Il Clan Del Nord

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Il Clan Del Nord
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Il clan del Nord

La croce di Argana

Libro 1

Jessica Galera Andreu

Trad otto da Alessandra Marchese

jessi-ga.wixsite.com/fantepika

Tutti i diritti riservati

© Autor: Jessica Galera Andreu

© Traduttore: Alessandra Marchese

© Portada: Pixabay

Tutti i diritti riservati. E' vietata la riproduzione totale o parziale di questa opera, a sua incorporazione in un sistema informatico, la sua trasmissione in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo (elettronico, meccanico, tramite fotocopia, registrazione o altro mezzo)senza previa autorizzazione e per iscritto da parte dei titolari del copyright. La violazione dei suddetti diritti può costituire reato contro la proprietà intellettuale.

Dedicato a tutti quelli che perseverano nella lotta

per realizzare i propri sogni

Vianta

Dayrsenne

Gli eredi della confraternita

Licantropi

Il clan del Nord

La liberazione del lupo

Clan rivale

Le antiche leggi

Sotto controllo

L'inizio della fine

Prologo

Si svegliò all'improvviso, avvertita da un forte impatto. Tornò a sedersi sulla vecchia sedia a dondolo da cui era scivolata e raccolse la coperta di lana che era caduta a terra. All'improvviso fu sopraffatta dall'angoscia di un fragoroso silenzio. Aveva smesso di sentire il crepitio del fuoco nel camino e presto si rese conto che la fiamma era quasi spenta. Tutto quello che doveva fare era alzarsi e fare un passo avanti per riaccendere il fuoco gettando un altro paio di tronchi, e smuoverli con l'attizzatoio. Il fuoco emerse come una piccola fenice e divorò insaziabilmente il legno di conifere che era caduto nelle sue fauci. La vecchia rimase immobile per qualche minuto ancora, come se il caldo bagliore arancione del caminetto nero l'avesse ipnotizzata. Si aggiustò lo scialle che portava sulle spalle e volse lo sguardo alla finestra, dalla quale udì un nuovo impatto, era un colpo secco, come quello che aveva sentito solo pochi secondi prima. Cercando di sopprimere una paura segreta, si alzò e si avviò lentamente verso la finestra, la cui tenda era tirata indietro. L'oscurità avvolgeva gran parte del panorama, e solo il disco argentato della luna, che coronava il firmamento, le offriva una vaga idea di quel paesaggio che di giorno sembrava idilliaco e di notte diventava inquietante e sinistro. Le sagome frastagliate delle montagne che si stagliavano davanti al vecchio casale rimanevano solenni e maestose, quasi altezzose, davanti alla paura di chi abitava nei dintorni. Quello non era un sentimento che poteva trasformarsi in abitudine, poiché risaliva solo ad un mese prima. Le foreste di Innoth erano sempre state popolate da lupi, ma questi nobili animali sembravano aver sempre conosciuto i limiti del loro territorio, cosa che avevano rispettato fino a tre settimane prima. Da allora in molti avevano affermato di incontrare i membri di alcuni branchi sulle vecchie strade del villaggio. Lora non poté fare a meno di dirigere il suo sguardo ad ovest. Di giorno, il vecchio ponte di pietra che portava al paese di Vianta era perfettamente visibile da lì, ma in quella notte buia solo le ombre contrastavano con l'oscurità assoluta. In lontananza , le luci del villaggio rendevano vagamente distinguibile il suo profilo. Hans, suo marito, era partito quella mattina per la città di Glosurg, a circa tre o quattro giorni di viaggio. Dopo duri giorni di lavoro ininterrotto erano riusciti a raccogliere buona parte dei raccolti, e l`uomo non aveva voluto aspettare un giorno di più per mettere in commercio quei frutti del suo orgoglio. Essi stessi e quella vecchia fattoria era tutto ciò che avevano, e proprio per questo Lora era preoccupata che Hans non avesse voluto aspettare per tornare e avesse rischiato di viaggiare di notte, all'abbandono di quell'oscurità, e dei pericoli nascosti in essa. La sua vecchia giumenta non era più pronta per quei trotti, e sebbene lei lo avesse ripetuto molte volte, Hans insisteva che vietare all'animale la sua attività abituale sarebbe stato un modo per condannarlo a morte, come sarebbe successo anche a lui. Ma la verità era che negli ultimi tempi le forze di quella giumenta erano calate più del solito, e Lora temeva che se fosse successo ai margini della foresta, sarebbe potuto accadere qualcosa di terribile. Gli aveva chiesto insistentemente di aspettare e viaggiare solo con la luce del giorno, cosa che le aveva promesso, ma che tuttavia temeva non avrebbe mantenuto.

Un terzo colpo la fece trasalire e la fece indietreggiare, emettendo un sussulto mentre lasciava la tenda. La persiana esterna della finestra si era staccata dalla staffa e batteva con insistenza sulla facciata e sui vetri per il forte vento che soffiava da nord. I ciuffi di nuvole squarciavano il cielo vellutato, nascondendo a intermittenza la luna d'argento e le cime dei pini torreggianti che formavano i pendii delle montagne, ondeggiavano come un sinistro pubblico in una tribuna immaginaria.

Lora aprì la finestra, e tenne fermo il cancello di legno. Una raffica di gelo penetrò nella stanza e fece oscillare violentemente la sottile tenda di garza che pendeva dalla dispensa. Sentì un brivido e perse di colpo il calore che l'aveva confortata fino a spingerla in un sonno profondo.

Non era del tutto chiaro il motivo, ma una sensazione angosciante gli si insinuò nella bocca dello stomaco. Scrutò disperatamente i dintorni, cercando di trovare il motivo della sua inquietudine. Non lo trovò, ma non era l'unica a sentirsi in quel modo. All'improvviso sentì i cavalli nitrire nella stalla, sembravano nervosi e turbati. Tuttavia, fu molto sorpresa che Black, un vecchio labrador retriever che accompagnava sempre Hans nei suoi viaggi in città, ma che negli ultimi mesi, afflitto dai dolori che lo facevano zoppicare, aveva smesso di farlo, non si fosse unito abbaiando ai nitriti di Tisa e Amber, i destrieri, più giovani della vecchia Yona, ma della cui lealtà Hans non si fidava ciecamente.

“Black!” Lora si voltò verso l'interno della casa, con la finestra ancora aperta e chiamò l'animale, pensando che forse si era addormentato in qualche angolo, ma la sagoma scura di Black non comparve. Di solito dormiva in casa, nonostante uscisse spesso dal portello che gli aveva costruito Hans nella porta sul retro.

Quando la donna volse di nuovo lo sguardo verso l'esterno, si sentì mancare il fiato. Il sentiero scorreva qualche metro più in là, al di là della vecchia staccionata in legno che circondava la proprietà, e non gli fu difficile distinguere la fiamma di alcune torce che avanzavano a ritmo cadenzato lungo il suo percorso, in direzione est.

Lora si portò la mano alla bocca e rimase in silenzio. Sembrava una processione; non riusciva a distinguere molto da li, ma il bagliore delle torce le dava un'idea approssimativa del numero di persone che sembravano avanzare in fila indiana, dovevano essere almeno dodici o quindici. Ma quali audaci viaggiatori sarebbero stati così imprudenti da camminare nell'oscurità ai margini della foresta di Innoth, di cui erano stati raccontati eventi così oscuri nelle ultime settimane? si chiese. Pensò che probabilmente si trattava di viaggiatori che la notte aveva sorpreso lontano dalla città.

Per un istante Lora lottò contro la necessità di correre ad avvertirli, cosa che tuttavia respinse con un insolito timore.

All'improvviso si sentì ridicola: faceva bene ad aver paura dei lupi, che nelle ultime settimane avevano distrutto raccolti, mandrie, e addirittura se l'erano presa con qualche camminatore solitario, ma per quale motivo avrebbe dovuto intimorirla la presenza di pochi viaggiatori che sicuramente non erano a conoscenza di tutto ciò e che probabilmente cercavano solo di procedere con meno pause possibili per arrivare quanto prima alla loro destinazione?

Chiuse velocemente le persiane e corse verso la libreria a prendere la lanterna. Che accese con estrema cura. Poi si voltò e usci dal cancello, attraversando a grandi passi la distesa di terreno che la separava dal recinto, verso la strada.

“Aspettate!”urlò mentre avanzava, “Aspettate un minuto, per favore!”.

La lenta marcia delle fiamme si fermò e lei capì subito che avevano sentito la sua voce. Quando arrivò al recinto riuscì a distinguere alcune delle facce che componevano quella curiosa processione. Trovarsi faccia a faccia con loro non la rassicurò affatto, ma piuttosto il contrario. Un uomo con i capelli grigi raccolti la osservava con indifferenza dall'alto di un oscuro destriero, La sua carnagione pallida contrastava con i suoi vestiti scuri, adornato da un lunghissimo mantello che gli cadeva sulla sella. Lora ebbe l'impressione che quest'uomo avesse molti anni alle spalle, ma a stento il suo volto era solcato da un paio di rughe sulla fronte e da una vistosa cicatrice che partiva dalla tempia destra fino al mento. Sorvegliando lo strano cavaliere, avanzavano altrettanti volti non meno privi di quell' inquietante alone che li faceva sembrare tutt'altro che semplici viaggiatori smarriti o frettolosi. Sembrava più una specie di strano corteo.

 

“C...ciao” balbettò Lora “Volevo solo avvisarvi...E' pericoloso percorrere le strade di notte.”

Quello che sembrava guidare il corteo sorrise senza che ciò variasse l'espressione del suo volto

“E che tipi di pericoli ci aspettano, mia signora?”domandò.

“Nelle ultime settimane sono stati avvistati dei lupi fuori dai confini della foresta. Hanno attaccato case, greggi e persino persone. Non voglio spaventarvi , ma...”

“Prenderemo in considerazione questi avvertimenti.”la interruppe l'uomo “Non sa quanto li apprezziamo”

La sua voce era grossa e profonda; i suoi occhi scuri e penetranti. La inquietò la confusa miscela di tonalità che sembravano fondersi in essi.

Il vento continuava a soffiare con forza e agitava con virulenza le fiamme delle torce portate da alcuni membri del quale sembrava il suo seguito. Lora sentì gli sguardi di tutti fissi su di lei, cosa che la fece sentire a disagio. Passò attraverso il suo corteo e vide che quest'uomo non era l'unico a viaggiare a cavallo. Dalla vicinanza delle luci riuscì a distinguere almeno altre due figure che montavano i rispettivi destrieri, mentre gli altri erano a piedi.

“Dovrebbe tornare a casa sua.” Un uomo di mezza età, che aveva le redini del primo cavaliere, le aveva parlato con una voce molto più dolce e vellutata. Lora lo guardò e non riuscì a trattenere un brivido, mentre si mordeva il labbro inferiore. La donna deglutì a fatica e si pentì immediatamente di essere uscita a cercare quegli strani viaggiatori. Pensò ad Hans ed alla serie di rimproveri che gli avrebbe fatto se fosse stato lì; l'avrebbe rimproverata per la sua impulsività, per il suo bisogno di aiutare persone di cui non conosceva le intenzioni, e per le poche volte che si era preoccupata di prendere delle precauzioni prima di “cacciarsi in mille guai”. Cominciò ad indietreggiare lentamente , di fronte agli intensi sguardi di quelle persone, e presto si voltò per affrettare il passo in direzione della casa. Anche voltando le spalle a quegli stranieri sentiva il peso dei loro sguardi. Perché non riprendevano la marcia? Pensò. Affrettò sempre più i passi e quasi iniziò a correre, spinta da qualcosa che lei stessa non capiva. Tale era la sua fretta di scomparire da lì che cadde faccia a terra e perse il candelabro, che rotolò qualche metro più avanti. Ancora distesa sull'erba, si voltò e guardò di nuovo quegli stranieri, che non si erano mossi. Sentiva il cuore salirgli in gola, con l'aiuto delle sue mani tremanti si rialzò e corse goffamente verso casa. Attraversò la soglia e, tirando un sospiro, appoggiò la schiena contro la porta non appena fu chiusa. Non aveva nemmeno sentito il cambio di temperatura rientrando, stava ancora tremando ed era irrigidita. Cercando di riprendere fiato, spostò lo sguardo sul caminetto: il fuoco era spento e non le ci volle molto per rendersi conto che il freddo che la avvolgeva non era solo un prodotto della paura. Si strinse le braccia intorno a sé e si avviò timidamente verso la cucina, la cui porta sul retro era aperta.

“Black!”esclamò con un filo di voce.

Immobile nel mezzo della stanza, si voltò e scoprì che dall'altra parte delle finestre non c'era più traccia di quegli strani viaggiatori. Rivolse di novo la sua attenzione verso la cucina e non poté più nemmeno pensare di gridare: un branco di lupi la braccavano ringhiando, con contenuta impazienza e accattivante desiderio. Gli oscuri animali che le si avventavano addosso fu l'ultima cosa che i suoi piccoli occhi riuscirono a vedere, prima che sentisse un dolore acuto e straziante, preludio dell'oscurità più assoluta.

Vianta

Il sole era già iniziato a calare sul firmamento del piccolo villaggio di Vianta, quando gli zoccoli di cavalli fecero rimbombare la terra e i mormorii tra gli abitanti del villaggio si accesero come polvere da sparo, di bocca in bocca. Le voci sull'arrivo del giorno più atteso per loro stavano per diventare una realtà palpabile e tangibile, ma tennero a freno le loro emozioni affinché non ne avessero avuto la totale certezza. I primi soldati entrarono al trotto nel villaggio, facendo si che la gente del posto si fermassero nelle loro faccende per non perdere i dettagli dell'accaduto. La moderazione era palpabile nell'atmosfera, e le risate nervose si combinavano con la paura e il sospetto per quello che alla fine sarebbe stato il futuro di quel luogo remoto.

A poco a poco i soldati si fermavano e accettavano i doni che gli abitanti del villaggio gli offrivano al loro arrivo, dopo cinque giorni di assenza, anche se nessuno di loro osò chiedere quanto accaduto. All'improvviso un destriero nero entrò velocemente nel villaggio, obbligando i soldati e gli abitanti a ritirarsi rapidamente, molti di essi trattennero le loro imprecazioni appena scoprirono di chi si trattava.

“Jaren!”gridò una voce tra la folla.

Il ragazzo rallentò e ritornò sui passi del cavallo, finché non fu accanto a colui che lo aveva chiamato.

“Erik” lo salutò, “Buongiorno”

Erik notò, poi, il sangue che macchiava il viso del suo amico dalla tempia sinistra al mento, tracciando un inquietante solco sulla sua guancia. Sembrava ancora fresca e si chiese se la ferita fosse grave, anche se il sorriso sul volto dell'altro giovane gli fece scartare la possibilità.

“Che è successo?”chiese il ragazzo, accigliandosi. “E' vero quello che dicono?”

Jaren scese da cavallo senza perdere il sorriso che gli illuminava il volto, nonostante i lividi e le contusioni.

“Quasi mai” rispose “Cos'è che dicono?”

Erik non disse nulla e continuò a scrutare il viso del ragazzo in cerca di una risposta, un indizio, che rivelasse ciò che avrebbe poi finito per raccontare.

Jaren si posizionò vicino al pozzo al centro della piccola piazza e si aggrappò alla fune che si aggrovigliava intorno alla carrucola per sollevare e abbassare i secchi.

“Signore e signori di Vianta” gridò “la guerra è finita. Likara si è arresa e non ci saranno più attacchi.”

La moderazione lasciò il posto a un'esplosione di gioia ed euforia; alcuni piangevano increduli dopo diversi mesi di sofferenza, morte e distruzione, mentre altri si abbracciavano e correvano a dare la bella notizia a coloro che non lo avevano ancora saputo.

Non furono in pochi che circondarono Jaren quando scese dal pozzo, riempiendolo di gratitudine, lacrime di gioia e abbracci.

Quando riuscì a liberarsi dal tumulto, tornò da Erik, che lo stava aspettando appoggiato alla sua stampella. A volte la sua lesione non gli dava problemi e poteva camminare senza alcun aiuto o sostegno; altre volte, invece, la gamba malconcia gli faceva male e soffriva al punto che non era nemmeno in grado di camminare. A Jaren sarebbe piaciuto che quel giorno fosse uno di quelli in cui poteva correre e saltare, perché nei tre mesi in cui era stato lì era arrivato ad apprezzarlo davvero e a sentirlo come un fratello.

“Non posso crederci!”disse Erik, mentre lo abbracciava, lasciando andare anche la stampella. “Non posso credere che questo giorno sia giunto alla fine.”

“Beh, credici Erik. E' finita.”Jaren raccolse di nuovo la stampella e la restituì al ragazzo.

“I messaggeri sono arrivati da mio padre nelle ultime ore. Likara si è arreso. Abbiamo espulso i suoi ultimi soldati e Vianta ha resistito. Adesso regna la pace.”

Un uomo si avvicinò per prendere le redini di Donko, il cavallo di Jaren, e portarlo via, dopo aver fatto una leggera riverenza davanti al ragazzo.

Erik aveva visto ripetersi quella scena da molto tempo, ma restava comunque incapace di abituarsi a uomini adulti del doppio dell'età di Jaren, che gli rendevano omaggio in questo modo e gli offrivano tali segni di rispetto. Non avrebbe dovuto essere strano, si ripeteva, poiché Jaren era il figlio del re di Isalia e nonostante fosse giovane, aveva accompagnato i suoi uomini in guerra in numerose occasioni, da quando suo padre l'aveva mandato per la prima volta quando aveva solo quattordici anni, come lui stesso gli aveva spiegato.

I ragazzi camminavano tra la gente, che continuava ad avvicinarsi per ringraziare il giovane principe per la difesa del loro villaggio e per la fine di quella guerra che li aveva flagellati per tanto tempo, e che aveva raccolto lì le loro ultime forze.

Avanzarono lentamente, mentre Erik zoppicava con la gamba sinistra, conseguenza, secondo quanto aveva raccontato, della caduta da cavallo.

“Suppongo che ve ne andrete adesso, giusto?”chiese Erik, guardando dritto davanti a sé.

Jaren lo osservò, portando la mano sul sangue che ancora sgorgava dalla tempia e che lo faceva sentire leggermente stordito.

“Si” rispose “Mio padre ha ordinato di tornare immediatamente. Come ho detto, qui abbiamo finito.”

“A mia sorella mancherai”, aggiunse Erik sorridendo. Questa volta il ragazzo lo guardò negli occhi.

“Anche a me mancherà Sylvaen, e tante cose a Vianta.”

“Stai scherzando!”rispose Erik “Nessuno sano di mente sentirebbe la mancanza di questo posto, tanto meno se si vive a Isalia, in un castello circondato da ogni sorta di lusso.”

“Lusso, responsabilità, doveri, cose che non mi interessano nemmeno.”disse Jaren. “Passo la vita ad accompagnare mio padre a incontri con persone che non conosco, ma che ucciderebbe pur di accontentare e compiacere. Questo è l'opposto, isolato dal mondo, lontano da tutto, libero. Tutto è così semplice, così facile, nonostante le difficoltà. Credimi, non esiterei a cambiarlo.”

“Solo qualcuno che ha sempre avuto tutto parlerebbe così.”

“Non è come pensi Erik.”

“Si...beh, che mi dici di Sylvaen?”

Jaren si fermò e si guardò intorno prima di riportare lo sguardo su Erik.

“Sai che sono fidanzato con la figlia del re di Esteona. Non posso offrire niente a tua sorella.”

“Ma pensavo che tu e lei...”

“Sono sempre stato sincero Erik, con lei e con te. Non ho ingannato nessuno.”

“Già...immagino sarebbe stato da ingenui pensare che avresti cambiato una principessa per una semplice contadina.”

“Non c'entra niente e lo sai perfettamente. Sai chi sono.”

“Vuoi quella principessa?”

“Non la conosco nemmeno , ma sai come funzionano queste cose. L'accordo sarà redditizio per Isalia ed Esteona e questa è l'unica cosa che conta. Mio padre ne ha bisogno. Ha troppi fronti aperti, e se non trova alleati non resisterà.”

“E' l'unica cosa che conta?”

“Non per me, Erik, ma in questa faccenda sono legato mani e piedi.”

“Non vuoi quella principessa perché non la conosci nemmeno. E Sylvaen?”

Jaren tirò un profondo respiro e non riuscì a incontrare lo sguardo del suo amico, che annuì comprendendo l'evasione del ragazzo.

“Dovresti almeno andare a salutarla, fare le cose come si devono, lo sai. Entro i limiti.”

Senza nemmeno salutare, Erik se ne andò zoppicando e si mescolò alla folla, che continuava a correre da una parte all'altra, immersa in un'attività insolita, diversa dalla quotidianità che Jaren aveva vissuto a Vianta sin da quando era arrivato. Si guardò intorno e tirò un profondo respiro. Anche se la guerra era finita, il villaggio avrebbe impiegato molto più tempo a cancellare i segni della sofferenza e della devastazione. Le capanne crollate, gli edifici distrutti, la polvere e la crescita del cimitero avrebbero dato mostra di tutto ciò che Vianta aveva sofferto, ma Jaren sapeva che sarebbe bastata la volontà del suo popolo per ricostruire quel luogo e instaurare una pace più che necessaria.

Ricordò poi il giorno in cui suo padre lo aveva informato della sua decisione di mandarlo lì per salvaguardare il passaggio alle più grandi miniere della zona, un obbiettivo prioritario nella guerra che Isalia stava combattendo contro Likara. Difendere un villaggio così insignificante era stato un fastidio per Jaren più che una sfida, persino un'umiliazione. Non aveva mai capito perché suo padre si sforzasse così tanto per mantenere un posto che rappresentava solo un grande fastidio a causa della lontananza stessa da Isalia, e in cambio non apportava quasi nulla che potesse essere di beneficio per lui. Nemmeno le miniere d'argento erano preziose per Isalia, che poteva importare quel minerale da qualsiasi altra parte, ma a quanto pare era un argento unico al mondo per le sue strane proprietà e questo era un motivo sufficiente per lottare per la sua salvaguardia. Nemmeno il fatto che il crescente regno di Isalia fosse troppo lontano rappresentava un ostacolo, non solo per il re, per inviare lì una difesa più che sufficiente, ma perché fosse guidato da suo figlio, dando una buona spiegazione dell'importanza che il sovrano conferiva a Vianta.

 

Tre mesi dopo l'incarico del re, Jaren era interiormente grato a suo padre che portasse cosi tanta stima verso quella piccola città. Andare in quel luogo gli aveva permesso di vivere in modo diverso rispetto a Isalia, mescolandosi tra la gente, sentendosi uno come tanti, chiamato per nome, trattato senza quel rispetto esacerbato, quasi al limite della paura con cui sembravano trattarlo i pochi cittadini di Isaia che avevano contatti con lui: solo i servi e alcuni mercanti o soldati.

Avanzò di qualche passo fino a raggiungere la umile casetta dove viveva Erik con sua sorella Sylvaen e sua madre Elessa, un luogo dove aveva trascorso molti pomeriggi, come aveva fatto in tante altre case, le più umili, i cui proprietari lo invitavano con le migliori intenzioni, nonostante il poco che potevano offrire. Bussò alla porta senza ricevere risposta e si sporse per guardare dentro, sul fuoco ribolliva una pentola di stufato. L'odore lo travolse, entrò chiudendosi la porta dietro di sé.

“Hey. Sylvaen!”chiamò “Elessa!”

Si avvicinò lentamente alla pentola ci infilò un dito per assaggiare il delizioso brodo che bolliva dentro. Esaminò con calma l'ambiente circostante mentre si appoggiava al tavolino a quattro posti che occupava la parte centrale della stanza. Il mormorio dalla strada arrivava fino a lì, un po più sommesso, e Jaren pensò allora che forse anche le due donne erano uscite. Nello stesso momento Sylvaen apparve dalla dispensa che si trovava sul retro e quando incontrò il ragazzo si fermò all'improvviso.

“Jaren!”esclamò. Lasciò la treccia che stava raccogliendo e corse tra le sue braccia.

“Oh Dio, ero così preoccupata! Quando sei arrivato?”

“Solo pochi minuti fa.”rispose. “Tutto è finito. Likara si è arresa e gli attacchi a Vianta non ce ne saranno mai più.”

Sylvaen afferrò Jaren per il viso e lo baciò intensamente, quasi disperatamente, come se in qualche modo avesse intuito quello che stava per accadere e volesse approfittare degli ultimi momenti di desiderio che si era scatenato dal primo momento. Ma Sylvaen non sapeva niente, e in quel momento per la felicità che appariva nei suoi occhi, non sembrava nemmeno prendere in considerazione l'opzione. Spostò la ciocca di capelli che le cadeva sul viso e fissò con i suoi occhi scuri quelli di Jaren, cercando di mostrare una calma che non sentiva.

“Sei ferito”mormorò, accarezzando il sangue che ancora colava sul viso del giovane. “Siediti, ti ricucirò quel taglio”.

Obbedì senza fare domande, cercando di trovare dentro di sé le parole per comunicarle ciò che era venuto a dirle. In numerose occasioni avevano discusso circa la questione, come lui stesso aveva ricordato ad Erik, ma Sylvaen fingeva che quelle conversazioni non fossero mai avvenute, omettendo quella parte della vita di Jaren che non gli piaceva e su cui non fantasticava.

Il principe la guardava mentre preparava gli strumenti per curare la sua ferita, come aveva fatto tante volte prima. Sylvaen non passava inosservata alla maggior parte dei giovani di Vianta, e l'aveva constatato lui stesso di persona nei tre mesi che era stato lì: occhi scuri, capelli rossi lisci, pelle chiara, labbra carnose, curve generose. “Cosa si può chiedere di più?”pensava. Ma al di là della semplice attrazione tra di loro, Jaren non aveva mai sentito quello che sentiva lei, quello che voleva Erik stesso. Sylvaen era sempre stata un angelo per lui, come il resto di Vianta. In numerose occasioni gli aveva offerto un piatto di cibo caldo e lo aveva tenuto sveglio nelle notti in cui era stato ferito e aveva la febbre dopo gli attacchi subiti nel villaggio. Rendersi conto di tutto questo e non riuscire ad innamorarsi di lei, come avrebbe voluto Erik, lo portò a chiedersi se fosse mai possibile che potesse provare qualcosa di sincero , importante e vero, non solo per Sylvaen stessa, ma per qualsiasi giovane donna, al di là della semplice attrazione e del divertimento che aveva cercato fino ad allora in loro, trovandolo un modo così facile che a volte lo faceva stare male con se stesso.

Cedevano al suo fascino, e non in poche, o cedevano solo al titolo che deteneva? Con dei bellissimi occhi verdi e capelli castani, Jaren si era guadagnato la predilezione di molte principesse come prima opzione alla pressione dei suoi genitori. I loro matrimoni sarebbero stati, come il suo, atti organizzati per soddisfare gli alleati e raggiungere obiettivi lontani dalla loro felicità, in modo che il minimo che potessero sperare fosse assegnarle a uno dei principi più desiderabili di quelle vaste terre. Forse, pensava, innamorarsi non era qualcosa di destinato a lui, e siccome era fidanzato con una ragazza che non conosceva nemmeno, forse era meglio così, perché come avrebbe poi portato avanti il suo fidanzamento se era innamorato di qualcun'altra? Non si era nemmeno curato di sapere come fosse quella giovane donna che non aveva mai visto in vita sua e che probabilmente avrebbe incontrato non appena fosse tornato a Isalia.

“Questo ti farà male.” la voce di Sylvaen lo ridestò dai suoi pensieri. Annuì e sentì immediatamente l'ago perforargli la tempia. Chiuse gli occhi per il dolore e sbuffò. “Mi dispiace”si scusò lei.

“Non preoccuparti.”

“Prometto di farmi perdonare. Domani possiamo passare la mattinata alla cascata, e poi ho pensato che potremmo mangiare al lago Issen.”La giovane donna lo guardò, fermandosi un attimo.

“Non ci basterà una vita per poterti ringraziare di tutto quello che hai fatto per noi, Jaren.”consluse, prima di baciarlo ancora sulle labbra.

“Sylvaen, devo tornare ad Isalia.”

Si fermò di nuovo e senza aprire bocca, senza fare il minimo gesto, Jaren vide che le sue parole furono come uno schiaffo, l'avevano fatta tornare a quella realtà che Sylvaen ignorava con tanto accanimento.

“Te ne vai?”

“Mio padre ci ha ordinato di tornare subito, ora che tutto è finito. Lascerò alcune guardie al confine finché tutto non si sarà sistemato, ma devo ritornare a casa.”

Con sollievo di Jaren, Sylvaen continuò a risanare la sua ferita fino a quando non ebbe finito in un paio di minuti. Poi incrociò le braccia davanti a lui e la sua espressione si trasformò in un blocco di ghiaccio, lottò con le lacrime che cercava di trattenere.

“E...noi?”alla fine osò chiedere.

Jaren si alzò.

“Mi dispiace. Ne avevamo già parlato prima. Devo tornare.”

“Chiederti...di portarmi con te sarebbe assurdo, vero?”

“Sylvaen lo sai cosa mi aspetta a Isalia.”

Lei sorrise e scosse la testa.

“Stai ancora pensando di sposarla?”

“Non ho scelta. Non è qualcosa che ho deciso io.”

“Ma tu lo accetti e basta.”

“E cosa potrei fare?”

“Non posso credere che tu sia così bellicoso in battaglia e così diligente con il re.”

“Non è in gioco solo il mio futuro, ma quello di Isalia. L'alleanza con Esteona conviene al regno di mio padre. La guerra si è complicata e ha bisogno di alleati che...”

Sylvaen si avvicinò a lui, che quasi inciampò con la sedia dietro di lei e lo abbracciò forte, coprendogli di baci il viso, le labbra, il collo. Jaren chiuse gli occhi e cercò dentro di sé un modo per troncare lì. Forse ascoltare Erik era stato un errore, e dare a Sylvaen l'opportunità di provare a convincerlo avrebbe finito per ferire di più la giovane donna.

“Sylvaen, ti prego...”

“Ti amo Jaren. Lo so che è una follia, tu sei un principe e io...io una contadina, ma ti amo. Non lasciarmi, ti prego.”

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