Il Volto della Paura

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Из серии: Un Thriller di Zoe Prime #3
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CAPITOLO CINQUE

Zoe strizzò gli occhi, guardando su e giù per il vicoletto e verso il cielo. Era una giornata limpida e chiara. Sulle loro teste si intravedeva una sottile striscia color celeste che si restringeva in lontananza, incorniciata dai sudici mattoni dei palazzi e dei magazzini.

Questo posto era decisamente distante dal lusso e dalle palme ondeggianti di Beverly Hills. Le strade e i marciapiedi erano rotti e scoloriti, e l’edificio più vicino alla fine del vicolo era un rifugio per senzatetto. Eppure, i monolocali che si ergevano sul lato opposto probabilmente costavano più della sua casa d’infanzia nella campagna del Vermont.

Qualcosa era ancora presente nell’aria, nonostante la rimozione del cadavere. Zoe riusciva a sentirne l’odore. Probabilmente non sarebbe andato via per un sacco di tempo. Il fetore di carne umana e capelli bruciati tendeva a rimanere nei paraggi.

Zoe rivolse nuovamente la propria attenzione al suolo e alla macchia creata dal fuoco, che si estendeva lungo l’asfalto della strada e i mattoni, i sacchetti della spazzatura e gli aghi gettati a terra. La maggior parte di quella roba, ormai, era bruciata e contorta su se stessa, trasformata in irriconoscibili forme di plastica nera che si aggiungevano all’odore quasi soffocante. A quanto pare, l’assassino non si era preoccupato molto della presentazione.

O forse l’aveva fatto: forse stava sostenendo che questa giovane donna, questa Callie Everard, era soltanto un altro rifiuto.

Shelley era lì vicino e stava parlando all’ufficiale di polizia locale, mentre gli altri stavano impacchettando tutto. La squadra della scientifica era già stata sulla scena, e il cadavere era stato portato via per essere esaminato. Non restava altro da fare che prelevare tutte le piccole prove rimaste tra i detriti della scena dell’omicidio. Una poliziotta bassa con i capelli corti le stava cautamente riponendo in appositi sacchetti di plastica.

Zoe la osservò con vago interesse. La sua mente stava lavorando per conto suo, intenta a esaminare tutto ciò che coglieva lo sguardo. La vittima era stata lasciata in posizione supina con la testa vicina ai sacchi della spazzatura rovesciati, i piedi rivolti verso il centro del vicoletto, a un angolo di trenta gradi rispetto a quella che sarebbe stata la linea centrale. Molto probabilmente era caduta di schiena dopo che la sua gola era stata tagliata. C’erano ancora tracce di sangue, sotto i fluidi corporei bruciati e sciolti, a convalidare questa teoria.

Sapevano già un sacco di cose su di lei, su Callie. Il resto lo avrebbero scoperto una volta interrogati gli amici e la famiglia: avrebbero capito chi fosse e cosa facesse. Per quale motivo qualcuno volesse ucciderla.

Ma l’assassino, quella era un’altra storia. Dov’era lei, o lui? Zoe non riusciva a vedere nulla sull’asfalto del vicoletto, nessun segno particolare che potesse svelare il responsabile. Non c’erano orme, non in un vicolo che veniva indubbiamente attraversato da decine, se non centinaia, di persone al giorno. Non c’erano accendini o mozziconi, nessuna tanica di benzina vuota. Qualsiasi prova in grado di tradire la presenza del colpevole era stata rimossa quando qualcuno aveva versato dell’acqua sul corpo nel tentativo di spegnere il fuoco e salvare una vita che era già venuta meno.

Cosa aveva usato come combustibile? Come accelerante? Dove si era appostato? Che tipo di arma aveva usato quell’uomo per tagliarle la gola? O quella donna, cercò di ricordare a se stessa nel tentativo di mantenere una mente aperta; ma le statistiche parlavano chiaro. Un tale livello di violenza solitamente indicava un sospettato maschio.

Il problema stava in quel “solitamente”. Zoe si fidava del proprio istinto, ma a meno che non fosse sicura al novanta per cento di qualcosa, non era disposta a scommetterci su. E anche quando, in passato, era stata assolutamente sicura di una cosa, a volte si era sbagliata. E in questo momento non aveva alcuna sicurezza, non in relazione all’assassino.

Forse avrebbe scoperto qualcos’altro dando un’occhiata al cadavere. Si diresse verso Shelley, che stava per portare a termine il suo colloquio.

“Qui non c’è niente,” comunicò Zoe, non appena Shelley ebbe finito.

“Non posso dire di essere sorpresa,” rispose Shelley. Stava guardando verso le finestre degli alloggi in alto, annerite non dal fumo proveniente da un corpo umano, ma da anni di sporcizia e incuria. “Nessuno del quartiere ha visto nulla. Hanno detto di aver sentito prima l’odore del fumo. Qualche residente del posto è corso fuori con un secchio d’acqua per cercare di aiutare la ragazza, ma nient’altro. Nessun sospetto, nessuno che abbia osservato la scena. Nessun testimone che abbia visto entrare qualcuno nel vicolo a quell’ora.”

“Nessun filmato?” Zoe indicò verso una telecamera di sorveglianza situata in alto, proprio nel punto del vicolo da cui erano entrate.

Shelley scosse la testa. “I poliziotti dicono che non è neanche funzionante. Ogni volta che cercavano di metterla in funzione, i ragazzini spruzzavano vernice sulle lenti o tagliavano i cavi. L’hanno tenuta lì come deterrente, ma non è operativa da anni.”

“La gente del posto lo avrebbe capito,” sottolineò Zoe.

“Lo stesso vale per chiunque avesse fatto un giro preliminare attorno all’edificio e avesse visto le condizioni in cui si trova.”

Zoe si guardò attorno un’ultima volta, soddisfatta che non ci fosse nient’altro da scoprire qui. L’unica storia che i numeri le stavano raccontando riguardava la realizzazione degli edifici e il vicolo stesso. Dato che dubitava che l’altezza dei muri avesse qualcosa a che fare con il delitto, avevano finito. “Ok, andiamo dal medico legale,” disse con aria risoluta, incamminandosi verso l’auto che avevano noleggiato.

***

Zoe arricciò il naso, dopodiché regolò il respiro. Era tutta una questione di concentrazione. Inspirò attraverso la bocca, evitando la parte peggiore dell’odore, ed espirò dal naso. Shelley stava cercando di non vomitare, ma Zoe provò a non farsi distrarre da quello.

“Capisco, è uno di quelli brutti,” disse il medico legale. Era una giovane donna alta e abbronzata, con capelli biondo scuro e, in generale, un po’ troppo ombretto per qualcuno che lavorava in uno studio medico, anche se gli unici con cui aveva a che fare erano i morti.

Zoe ignorò anche lei, e mantenne la propria attenzione sul cadavere. Semmai rientrasse ancora nella definizione di cadavere; “carbone” sarebbe stato un termine più appropriato. L’uomo, quello che Shelley aveva chiamato John Dowling, non era più un uomo. Aveva ancora una certa forma – gambe intrecciate tra loro, braccia attaccate al corpo, una protuberanza rotonda al posto della testa – ma sarebbe stato facile scambiarlo per un rottame, parte delle viscere di una barca, o per un antico cimelio che aveva bruciato tra le rovine di Pompei.

Il secondo cadavere era più riconoscibile, sebbene non di molto. Per qualche ragione, nonostante il fuoco non avesse compiuto lo stesso scempio del primo cadavere, l’odore era peggiore. Forse perché era stato lasciato al sole della California in pieno giorno. La giovane donna. I brandelli di carne lacera e bruciata che erano ancora attaccati al suo corpo sembravano un qualcosa di osceno. Tredici centimetri di gamba sopra il piede, cinque centimetri per ogni gomito, una ciocca di capelli sulla parte posteriore della testa che erano rimasti intatti grazie al contatto con il terreno umido. Se fosse stata avvolta dalle fiamme ancora per poco, sarebbe diventata cenere, proprio come l’uomo.

“Ferite pre-immolazione?” domandò Zoe, senza alzare lo sguardo.

Il medico legale esitò per un secondo.

“Prima che venissero bruciati,” aggiunse Zoe per spiegarsi.

“So cosa vuol dire immolazione,” rispose la donna, con un primo accenno di nervosismo nella sua voce calma e solare. Tutto di lei era irritante agli occhi di Zoe. “Per quanto mi risulta, considerando lo stato dei cadaveri, c’era soltanto la singola ferita alla gola. Sufficiente a uccidere. Sono stati bruciati, ma non è stato fatto loro nient’altro.”

Zoe si sporse in avanti, esaminando la gola. Le mani della ragazza la stringevano, e le dita si erano sciolte e fuse insieme quando era stata bruciata. Tuttavia, c’era ancora una ferita netta e visibile dietro di loro, che si spalancava lì dove la sua testa si era inclinata all’indietro.

“Un lavoro preciso,” disse, più a se stessa che a qualcun altro.

“È stato un attacco rapido,” convenne il medico legale. “Chiunque sia l’assassino, sa il fatto suo. In entrambi i casi, si è avvicinato direttamente alle spalle e ha praticato un singolo taglio lungo la gola, squarciandola completamente.”

Zoe raddrizzò la schiena e guardò Shelley, per far sì che fosse chiaro che la prossima osservazione sarebbe stata rivolta a lei e non all’irritante presenza aggiuntiva nella stanza. “Non è stato un delitto commesso in modo impulsivo. È stato pianificato, il luogo è stato scelto con cura.”

“Credi che le vittime siano state scelte di proposito?”

Zoe si morse le labbra per un istante, muovendo lo sguardo tra i due cadaveri. Cosa avevano in comune, a parte il fatto di essere ridotti entrambi in cenere?

“È presto per dirlo,” affermò. “Dobbiamo saperne di più su Callie Everard. Se riusciamo a trovare un collegamento tra i due, bene. Altrimenti, potrebbe trattarsi di una faccenda più grande.”

“Un serial killer?” gemette Shelley. “Spero che fossero segretamente amanti o qualcosa del genere. Incrocio le dita, magari riusciamo a tornare a casa per il weekend.”

“Buona fortuna,” si intromise il medico legale, un intervento assolutamente superfluo.

Zoe le rivolse un’occhiata malevola, ma la sua irritazione venne placata, almeno in parte, dal modo in cui la donna si irrigidì e iniziò ad armeggiare con un vassoio di metallo che si trovava nei paraggi, piuttosto che incrociare nuovamente il suo sguardo.

 

“C’è una stanza che ci attende al commissariato locale,” disse Shelley. “Il poliziotto con cui ho parlato mi ha garantito che il caffè fa schifo, ma anche che l’aria condizionata è completamente inutile, quindi abbiamo un sacco di cose da aspettarci.”

“Fammi strada,” rispose Zoe, desiderando almeno trovare divertente quella battuta per indorare la pillola.

CAPITOLO SEI

Con un sospiro, Zoe scelse una sedia e vi si afflosciò, allungandosi per prendere il primo dossier che era stato messo lì a loro disposizione.

“Grazie, Capitano Warburton, apprezziamo davvero il suo aiuto,” Shelley si trovava vicino alla porta e stava facendo il solito, ottimo lavoro con le chiacchiere e i convenevoli che Zoe non aveva mai gradito.

Era bello far parte di una squadra che funzionava. Una squadra in cui ogni componente aveva i propri specifici ruoli. Shelley capiva le persone tanto quanto Zoe capiva i numeri, e sebbene nessuna delle due riuscisse davvero a comprendere l’opera dell’altra, almeno veniva reso tutto più facile.

Dopo una buona ventina di minuti trascorsi a studiare i dossier, non si erano ancora avvicinate a nulla. Nonostante i locali avessero raccolto diverse dichiarazioni da parte dei familiari e ottenuto molte più informazioni rispetto ai dossier iniziali che avevano esaminato in aereo, nulla di tutto questo sembrava essere utile. Zoe lanciò sul tavolo i fogli che aveva in mano con un lamento di frustrazione.

“Perché non c’è mai un collegamento semplice?”

“Perché, in quel caso, i locali riuscirebbero a risolvere il caso da soli, e noi rimarremmo senza lavoro,” rispose in modo calmo Shelley. “Ripassiamo quello che sappiamo. Parliamone. Magari scatterà qualcosa.”

“Ne dubito molto. Quei due erano così diversi.”

“Beh, iniziamo proprio da questo. John era un ragazzo in salute, giusto? Un fanatico della palestra.”

“Il suo coinquilino ha detto che trascorreva quasi tutto il suo tempo libero ad allenarsi. Era in ottima forma.”

“Ed era anche un bravo ragazzo.”

Zoe fece una smorfia. “Donava soldi in beneficienza e dava una mano in una mensa del povero la domenica. Non vuol dire per forza che fosse un bravo ragazzo. Moltissime persone fanno cose del genere perché nascondono un lato oscuro.”

“Ti stai arrampicando sugli specchi,” disse Shelley, scuotendo la testa. “Non ci sono altri significati nascosti. Aveva uno stile di vita pulito. Niente droghe, né condanne, neanche un rapporto disciplinare al lavoro.”

“Lei invece era l’opposto.” Zoe diresse quest’ultima affermazione verso una fotografia di una raggiante Callie Everard, che sorrideva alla fotocamera e aveva in mano una bottiglia di birra mentre un ragazzo dall’aria ubriaca le metteva il braccio attorno alle spalle.

“Beh, forse no. Ok, ha avuto qualche problema di droga quando era più giovane. Ma è entrata e uscita dalla riabilitazione quando aveva ventitre anni, ha completato il percorso e ha perso il vizio. Era pulita da un paio di anni. Si è rimessa in sesto.”

Zoe prese in considerazione questo aspetto. “Forse potrebbe essere un indizio. Entrambi con sane abitudini, anche se soltanto di recente.”

“A cosa stai pensando? A una sorta di culto della forma fisica o cose del genere?” domandò Shelley.

Zoe le rivolse uno sguardo cupo.

“Beh, è possibile,” disse Shelley. “Guarda tutta quella roba delle cyclette. E quel culto dell’auto-aiuto, quello che convinceva con l’inganno le donne a fare sesso e donare soldi al fondatore.”

“Suppongo tu abbia ragione.” Zoe non conosceva i dettagli, ma aveva sentito parlare dei casi. Shelley aveva ragione, in un certo senso. Non si sa mai cosa potrebbe esserci sotto la superficie fino a quando non si scava abbastanza a fondo da scoprirlo.

Sollevò le foto delle due vittime, cercando eventuali analogie. Era sempre frustrante imbattersi in casi del genere. In presenza di una sola vittima, era possibile limitarsi ad analizzare le prove, concentrarsi su ogni piccolo dettaglio di quell’unica persona. Quando c’erano tre o più vittime, era possibile avere a disposizione abbastanza dati per definire uno schema. Per capire che l’assassino si stava muovendo in una determinata direzione, oppure stava soltanto prendendo di mira le persone bionde di altezza inferiore a un metro e settantotto centimetri, o che magari presentavano un certo tic.

Ma quando le vittime erano due, la faccenda si complicava enormemente. Non era possibile mettere insieme le cose nello stesso modo. Un’analogia in termini numerici poteva anche rivelarsi soltanto una coincidenza che sarebbe stata demolita dal ritrovamento di un altro cadavere. Magari in un primo momento si notava che le età delle vittime erano numeri primi, soltanto per scoprire in seguito che quell’aspetto non aveva alcun senso. Era impossibile capire cosa fosse importante e cosa invece fosse soltanto fumo negli occhi, gettato dal proprio cervello e privo di qualsiasi proposito.

“C’è una cosa che hanno in comune,” disse Zoe, battendo l’indice sulle foto. “I tatuaggi. Dowling aveva una tigre sul bicipite sinistro, Everard una rosa sulla coscia destra, tatuata a puntini. Inoltre, stava andando a trovare un suo amico per farne un altro.”

Shelley scrollò le spalle. “Credi davvero sia un collegamento? Tantissime persone hanno dei tatuaggi.”

Zoe stava sfogliando altre foto, notando ulteriori segni su zone di pelle che erano visibili in diversi scatti. Erano stati presi quasi tutti dai profili social delle vittime, e sembrava che entrambi fossero orgogliosi dei propri tatuaggi, al punto da metterli in mostra. C’era un significato in tutto questo? “Non avevano soltanto un tatuaggio. Guarda. Entrambi ne erano pieni. Dowling aveva quasi tutta una gamba tatuata, fino al piede. Ed Everard, qui, sulla schiena e sull’addome.”

“Non sono ancora sicura che significhi qualcosa. È soltanto una moda di questo periodo.”

Zoe arricciò il naso. “Una moda?”

“Già. Non ci hai mai fatto caso? Un sacco di ventenni si tatuano, oggigiorno. Coprono tutto il corpo. Persino la faccia e le mani. Anche moltissime celebrità lo hanno fatto. Justin Bieber, Ariana Grande, conosci? Rapper, cantanti, sportivi. È considerata una cosa figa.”

“Tatuare la faccia e le mani sembra un’idea decisamente idiota,” disse Zoe, facendo una smorfia. “Immagina di non poter mai più nascondere un errore che hai fatto da giovane, quello di scegliere qualcosa di stupido da imprimere per sempre sul tuo corpo.”

“Deve esserci un qualche tipo di collegamento tra di loro,” brontolò Shelley. “Scommetto che ha a che fare con le loro vite private. Forse entrambi frequentavano le stesse persone. Magari avevano in comune un bar o un club, un gruppo di amici, un cugino che conosceva un cugino. Forse, senza saperlo, avevano entrambi partecipato a uno stesso evento. Dobbiamo soltanto continuare a scavare fino a quando non ci arriviamo.”

Zoe annuì. “Bene, allora, ho capito da dove dovremmo iniziare.” Raccolse il dossier di Callie Everard e prese nota dell’indirizzo che vi era indicato. “L’amico che stava andando a trovare: Javier Santos.”

CAPITOLO SETTE

Zoe gironzolò nel piccolo studio, osservando le illustrazioni e i disegni che ricoprivano ogni possibile superficie. Spettava a qualcuno che aveva più interesse di lei per l’arte affermare se Javier avesse o meno del talento. Il fatto che fosse produttivo, tuttavia, era fuori discussione.

“Questi sono tutti per tatuaggi?” domandò, esaminando i disegni.

“Sì, certo.” Javier annuì. “In gran parte sono stati utilizzati. Comunque, posso prepararvi qualcosa di originale, se lo desiderate.”

Zoe si girò di scatto a guardarlo per capire se stesse scherzando. Sembrava serio, il che era peggio.

“Non penso proprio,” disse lei, accontentandosi di impiegare queste semplici parole, sperando che lui non insistesse. Non le sarebbe piaciuto rovinare l’interrogatorio prima ancora di iniziarlo, dicendogli apertamente la sua opinione sulle persone che si facevano i tatuaggi.

Soprattutto tatuaggi del genere: opere casuali, indiscriminate. Zoe riusciva anche capire che a qualcuno potesse piacere la forma fumettistica del viso di una donna come opera d’arte da appendere ad una parete o da riporre in un libro. Ma imprimerlo sul corpo per il resto della propria vita? Indossare il volto di questa persona, questa donna fittizia, che non significava niente per nessuno ed era semplicemente frutto della fantasia occasionale di un artista?

Era strano oltre ogni limite, e lei non sapeva se fidarsi di qualcuno disposto ad accogliere una testimonianza permanente di una cosa così insensata.

“Come vuole.” Javier scrollò le spalle, apparentemente non infastidito dal suo disinteresse. “Non so cosa farò con il disegno che ho creato per Callie. Stavo pensando di tatuarlo su di me, ma potrebbe essere piuttosto inquietante.”

“Per quale motivo?” domandò Zoe, collegandosi alle parole del ragazzo. In base alla sua esperienza, se qualcuno coinvolto in un caso di omicidio riteneva che una cosa fosse “inquietante”, solitamente valeva la pena approfondire.

“Beh, prima di tutto era un’opera commemorativa. Venite, ve la mostro.” Javier iniziò a rovistare su una scrivania piena di scarti di schizzi realizzati su carta da lucido, e tirò fuori un blocchetto da disegno sul quale c’era un’illustrazione più rifinita. Era colorata con intense pennellate di nero, che andavano a costituire la sagoma di un uccello in volo.

“Cos’è?” domandò Zoe, ignorando l’occhiataccia che Javier le aveva rivolto per non aver immediatamente capito la sua opera artistica.

“È un corvo. Basato sul mito di Muninn,” iniziò lui.

“Viene dall’Antico Norreno, significa memoria,” lo interruppe Zoe. Almeno in questo caso, poteva dimostrare di saperne qualcosa. “Un uccello che assisteva il dio Odino. È per questo che l’ha definita un’opera commemorativa.”

“Per questo e per i fiori.” Javier indicò i tralci di fiori dietro l’uccello nero, accuratamente colorati con sfumature lilla e viola. “Sono zinnie, rappresentano la memoria di un amico perduto.”

“In memoria di chi?” domandò delicatamente Shelley, che si trovava dietro Zoe, intenta a osservare il disegno.

“Di un vecchio amico.” Javier storse la bocca, scrollando le spalle. “Un vecchio fidanzato, in realtà. Di quando Callie era, ehm …”

“Drogata?” continuò Zoe. Sentì sussultare Shelley alle sue spalle, ma non ebbe alcuna reazione. Che motivo c’era di girarci attorno? Sapevano tutti di cosa stavano parlando. Non era un segreto per nessuno di loro.

“Già,” disse Javier, grattandosi la nuca. “Stavo per dire in un giro sbagliato, ma sì.”

“Qual è la storia?” chiese Shelley. Il suo tono era molto più sensibile di quello di Zoe. In qualche modo, aveva l’abilità di porre domande ugualmente dirette ma facendole sembrare molto più … gentili.

“Era un brutto tipo. Uno del gruppo che l’ha fatta entrare nel giro della droga. Per quanto ne so, se non erano fatti, erano ubriachi. E se non erano né fatti né ubriachi, erano a sniffare coca nei bagni e a scoparsi a vicenda.” Javier scosse la testa, facendo un respiro profondo. “Scusatemi. Non mi piace pensare a lei in questo modo. Lei non è davvero così. Non era così, in questi ultimi anni in cui l’ho conosciuta.”

“Si è disintossicata dopo il college, giusto?” domandò Shelley.

“Esatto. L’ho aiutata io. All’inizio non poteva permettersi la riabilitazione, quindi abbiamo organizzato una fiera artistica. Abbiamo raccolto un po’ di soldi per lei, per me e per qualcun altro della nostra classe. Siamo rimasti in contatto da allora.”

“Questo ex,” incalzò Zoe, cercando di non farlo divagare.

“È stato ucciso, credo. Non so. A Callie non piaceva molto parlarne, all’epoca. Negli ultimi anni, aveva iniziato a fare i conti con il suo passato, a voltare pagina. Credo avesse finalmente accettato il fatto che lui non fosse il tipo giusto per lei, che il loro rapporto era malato. Ma anche che avevano avuto qualcosa di importante. Ecco il motivo dei fiori. Non si tratta soltanto di amore, ma di un amico perduto.”

Ucciso? Quel dettaglio attirò parecchio l’attenzione di Zoe. “Conosce le circostanze della sua morte?”

“Non è stata un’overdose. La polizia stava indagando, ma non so se hanno mai preso qualcuno. È tutto quello che so.”

Zoe rifletté su questa idea. Poteva trattarsi di un collegamento convincente, se prima questo misterioso ragazzo e poi Callie fossero stati uccisi. Avevano soltanto bisogno di trovare un legame con Dowling, e avrebbero avuto qualcosa per le mani. Magari qualcosa che aveva a che fare con la droga.

 

Shelley aveva detto che si trattava soltanto di una moda, ma i tatuaggi … Zoe non ne era mai stata una patita. Per lei, si associavano ad una parte della società che vedeva più spesso dietro le sbarre che in posizioni rispettabili. Non era possibile trovare un buon lavoro avendo un tatuaggio. Sicuramente non sarebbe stato possibile trovarlo nelle forze dell’ordine: non con lacrime da prigione tatuate sul viso o il nome del proprio figlio su tutta la gola.

Il tatuaggio che Javier aveva disegnato per Callie era grande. Diciotto centimetri, da una parte all’altra. Era impossibile nasconderlo. Al contrario, era concepito per essere messo in mostra. Le persone con tatuaggi visibili, come il suo e come quelli di Dowling, di solito non erano brave persone.

I conti iniziavano a tornare. Callie e il suo fidanzato erano nel giro della droga, frequentavano le persone sbagliate. Anche se era pulita quando è morta, aveva quel genere di trascorsi che attiravano l’omicidio. E per quanto riguarda Dowling, soltanto perché ormai aveva uno stile di vita sano, non vuol dire che non fosse stato coinvolto in qualcosa di losco in passato.

“Grazie, Javier,” disse bruscamente Zoe. “Il suo aiuto sarà molto prezioso.”

“Aspetta,” la interruppe Shelley. “Ho ancora un paio di domande.”

Zoe le fece cenno di proseguire, dirigendosi verso la porta dove avrebbe potuto attendere senza intralciare la sua partner. Dal suo punto di vista avevano finito, e voleva andar via subito. Non voleva perdere altro tempo a guardare questi inutili disegni di tatuaggi e parlare con Javier, che aveva già detto loro la cosa più interessante che dovevano sapere.

“Conosci qualcuno che avrebbe voluto fare del male a Callie?”

Javier fece cenno di no con la testa. “L’ho già detto prima ai poliziotti. Ultimamente era una ragazza dolcissima. Insomma, era davvero cambiata. Nessuno voleva che le accadesse qualcosa di male.”

Ma era davvero cambiata? Si domandò Zoe. Un lupo poteva perdere il vizio? Callie sicuramente non poteva perdere i suoi, non quelli impressi per sempre sul suo corpo. Per sempre, appunto, a meno che il suo assassino non li avesse eliminati con il fuoco.

Forse era tutto collegato. Forse aveva i tatuaggi di una gang che dovevano essere rimossi attraverso le fiamme. Forse qualcuno la vedeva come l’ultimo collegamento di una serie di omicidi che si era protratta per molto tempo. L’ultima parte di una vendetta compiuta da un trafficante uscito di prigione, o da una gang di motociclisti che desiderava sbarazzarsi di qualcuno che aveva infranto le regole.

“Cosa mi dice di stamattina, stanotte, ieri? Ha notato qualche faccia nuova che si aggirava da queste parti?” domandò Shelley.

“No, assolutamente no,” le rispose Javier. Le sue gambe cedettero e lui si afflosciò su una panca bassa collocata accanto a un tavolo, seppellendosi la testa tra le mani. “Vorrei saperne di più. Vorrei potervi dire qualcosa che possa aiutarvi a trovare il bastardo che le ha fatto questo. Lei non lo meritava.”

Ma forse qualcuno pensava che lo meritasse. Spettava a Zoe e Shelley scoprire chi, e qui non stavano facendo alcun passo avanti.

“La lasceremo con i suoi pensieri,” disse Zoe, una frase che aveva già sentito prima e che pensava sembrasse almeno un po’ sensibile. “Se le viene in mente qualcosa che pensa possa esserci utile, ci chiami, per favore.”

Ignorando le occhiate di biasimo che Shelley le stava lanciando per non essere stata abbastanza gentile, uscì dal monolocale di Javier, felice di respirare aria fresca e di non essere più distratta da tutti quei disegni pacchiani.

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