Il Volto della Follia

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Из серии: Un Thriller di Zoe Prime #4
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CAPITOLO QUATTRO

Zoe esitò appena fuori il tozzo e squadrato monolita di cemento che era il J. Edgar Hoover Building. Per gli altri, era una brutta opera di architettura che ricordava più la Russia della Guerra Fredda che la gloria Americana. Zoe ne apprezzava le linee e l’uniformità degli interni e degli esterni, ma in quel momento anche lei desiderava trovarsi da qualsiasi altra parte.

“Adesso ci divertiremo un mondo,” borbottò Shelley, abbottonandosi un po’ di più la giacca in modo che coprisse il suo vestito.

Zoe, che non aveva neanche portato una giacca, era incline a concordare. In questo preciso momento, avrebbe dovuto essere impegnata a parlare con John, discutendo del futuro della loro relazione e forse prendendo decisioni che le avrebbero garantito abbastanza felicità per un bel po’ di tempo. Invece, lei e Shelley stavano per attraversare un intero edificio pieno zeppo di loro colleghi in abito e trucco da sera, un’esperienza un po’ troppo simile all’idea di inferno di Zoe.

Avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso e stavano aspettando l’ascensore, quando venne rivolto loro il primo commento. Johnson, un agente con la lingua lunga per non dire di peggio, attraversò con aria spavalda il corridoio, dirigendosi verso di loro. “Seratina piccante, signore?” domandò, puntando il dito contro di loro. “È bello che finalmente ammettiate le vostre tendenze.”

Shelley alzò gli occhi al cielo. “Sono felicemente sposata, Johnson. Con un uomo.”

“Oh,” disse Johnson, fingendosi scioccato. “Non mi aspettavo una tale omofobia dal duo femminile del Bureau.”

“Non sono omofoba, sono soltanto …” Shelley sospirò, chiudendo gli occhi per un istante prima di continuare con un tono più calmo. “Non sono lesbica. E Johnson? Fammi un favore, vai a farti fottere.”

Zoe si lasciò quasi sfuggire un sorriso. Non era assolutamente divertente essere prese in giro dai loro colleghi, soprattutto considerando che il più delle volte lei non capiva i riferimenti e le sfumature, ma era comunque uno spasso vedere Shelley turbata da qualcosa. Era qualcosa di diverso, e nonostante Zoe non volesse assolutamente vedere Shelley restarci male, le ricordava che fossero entrambe esseri umani.

Accompagnate da una scia di apprezzamenti e commenti su qualsiasi dettaglio, dalle scarpe ai capelli, le due donne riuscirono infine a raggiungere la porta dell’ufficio dell’Agente Speciale al Comando Maitland. Shelley si fermò un istante, raddrizzando le spalle e spostando all’indietro una ciocca di capelli, prima di bussare.

“Avanti.”

La voce tonante di quell’uomo era uno dei fattori che rendevano minacciosa la sua figura, al pari della sua taglia. Leo Maitland, con il suo metro e novanta centimetri, non si limitava a essere alto: era anche grosso, con bicipiti di trentotto centimetri che sfidavano la sua età. I capelli brizzolati alle tempie erano l’unico indicatore del fatto che avesse circa quarantacinque anni; la sua postura militare era intatta, come se fosse appena uscito dall’esercito.

“Signore,” dissero Zoe e Shelley quasi all’unisono. Era stato lui a convocarle. Sapevano bene di dover evitare inutili convenevoli. L’Agente Speciale al Comando della sede di Washington, D.C. era un uomo occupato, e il suo tempo era prezioso.

L’Agente Maitland continuò a rivolgere la propria attenzione al documento che aveva davanti per qualche momento, aggrottando la fronte mentre si concentrava, prima di firmarlo con un gesto rapido e metterlo da parte. “Agenti Prime e Rose,” disse, frugando in un cassetto traboccante della sua scrivania e tirando fuori un documento. “Ho la sensazione che questo vi piacerà.”

Zoe aggrottò le sopracciglia. Provare piacere per un caso di omicidio? Sembrava alquanto improbabile, a meno che l’assassino non stesse soffocando le sue vittime con lo zucchero filato, e tutte le piste non necessitassero di un’attenta e scrupolosa degustazione. “Signore?” domandò con aria dubbiosa.

“Era sarcasmo, Agente Prime,” disse, con il viso che non lasciò trasparire alcun accenno di sorriso. Teneva il documento in una mano protesa. “Una di voi due ha intenzione di prenderlo o avete entrambe sviluppato una paralisi?”

Shelley scattò in avanti, prendendo il dossier. “Scusi, signore.”

“Ecco i dettagli del caso. Il vostro volo partirà tra quattro ore,” disse, proseguendo come se nulla fosse. “Troverete i biglietti nel fascicolo. È il primo aereo per il Nebraska che è stato possibile prenotare.”

Quella parola percorse la schiena di Zoe come un fulmine. Nebraska. Lo Stato in cui era nata. Non che quello volesse dire qualcosa: in fondo si trattava di un posto enorme. Era improbabile che finissero vicino a dove era cresciuta.

“Due donne sono state trovate decapitate negli ultimi due giorni. Sembra che stia assumendo i contorni di un caso seriale, quindi abbiamo bisogno che voi due vi rechiate sul campo il prima possibile. Sono spiacente per il volo notturno, ma così facendo arriverete in città di prima mattina e potrete mettervi subito in contatto con il dipartimento di polizia locale,” continuò Maitland. “Abbiamo due scene del crimine in due città diverse, quindi è possibile che il colpevole si stia spostando. Dovrete chiudere questa faccenda il più velocemente possibile. Non vogliamo che l’assassino esca dallo Stato e faccia perdere le sue tracce.”

Shelley era intenta a sfogliare il dossier, e trasalì vedendo alcune foto. Zoe, sporgendosi alle sue spalle, riuscì a notare un considerevole schizzo di sangue prima che Shelley voltasse pagina.

“Faremo del nostro meglio, signore,” disse Shelley, con voce leggermente distante mentre la sua mente era già concentrata sul caso.

“Il vostro meglio non è sufficiente,” disse Maitland con un’espressione torva. “La stampa ci andrà a nozze con questo caso. Risolvetelo, prima che l’intera faccenda si trasformi in un circo e io sia costretto a spiegare al nostro superiore, oltretutto davanti alle telecamere di tutto il mondo, per quale motivo abbiamo lasciato che venissero commessi altri omicidi.”

***

Zoe reggeva il telefono con una mano, cercando di tenerlo in equilibrio contro il collo in modo da riuscire a piegare i vestiti mentre parlava. “Mi dispiace davvero,” disse. “A quanto pare potremmo stare via almeno per qualche giorno.”

“Sapevo cosa aspettarmi la prima volta in cui siamo usciti insieme,” la voce di John uscì dal ricevitore, il suo tono era leggero e divertito. “Va tutto bene. Salva il mondo. Sarò qui al tuo rientro.”

Zoe si morse il labbro distrattamente, finendo di piegare l’ultimo vestito e dirigendosi rapidamente verso il bagno per prendere il suo kit da viaggio. La sua voce echeggiò tra le piastrelle quando riprese la parola. “Odio il fatto di continuare a rovinare le nostre uscite,” disse. “Stasera mi stavo divertendo.”

“Anch’io,” disse John, e subito dopo la sua voce diventò più vellutata. “Non vedevo l’ora di accompagnarti a casa. Quel tuo vestito … mi piaceva davvero molto.”

Zoe diede un’occhiata al tessuto rosso, ora gettato sul suo letto, e sentì un leggero brivido in fondo allo stomaco alle sue parole. Lanciò i prodotti da bagno in valigia, guardandosi attorno per vedere cos’altro dovesse metterci. “Magari lo indosserò nuovamente per te quando sarò di ritorno.” Scarpe: spalancò la porta del suo guardaroba e ne tirò fuori un paio, nel caso in cui quelle che stava indossando diventassero scomode.

“Mi piacerebbe.” La voce di John cambiò di nuovo, stavolta assumendo un tono più serio. “In realtà, vorrei parlarti quando tornerai a casa.”

Zoe tentennò. Parlare. Cosa voleva dire? Ora non stavano parlando?

Era forse la cosa che aveva sempre visto nei film, il tanto temuto “parlare”, il momento della rottura?

No … quella di sicuro era soltanto una sua paranoia. John era un uomo adulto. Non aveva paura di rivelarle i suoi sentimenti, e finora non aveva espresso alcuna insoddisfazione.

Sicuramente non lo rendeva felice il fatto che lei stesse nuovamente scappando altrove proprio mentre le cose sembravano andare così bene tra di loro.

“Ok,” si sforzò di dire Zoe, non volendo che quel silenzio si trascinasse ancora. “Certo. Dovremmo farlo.”

“Allora chiamami non appena ritorni,” disse John. Anche lui fece una pausa. “Zoe?”

“Sì?”

Un’altra pausa, come se stesse ponderando le parole. “Fa’ buon viaggio.”

Zoe fissò il telefono che aveva in mano: lo schermo adesso si era oscurato, la chiamata era terminata. Per un breve istante pensò che fosse un’assurdità: non avrebbe mai pensato all’eventualità di non chiamarlo una volta rientrata. Per quale motivo avrebbe dovuto mettersi volontariamente in una situazione così orribile?

Ma non aveva idea di cosa lui volesse dire. Soltanto perché era abituata a essere rifiutata, per via delle sue capacità e del modo in cui la facevano sembrare diversa e strana agli occhi di chiunque altro, non voleva dire che anche lui le avrebbe riservato lo stesso trattamento. Pensò alla dottoressa Monk e a cosa le avrebbe detto – probabilmente qualcosa a proposito di non avanzare ipotesi per conto degli altri – e cercò di sgombrare la mente.

Un tintinnio catturò la sua attenzione mentre tirava fuori un sacco della biancheria da sistemare in valigia per i suoi vestiti sporchi. Le mani di Zoe volarono verso le orecchie, e si accorse che nella fretta e nella confusione di prepararsi non aveva ancora tolto gli orecchini.

Si avvicinò lentamente allo specchio del bagno, la prima volta che aveva fatto una pausa da quando aveva lasciato l’ufficio dell’Agente Maitland. L’eyeliner stava ancora delineando i suoi occhi, ricordandole come avrebbe dovuto andare la serata. Con rammarico, Zoe cercò il suo detergente per il viso e un panno. La serata era finita, ed era inutile cercare di aggrapparvisi con un ricordo che le sarebbe sbavato sul viso in aereo.

 
***

Zoe si strofinò gli occhi e sbadigliò. Era quasi l’alba, sebbene nessuna delle due potesse saperlo. Avevano abbassato la tendina del finestrino per impedire alla luce di entrare, lasciando il mondo esterno all’immaginazione e cercando di approfittare di qualche ora di sonno.

Alla fine, quattro ore si erano dimostrate appena sufficienti per Zoe per cambiarsi e indossare vestiti più adatti per il viaggio, prendere la valigia, impostare la mangiatoia per gatti a rilascio programmato, spostare qualche appuntamento e incontrarsi nuovamente con Shelley al Quartier Generale per recarsi insieme all’aeroporto. Appena salite sull’aereo, avevano convenuto sulla necessità di riposare un po’ per riuscire a combinare qualcosa di buono una volta atterrate.

“Ok,” disse. “Quindi al nostro arrivo ci aspetta un’auto a noleggio già pagata, giusto?”

“Sì,” confermò Shelley, sfogliando il dossier che avevano ricevuto. “A quanto pare il Bureau ha preteso una consegna prioritaria, quindi non ci vorrà molto per metterci in viaggio.”

“Per dove?”

“Qui dice Broken Ridge,” disse Shelley, passando già alla pagina successiva.

Il cuore di Zoe iniziò a batterle forte nel petto. “Broken Ridge?” domandò, nella vana speranza di aver sentito male.

“Già, a circa un’ora di auto dall’aeroporto,” confermò Shelley, studiando velocemente la mappa. “Perché?”

Zoe deglutì. “Solo per sapere,” rispose.

Non era vero. La verità era qualcosa che non voleva ammettere: che la città di Broken Ridge era vicina, insopportabilmente vicina a dove Zoe era cresciuta. Talmente vicina che riusciva a  immaginare il posto nella sua mente. Ricordava ci fosse un parco eolico non lontano dalla città, un sito che era stato sviluppato durante gli anni della sua gioventù.

Pensieri e ricordi di Broken Ridge portavano inesorabilmente a pensieri e ricordi di casa. Ma il luogo in cui era cresciuta non era mai stato abbastanza gentile nei suoi confronti da essere chiamato casa. Figlia del diavolo: la voce di sua madre le risuonò nelle orecchie, chiara adesso come quando aveva otto anni e si rannicchiava accanto al suo letto, con le mani giunte per recitare una falsa preghiera.

Zoe fece un respiro, chiudendo gli occhi e iniziando a contare. Inspira per tre secondi, espira per quattro. Per un istante pensò quasi di riuscire a sentire il calore di un sole tropicale sul suo viso, escludendo sia i dintorni dell’aereo che i ricordi che si affollavano nella sua mente.

Aprì gli occhi, nuovamente concentrata e calma. “Cos’abbiamo sulle vittime?” domandò.

“Ecco,” disse Shelley, porgendole un singolo foglio di carta. Ne tenne un altro per sé e iniziò a leggere ad alta voce. “La prima è una certa Michelle Young, secondo il documento d’identità che aveva in tasca. Non sono riusciti a identificarla dal viso perché la testa era sparita.”

Zoe imprecò sottovoce. “Non l’hanno ancora ritrovata?”

Shelley fece cenno di no con la testa. “Però c’è una foto recente. Ecco.” Sollevò la foto di una bionda sorridente che guardava direttamente verso la fotocamera. C’era un braccio attorno alle sue spalle, ma l’altra persona era stata rimossa. “Sembra sia stata decapitata con qualcosa di affilato, probabilmente un qualche tipo di spada. Segni di taglio; la valutazione iniziale parla di una lama lunga, probabilmente un machete. Aveva una trentina d’anni. Un metro e settantacinque, settantatre chili. Nessun tatuaggio. Lavorava come cassiera di banca. Era quella nell’altra città, Easterville.”

Zoe iniziò a parlare non appena Shelley alzò lo sguardo, dopo aver finito di elencare i dettagli del suo rapporto. “Io ho Lorna Troye,” lesse. “Anche la sua testa è scomparsa. Trentadue anni, un metro e settanta centimetri, cinquantanove chili. A quanto pare, era un’illustratrice freelance. C’è una sua foto.”

Guardarono entrambe la foto di Lorna, scattata per la pagina profilo del suo sito web. Sorrideva cordialmente verso l’obiettivo, nonostante avesse una posa rigida e professionale. In mano aveva una matita sollevata sopra un blocco da disegno, come se stesse per mettersi al lavoro.

Ci fu un attimo di silenzio tra le due mentre guardavano le foto delle donne morte. Una bionda e una bruna, proprio come Shelley e Zoe. Oltretutto, Zoe aveva quasi la stessa età, mentre Shelley era qualche anno più giovane.

Siamo nelle mani di Dio, si diceva. Ma dato che Zoe aveva smesso di credere in Dio dopo aver smesso di credere in ciò che le diceva sua madre – che nelle sue vene scorreva il sangue del demonio, e che era quello a farle vedere i numeri – non aveva idea di cosa la rendesse così fortunata.

“Atterreremo a breve,” disse Shelley, trattenendo uno sbadiglio. “Dovremmo prepararci.”

Prepararsi, pensò Zoe. E precisamente come avrebbe fatto a prepararsi ad atterrare nell’unico posto dal quale aveva cercato di scappare per tutta la sua vita?

Allacciò la cintura di sicurezza, sapendo di avere poca scelta.

CAPITOLO CINQUE

Il sole del primo mattino avvolgeva tutto in una luce spettrale mentre Zoe seguiva Shelley attraverso il parcheggio, rimanendo indietro con aria riluttante. Aveva la sensazione di essere in un luogo semi-conosciuto, ma che non ricordava abbastanza bene da percorrere con sicurezza.

E poi c’era quell’altra sensazione, quella che le sussurrava che avrebbe anche potuto imbattersi in qualcuno che una volta conosceva, trovandosi così vicino casa. Il parcheggio era pieno di veicoli statali: il furgoncino del medico legale, le auto del dipartimento dello sceriffo locale e quelle di vari altri funzionari che si erano indubbiamente precipitati qui con la brama di occuparsi di un crimine di questa portata in una città così piccola. Non era un lavoro ordinario per loro: per questo era così importante ricevere l’aiuto dell’FBI.

“Sceriffo Hawthorne?” disse Shelley, riparandosi gli occhi con una mano e facendo un cenno dall’altro lato del nastro segnaletico ufficiale verso un uomo in tenuta marrone e beige. Lui le rivolse un cenno di risposta e iniziò ad arrancare verso di loro, con i capelli bianchi che riflettevano il sole come un’aureola che sovrastava il suo metro e ottantatre centimetri d’altezza.

“Voi dovete essere le ragazze dell’FBI,” disse, squadrando le loro giacche a vento e le uniformi nere regolamentari del Bureau. “Il cadavere è stato portato via. Ho dovuto farlo per sottrarlo agli agenti atmosferici. Ma la scena del crimine è stata preservata ed è pronta perché possiate esaminarla.”

“Io sono l’Agente Shelley Rose,” disse Shelley, mostrandogli rapidamente il distintivo come richiedeva la procedura. “La prego, faccia strada.”

“Agente Zoe Prime,” aggiunse Zoe, imitando i movimenti di Shelley e quindi voltandosi per seguirli entrambi. Quantomeno questo sceriffo era un volto nuovo per lei. Era di buon auspicio per il resto della loro permanenza qui.

L’erba che spuntava su entrambi i lati del percorso brillava di rugiada alla luce del mattino. Era come trovarsi all’interno di una cartolina, pensò Zoe, mentre procedevano lungo il sentiero battuto. Era chiaramente molto visitato. Zoe notò gli schemi di crescita dell’erba circostante, i punti in cui si diradava e il modo in cui l’ampio ingresso del parcheggio si assottigliava fino a diventare una stradina percorribile da una persona, come un affluente che si allontanava dall’oceano.

“È stata ritrovata ieri sera?” stava chiedendo Shelley, più per conferma che per altro.

“Nel tardo pomeriggio,” le confermò lo sceriffo. “Siamo stati avvisati da un escursionista che si stava godendo gli ultimi sprazzi di bel tempo. Voleva salire in cima a uno dei crinali più alti per vedere la città al tramonto. Ma non ha fatto molta strada prima di imbattersi nel cadavere della signorina Troye. Era proprio sulla pista … beh, lo vedrete.”

Le sue parole avevano un tono piuttosto inquietante, in netto contrasto con l’idilliaca natura del parco e dei suoi percorsi. Zoe diede uno sguardo da un lato all’altro mentre camminavano; più avanti, tre uomini con le stesse uniformi beige e marroni stavano vagando in gruppo, sorvegliando senza dubbio quella che sarebbe stata la loro meta. Ma attorno a loro, a sinistra e a destra, non c’era molto da rilevare eccetto le dolci colline e i crinali, gli arbusti e, un po’ più in là, le altissime colonne bianche delle pale eoliche. Quarantadue, contò a colpo d’occhio, sebbene potessero essercene altre in lontananza, dove forse il cielo luminoso le rendeva invisibili.

A colpirla maggiormente era la vastità del posto. Non c’erano montagne a fornire copertura, né foreste in cui potersi nascondere. C’erano soltanto i crinali, con i bassi cespugli che spuntavano qua e là. Non era il genere di posto che avrebbe scelto lei, se avesse voluto commettere un omicidio in pieno giorno.

“L’assassino è spavaldo,” disse, a vantaggio di Shelley. “Nessuna copertura.”

Shelley annuì, allontanandosi dallo sceriffo in modo che potessero parlare. “La vittima era da sola, ma non era completamente isolata. Qualcuno al parcheggio avrebbe potuto vedere. Magari non tutti i dettagli, ma probabilmente abbastanza per capire cosa stesse succedendo.”

“Se la vittima avesse urlato, qualcuno l’avrebbe sentita,” aggiunse Zoe, guardando indietro in direzione delle auto adesso che erano più vicine alla scena. “O se fosse riuscita a cavarsela e scappare, avrebbe potuto sfuggirgli. Dare l’allarme. È stato un grosso rischio.”

Si avvicinarono agli uomini dello sceriffo, fermi in un impreciso semicerchio attorno a un’area che evitavano con attenzione. Adesso che si erano avvicinate abbastanza da dare un’occhiata, Zoe riuscì a capirne il motivo: il terreno era impregnato di sangue. Era penetrato nel suolo e lo aveva tinto di rosso, e i fili d’erba portavano ancora delle singole gocce che erano schizzate dal cadavere al momento dell’aggressione.

Si accovacciò in corrispondenza del perimetro dell’area che era stata delimitata con altro nastro, avvicinando gli occhi alla scena per analizzarla. Tranquillamente, come se stesse aprendo un cancello, permise ai numeri di riaffacciarsi nella sua mente.

La vittima, Lorna Troye, aveva perso la vita in questo punto. C’erano litri e litri di sangue, talmente tanti da impregnare il suolo calcareo; troppo perché una persona potesse sopravvivere, anche se la sua testa fosse rimasta attaccata al collo. Era sgorgato da un punto centrale, appena oltre il margine del sentiero, ma era anche schizzato su entrambi i lati del percorso battuto e sulle pietre levigate che lo tappezzavano. Quei dettagli raccontavano una storia di ferite da taglio, inferte con forza tale da schizzare quelle gocce su entrambi i lati. Abbastanza per macchiare scarpe e pantaloni, forse persino il davanti di una maglietta.

Zoe girò lentamente in cerchio, sempre all’esterno dell’area delimitata, non volendo contaminare le prove più di quanto non fosse già stato fatto. Il percorso, nei punti in cui veniva attraversato, era piatto e duro; non erano state rilevate orme, né segni di colluttazione. Nel punto in cui si era riversata la maggior parte del sangue, la terra era solcata: la lama dell’arma del delitto doveva essere affondata nel terreno più morbido dopo aver reciso la testa. Quel colpo era stato forte.

Il loro assassino aveva una forza superiore alla norma? Forse. Ma era anche possibile che avesse inferto diversi colpi. Il rapporto del medico legale relativo alla vittima precedente suggeriva un’azione di taglio, con la lama che veniva ripetutamente abbattuta fino a lavoro compiuto. Zoe si avvicinò ulteriormente, usando le mani inguantate per sporgersi in avanti e spostare qualche filo d’erba qua o là.

Ecco: un’altra tacca, proprio vicino alla prima, a un angolo di quindici gradi e con una profondità inferiore di circa cinque centimetri. L’assassino ha continuato a colpire la vittima al collo fino a recidergli la testa. Quindi probabilmente non era così forte, nonostante ci voglia comunque una certa potenza per spingere la lama attraverso l’osso e il tessuto muscolare.

“Non hanno molto,” mormorò Shelley, raggiungendo la sua collega. “Vedi niente?”

Zoe si alzò in piedi, sentendo i muscoli posteriori protestare. Oggi i numeri la stavano tradendo; c’erano pochissime prove fisiche da seguire. Avrebbe potuto stimare l’altezza della vittima dagli avvallamenti nell’erba, ma a che pro? La ragazza era già stesa sul tavolo dell’obitorio. “Non molto. Niente a proposito dell’altezza, del peso e della forza delle braccia dell’assassino, nonostante io sia piuttosto sicura che non si tratti di una persona gracile. Probabilmente un maschio, per riuscire a tagliare la testa. Non riesco a stimare le sue caratteristiche fisiche perché ha decapitato la vittima quando si trovava già distesa a terra.”

 

“La griglia di ricerca è stata ampiamente perlustrata ieri sera, ma non è stato trovato niente di rilevante,” disse Shelley, schermandosi gli occhi per guardare il resto del parco eolico, che si stagliava davanti a loro. “Quali sono le tue considerazioni sul luogo? Sembra troppo casuale per fermarsi in attesa che passi qualcuno, non trovi?”

“E la mancanza di nascondigli,” borbottò Zoe, concordando con la sua partner. “Non corrisponde affatto al tipico schema di un omicidio non premeditato. Si è trattato di qualcos’altro.”

Shelley si stava mordendo il labbro, guardandosi attorno. Un leggero venticello agitava i capelli corti alle sue tempie, facendoli sollevare. “Perché non fermarsi ad aspettare in qualche punto che offrisse una maggiore copertura, o magari più all’interno del parco?” disse. Sembrava più un pensiero formulato ad alta voce che una vera e propria domanda. “Proprio qui, così vicino al parcheggio; deve esserci un motivo per accollarsi un rischio del genere.”

Zoe abbassò nuovamente lo sguardo sulle macchie di sangue sul terreno. “Il corpo era disteso in questa direzione,” disse, indicando con le sue braccia. I piedi rivolti verso il resto del parco, la testa in direzione del parcheggio. “Solitamente, un aggressore nascosto attacca la vittima alle spalle, e questo la fa cadere in avanti.”

“Quindi secondo te la vittima stava tornando al parcheggio quando è stata aggredita?”

“Forse stava andando via. Lui doveva agire subito, prima di perdere l’occasione.” Zoe diede un’occhiata ai cespugli nelle vicinanze, con le foglie macchiate con gocce rosse simili a macabre bacche. “Forse lei l’ha visto e ha cercato di scappare. Ma non vedo segni di corsa, né di terreno smosso. Inoltre la vittima si trovava a lato del sentiero, su un terreno più morbido. Ci sarebbero state delle orme sull’erba.”

Shelley chiuse gli occhi, come se stesse visualizzando la scena. “Riassumendo, Lorna sta andando via, dirigendosi verso il parcheggio. Lui guarda avanti e sa di avere un breve lasso di tempo per sferrare il suo attacco prima che lei si porti al sicuro. Sceglie questo momento. Forse si è nascosto di lato, in mezzo a quei cespugli.”

Zoe scosse la testa, analizzando le dimensioni degli arbusti. La copertura non era sufficiente. “Non credo,” disse, ma c’era un modo abbastanza facile per dimostrarlo. “Agente?”

Uno dei giovani che avevano sorvegliato il sito alzò lo sguardo sentendosi chiamare. “Sì, signora?”

“Ci faccia un favore, vada a mettersi tra quei cespugli, proprio lì. Si accovacci o si stenda, come se stesse cercando di nascondersi.”

L’agente esitò, quindi rivolse lo sguardo allo sceriffo, che gli fece un cenno di assenso. Fece quanto gli era stato ordinato, muovendosi per nascondersi tra i cespugli. Nonostante indossasse colori naturali, era facile notarlo tra il verde delle piante. I cespugli erano bassi, e gli spazi vuoti non garantivano un rifugio sufficiente.

Shelley si mosse attorno al cordone, dirigendosi dall’altra parte del sentiero e guardando indietro in direzione del giovane. “Riesco a vederlo anche da qui,” confermò.

“Abbassati un po’,” le urlò Zoe. “Sei più alta di un paio di centimetri.”

Shelley si piegò sulle ginocchia, chinandosi ben oltre cinque centimetri. “Non fa differenza,” disse. “Riesco a vedere i suoi piedi e le sue spalle.”

“Grazie, agente. Può alzarsi,” disse Zoe, con grande sollievo del giovane, che si rimise in piedi e iniziò immediatamente a togliersi i residui di foglie dai vestiti.

“Allora stava camminando,” disse Shelley, avvicinandosi a lei. “La vittima non stava scappando, quindi probabilmente lo ha visto e non ha pensato fosse una minaccia.”

“Questo vuol dire che l’assassino non aveva con sé il machete,” sottolineò Zoe. “Almeno non subito.”

“E se conoscesse le vittime?” domandò Shelley. I suoi occhi erano rivolti verso la vicina città. “Si trovano in stretta prossimità. Qualcuno potrebbe facilmente vivere in una città e lavorare nell’altra. È possibile che entrambe avessero delle conoscenze in comune.”

“Gli omicidi per motivi personali sono quasi tutti crimini passionali,” disse Zoe, citando le statistiche dai libri di testo. Anche se le sapeva a memoria, c’era qualcosa che i libri non erano mai stati in grado di descriverle: l’atmosfera di una scena del crimine. Qui, forse, stava finalmente iniziando a comprenderla. C’era una sorta di pianificazione, ed erano stati inferti soltanto i colpi sufficienti a tagliare la testa: non c’è stato nessun accanimento, nessuna frenesia. Calma. “Questo invece è freddo e calcolato.”

“Potrebbe trattarsi lo stesso di una faccenda personale. Forse l’assassino ha perso la testa lentamente, col passare del tempo. Magari  è uno psicopatico.”

Zoe sussultava tutte le volte in cui sentiva quella parola. Le era stata rivolta spesso. Da sua madre, dai suoi compagni di scuola, da chiunque non la ritenesse in grado di reagire alle situazioni sociali con il giusto livello di risposta emotiva. Aveva sempre saputo di essere diversa. C’era voluto molto tempo per capire che non per questo era malvagia.

“Ok, qui ci vedo due opzioni,” riassunse, allontanando quella sensazione. “O le è passato accanto con aria innocente, per poi girarsi e aggredirla con una lama nascosta, oppure prima ha guadagnato la sua fiducia. Magari attraverso una conoscenza personale preesistente, o con qualche altro metodo.”

“Allora come prima cosa dobbiamo scoprire se Lorna Troye e Michelle Young avessero delle conoscenze in comune,” disse Shelley. Nonostante le occhiaie dovute al volo notturno, stava iniziando ad apparire più energica e vigile. Quasi eccitata all’idea di una nuova pista. “Che ne dici di andare a dare un’occhiata al cadavere?”

Zoe le rivolse un sorriso ironico. “Pensavo non l’avresti mai chiesto.”

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