Caricreature

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Caricreature
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CARICREATURE
© Tektime, 2020
© Diego Maenza, 2017
© Traduzione di Elias Ghetti, 2020
www.traduzionelibri.it
www.diegomaenza.com
Le illustrazioni sono di pubblico dominio
CARICREATURE
DIEGO MAENZA
Traduzione di Elias Ghetti
 
Non possiamo fermare i disegni che si formano nell'aria.
Non possiamo fermare i disegni che restano appesi nella notte.
Non possiamo fermare i disegni che incendiano i nostri pensieri.
 
 
Non sappiamo chi ha fatto quei disegni.
Non sappiamo perché quei disegni adornano
questi pigri sobborghi sbucati dal nulla.
Non sappiamo nemmeno se i nostri occhi servano
per vedere quei disegni.
 
 
Ma il fatto che più ci sorprende
è che tutte le cose siano incomplete,
in quanto non esistono né sono sostenute
senza l'integrazione di questi disegni.
 
 
Non è insolito, quindi, che questi disegni ci appaiano
più perfetti dell'aria,
più popolati della notte,
più reali del pensiero.
 
Roberto Juarroz,
Dodicesima poesia verticale, verso 32.

ACQUA


VORREI? FORSE MI FAREI UN BAGNO DENTRO DI TE. Scorrerei al ritmo delle tue onde, mi lascerei trascinare dalle tue correnti, naufragherei negli idrati del tuo ventre, ancorerei sulle rive delle tue isole, sorseggerei i tuoi liquidi e berrei dagli affluenti delle tue labbra del sud. Ma lo farei davvero? Dalle nuvole cadrebbero, in una pioggerella prodigiosa, alghe e ninfee, gigli e loto, e la carne impregnata del nostro verde acquatico si ritroverebbe. Ma non sarebbe così, perché sarei sopraffatto dalla forza della tua timidezza. Il tuo silenzio sarebbe un canto di sirena invocato dalla sorgente. Perché la tua arte sarebbe liquida, sarebbe innaffiata dal ruscello e mostrerebbe il tuo intimo silenzioso, il mistero di quella prudenza così tua che mi inciterebbe alla disperazione e all'agonia consumata. Saresti la naiade furtiva, la piccola onda riservata che veglierebbe sulla mia saliva come l'estuario che custodisce la tranquillità dell'alosa.

Tu saresti… tu saresti… tu saresti… il condizionale tradisce la mia incapacità di salire a bordo. Il mio esplicito rifiuto di trasferire la freddezza del tuo sguardo in un conflitto reale. Perché a pensarci bene, tutta questa storia sarebbe la conferma di un acquazzone che si trasformerebbe pazientemente in neve: con la grandine che sarebbero le tue braccia impaurite, con la brina che sarebbero le tue gambe timorose, con il gelo che sarebbero i tuoi capelli sottili. E come sempre, inizieresti a rendere omaggio a Borea o al tuo sesso pallido e silenzioso, che sarebbe lo stesso. Calmeresti la tempesta, placheresti il diluvio del desiderio con i pensieri provenienti da quell'interiorità che ti reclamerebbe; domeresti la tempesta che si sforzerebbe di rovesciare i tuoi scrupoli, il diluvio malsano di estasi interiore che alimenterebbe l'inondazione dei tuoi abissi. Domare le tempeste. Con la tua rilassatezza calmeresti i ruscelli dei miei occhi che, terrorizzati, non potrebbero nemmeno guardarti, perché non saremmo più due cuori deboli in attesa che i nostri messaggi si frantumino in un'umida esitazione, e tracimeremmo nel torrente delle nostre cascate addomesticate. La leggerezza dei tuoi acquazzoni avrebbe la virtù di scoprire vecchie lacune che cospargerebbero di frugalità gli istinti più deboli.

In quel momento sarei consapevole che lo farei. Ti farebbe crescere i vuoti nei tuoi involucri. Finirei per cadere nel paradosso dei vostri tsunami: perché se lo dicessi, sarebbe la verità e poi (oh, crudele dio delle parole e dei mari!) questo non accadrebbe mai.

IL PIRATA


SÌ, AMICI, SONO STATO UN PIRATA e ne sono orgoglioso. Ho servito il famoso Francis Drake in diverse delle sue grandi spedizioni e ho partecipato all'ultima delle sue battaglie, dove ho perso una gamba. Ma fate silenzio e ve lo racconterò.

L'amico fastidioso che vedete sulle mie spalle è il mio fedele compagno da un paio d'anni. Mi striglia il gesso e mi becca i pidocchi. In cambio, ogni giorno sbriciolo una pagnotta per lui e, naturalmente, nei giorni migliori, quando ho voglia di cambiare uno dei miei dobloni che custodisco con zelo nel mio petto, gli compro del mangime per uccelli al mercato e lo invito a una buona cena. So che è un abbastanza divertente, ma non ridere così forte, il locandiere potrebbe irritarsi con me.

Sì, sì, lo ammetto, anch'io ero un bucaniere, ho dovuto affrontare tutto questo. Mentre il nostro capitano stava esplorando le isole intorno allo sbarco, io dovevo fornire cibo, cos'altro potevo fare? Era un rischio professionale che ho accettato con disciplina. Finché non sono diventato uno schiavista sotto il comando del grande William Dampierre, il pirata letterario, e abbiamo raggiunto le coste del Nuovo Mondo.

E perché ridete, canaglie, non ridete di me. Lasciatemi raccontare e continuerò. Come potete vedere, ho la mia spada. È vero che non ha più lo stesso taglio di prima, ma sarei felice di ficcartelo nelle costole quando vedo che fai tante storie per non far sentire la mia storia ai più giovani. Ho una gamba di legno perché la tradizione dei pirati lo prevede nei loro codici. Il mio forziere viaggia con me perché non saprei come pagare le spese se non mi occupassi della mia merce, e il mio cannocchiale non lo lascio perché se non lo avessi non saprei nemmeno come guardare a nuovi orizzonti. Questa è stata la mia storia, amici. Se mi offrite un altro drink, vi racconterò le avventure che ho avuto con il pirata Colombo nelle lontane terre delle Indie. Salute! Cosa state facendo? Perché ridete così tanto? Idioti, la mia gamba è stata amputata da una palla di cannone, non perché sono stato schiacciato dal carro trainato da un mulo come dite voi. Ehi, non spingermi e non toccare la mia spada. Non osare rompere la mia spada. Va bene, lo ammetto: è di legno, ma non romperlo, è un bastone. Uccellino, dove vai? Non andare, uccellino, lasciami il mio tesoro! Non aprirmi il forziere, per favore, non aprirlo… Va bene, va bene: aprilo. Lo si vede: è il nostro distintivo adottato sulle rive del Nuovo Mondo: il serpente coperto dalle piume dell'aquila.

IL NOVELLINO


IL MARE GLI DA' la nausea, le vertigini, il panico, ha una mappa che pare un labirinto. L'orizzonte è così ampio che gli sembra infinito. Lo travolge. Lo riempie di disperazione e di impotenza il desiderio di voler conquistare i suoi domini e scoprire se stesso così inesperto e insignificante di fronte alla vastità delle onde. Lui, proprio lui, che ha appena iniziato a muovere i primi passi nel mondo della pirateria. La sua ambizione è enorme, sproporzionata e quindi ridicola. Intende conquistare i sette mari. Vuole coprirli, quindi, nel loro insieme, e non può guardarli con la brevità degli occhi e la limitatezza della sua navigazione. Così sceglie di ricordare quelli che ha attraversato, anche se solo in sogno, un viaggiatore alle prime armi che si affida più alla memoria che alla capacità della sua inventiva: il Mar Nero, il Mar Rosso, il Mar Caspio, il Mar Mediterraneo, il Golfo Persico, il Mar Arabico, l'Adriatico.

E opta per la fantasia rifugiandosi nella taverna dei sogni, dove i menestrelli cantano storie molto strane e fondanti di esseri bifronti che si forzano e si metamorfosano, che sono allo stesso tempo elementi, animali e divinità, figure invocate in riti immemorabili che sono venuti nel mondo antico per contaminare tutto, loro, proprio loro, così colti nella loro cultura portata giù dall'Olimpo e forgiati e perfezionati nelle fucine di Roma; storie metafisiche e spirituali che infettano per sempre la pacifica acutezza materialistica e razionale della loro saggia competenza; O favole più vicine a lui, l'apprendista dell'ostruzionista che vuole spiccare il volo come un gabbiano e poi precipitarsi sulla preda sfuggente, come quella del pirata mendicante che, per le risate di tutti, sosteneva di essere stato uno schiavista e di aver svelato un nuovo emblema che dava valore e trasformazione agli accoliti che lo prendevano come loro vessillo, o quella dell'uomo nero sfuggito ai suoi padroni e diventato re, o quella dell'omino infelice con il volto sfigurato e le vesti tristi che dichiarava di essere stato vittima di un incantesimo malvagio, come se la sua anima valesse più di quella di Faust. Povero lui, innocente creatura piena di ottimismo che conosce a malapena il mondo e che crede che gli affluenti siano gradevoli come le vene delle sue gengive, arterie salate che portano alla verità. Di cosa hai paura, marinaio, di indebolirti davanti allo sguardo del tuo stesso volto riflesso nella calma dell'oceano? Che la schiuma delle onde si schianti nel tuo cranio e rompa le rocce di un'isola vergine, o che gli uccelli impazziscano e comincino a beccarti gli occhi? Che i corsari della parola si innalzino come supremi esecutori, come demiurghi ineguagliabili che considerano il mare di loro proprietà? Tu, mio esitante amico, devi essere il pirata per eccellenza, quello che sabota tutte le lingue e i codici stabiliti nei regni degli altri: devi appropriarti di quei regni. Sarai tu a costringere il pesce e l'albatros a copulare per generare una nuova prole, una creatura mitologica nata dalle tue stesse viscere.

 

Poi, il nostro amico, di fronte alle sue paure, con una visione rinnovata ma sbagliata, si aggrappa e beve dal suo labirinto, ed è deciso a inventare i mari in cui navigherà, un viaggiatore sollecitato dalle esperienze altrui, e che ora confida pienamente nella capacità della sua inventiva piuttosto che nella sua nebulosa memoria e crea e crede: l'Oceano Atlantico, l'Oceano Indiano, l'Oceano Artico, il Mar Mediterraneo di nuovo, l'Oceano Pacifico, il Mar dei Caraibi, il Golfo del Messico. Sì, la sua realtà inizierà dove è culminata la sua immaginazione. Salperà per le coste di quel mondo da loro appena scoperto, ma abitato dall'immemorabile.

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