a riguardo,” disse Shelley, finendo di asciugarsi le mani e mettendosi di fronte a lei. “Sei bellissima, Zoe. Mi piace questo tuo nuovo look.”

Zoe sorrise, sentendo un rossore sconosciuto farsi strada sulle sue guance. “C’è voluta un po’ di pratica,” disse, fermandosi appena prima di ammettere di aver avuto anche bisogno d’aiuto. Diede una rapida occhiata a Shelley: era sempre perfettamente truccata ed elegante. I suoi capelli biondi erano raccolti in un chignon leggermente più sofisticato del solito, con curve e boccoli che apparivano complicati, e le sfumature rosa pallido sulle sue palpebre si abbinavano al tessuto del suo abito discreto ma comunque capace di mettere in risalto la sua figura. Insomma era, come sempre, perfetta per l’occasione.

“Beh, la pratica ha dato i suoi frutti,” disse Shelley, raccogliendo la sua borsetta da dove l’aveva posata, accanto al lavandino.

Zoe, rendendosi conto che il momento giusto per restituire il complimento era passato, andò in panico per un secondo prima di decidersi a farlo comunque. “Anche tu stai davvero molto bene.”

Shelley la ricompensò con uno sguardo raggiante, dando al suo riflesso un’ultima occhiata generale prima di voltarsi di nuovo verso Zoe. “Non sono niente male per essere una mamma, eh?”

Zoe stava per dirle che fosse di gran lunga meglio di “niente male” – e per intavolare l’argomento di John e il fatto che volesse soffermarsi per parlare con lui da sola non appena fosse terminata la cena – ma un paio di trilli risuonarono nella stanza, quasi esattamente nello stesso istante, interrompendo la loro conversazione.

Zoe e Shelley si scambiarono uno sguardo. Quel suono era venuto dalle loro borsette – quella di Zoe le era stata prestata dalla dottoressa Applewhite perché si abbinava al suo vestito – e precisamente dai loro cellulari. C’erano soltanto due possibili spiegazioni perché entrambe avessero ricevuto un messaggio nello stesso istante. La prima era che fosse in atto una qualche sorta di emergenza di stato o nazionale e che ne venissero avvisate dal presidente.

La seconda era che fossero state richiamate in servizio per lavorare a un caso.

Zoe pregò che si trattasse di un’emergenza che non avrebbe messo fine alla loro cena, ma ovviamente lei non credeva in Dio, e qualsiasi divinità che udiva una preghiera da parte di un ateo molto probabilmente avrebbe fatto il contrario per dispetto. Tirarono fuori i rispettivi telefoni, leggendo entrambe lo stesso messaggio: Chiamare il prima possibile l’Agente Speciale al Comando Maitland per istruzioni.

Shelley sospirò. “Suppongo che questa serata stesse andando un po’ troppo bene per essere vera.”

Zoe si morse il labbro, pensando a John seduto lì fuori che l’aspettava, e si domandò quanti giorni sarebbero passati prima di poterlo rivedere.

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