Maria (Italiano)

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Maria (Italiano)
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Capitolo I

Ero ancora un bambino quando fui portato via dalla casa paterna per iniziare gli studi presso la scuola del dottor Lorenzo María Lleras, fondata a Bogotà qualche anno prima e famosa in tutta la Repubblica dell'epoca.

La notte prima del mio viaggio, dopo la sera, una delle mie sorelle entrò nella mia stanza e senza dirmi una parola di affetto, perché la sua voce era piena di singhiozzi, mi tagliò alcuni capelli dalla testa: quando uscì, alcune delle sue lacrime erano scese sul mio collo.

Mi addormentai tra le lacrime e provai come un vago presentimento dei molti dolori che avrei sofferto in seguito. Quei capelli strappati dalla testa di un bambino, quella cautela dell'amore contro la morte di fronte a tanta vita, fecero vagare la mia anima nel sonno su tutti i luoghi in cui avevo trascorso, senza capirlo, le ore più felici della mia esistenza.

Il mattino seguente mio padre sciolse le braccia di mia madre dalla mia testa, bagnata di lacrime. Le mie sorelle le asciugarono con dei baci mentre mi salutavano. Maria attese umilmente il suo turno e, balbettando il suo addio, premette la sua guancia rosea sulla mia, raggelata dalla prima sensazione di dolore.

Pochi istanti dopo seguii mio padre, che nascose il suo volto al mio sguardo. I passi dei nostri cavalli sul sentiero di ciottoli annegarono i miei ultimi singhiozzi. Il mormorio delle Sabaletas, i cui prati si trovavano alla nostra destra, diminuiva di minuto in minuto. Stavamo già aggirando una delle colline lungo il sentiero, su cui dalla casa si vedevano viaggiatori desiderosi; volsi lo sguardo verso di essa, cercando una delle tante persone care: Maria era sotto le viti che ornavano le finestre della stanza di mia madre.

Capitolo II

Sei anni dopo, gli ultimi giorni di un agosto lussuoso mi accolsero al mio ritorno nella valle natale. Il mio cuore traboccava di amore patriottico. Era già l'ultimo giorno di viaggio e mi stavo godendo la mattina più profumata dell'estate. Il cielo aveva una pallida sfumatura azzurra: a est e sopra le imponenti creste delle montagne, ancora semidivorate, vagava qualche nuvola dorata, come la garza del turbante di una ballerina dispersa da un soffio amoroso. A sud fluttuavano le nebbie che avevano avvolto le montagne lontane durante la notte. Attraversai pianure di prati verdi, irrigate da ruscelli il cui passaggio era ostacolato da bellissime mucche, che abbandonavano i pascoli per inoltrarsi nelle lagune o lungo i sentieri voltati da pini in fiore e da frondosi alberi di fico. I miei occhi si erano fissati avidamente su quei luoghi seminascosti al viaggiatore dalle chiome degli antichi boschetti; su quei casolari dove avevo lasciato persone virtuose e amichevoli. In quei momenti il mio cuore non sarebbe stato commosso dalle arie del pianoforte di U***: i profumi che inalavo erano così piacevoli rispetto a quelli dei suoi abiti lussuosi; il canto di quegli uccelli senza nome aveva armonie così dolci per il mio cuore!

Rimasi senza parole davanti a tanta bellezza, di cui credevo di aver conservato il ricordo perché alcune mie strofe, ammirate dai miei compagni di corso, ne avevano pallide sfumature. Quando in una sala da ballo, inondata di luce, piena di melodie voluttuose, di mille profumi mescolati, di sussurri di tanti abiti femminili seducenti, incontriamo quella che sognavamo a diciotto anni, e un suo sguardo fuggitivo ci brucia la fronte, e la sua voce rende per un istante mute tutte le altre voci, e i suoi fiori lasciano dietro di sé essenze sconosciute; allora cadiamo in una prostrazione celeste: la nostra voce è impotente, le nostre orecchie non sentono più la sua, i nostri occhi non possono più seguirla. Ma quando, con la mente rinfrancata, ci torna alla memoria ore dopo, le nostre labbra mormorano le sue lodi in un canto, ed è quella donna, è il suo accento, è il suo sguardo, è il suo passo leggero sui tappeti, che imita quel canto, che il volgo crederà ideale. Così il cielo, gli orizzonti, le pampas e le cime del Cauca fanno cadere in silenzio chi li contempla. Le grandi bellezze del creato non possono essere viste e cantate allo stesso tempo: devono tornare all'anima, impallidita da una memoria infedele.

Prima che il sole tramontasse, avevo già visto la casa dei miei genitori bianca sul fianco della montagna. Avvicinandomi, contai con occhi ansiosi i grappoli dei suoi salici e degli aranci, attraverso i quali vidi le luci che si diffondevano nelle stanze poco dopo.

Finalmente respirai quell'odore mai dimenticato del frutteto che si era formato. Le scarpe del mio cavallo scintillavano sul selciato del cortile. Sentii un grido indefinibile, era la voce di mia madre: mentre mi stringeva tra le braccia e mi avvicinava al suo seno, un'ombra cadde sui miei occhi: un piacere supremo che commuoveva una natura vergine.

Quando cercai di riconoscere nelle donne che vedevo le sorelle che avevo lasciato da bambine, Maria era in piedi accanto a me e i suoi occhi dalle palpebre larghe erano velati da lunghe ciglia. Il suo viso si coprì del più straordinario rossore quando il mio braccio si staccò dalle sue spalle e le sfiorò la vita; e i suoi occhi erano ancora umidi mentre sorrideva alla mia prima espressione affettuosa, come quelli di un bambino il cui pianto ha messo a tacere le carezze di una madre.

Capitolo III

Alle otto ci recammo nella sala da pranzo, situata in una posizione pittoresca sul lato orientale della casa. Da lì potevamo vedere le creste spoglie delle montagne sullo sfondo stellato del cielo. Le aure del deserto attraversavano il giardino raccogliendo profumi per venire a giocare con i cespugli di rose intorno a noi. Il vento volubile ci ha permesso di ascoltare per qualche istante il mormorio del fiume. Quella natura sembrava mostrare tutta la bellezza delle sue notti, come per accogliere un ospite amichevole.

Mio padre si sedette a capotavola e mi fece mettere alla sua destra; mia madre si sedette a sinistra, come al solito; le mie sorelle e i bambini erano seduti in modo indistinto e Maria era di fronte a me.

Mio padre, diventato grigio in mia assenza, mi rivolgeva sguardi di soddisfazione e sorrideva in quel modo malizioso e dolce che non ho mai visto su altre labbra. Mia madre parlava poco, perché in quei momenti era più felice di tutti quelli che la circondavano. Le mie sorelle insistevano per farmi assaggiare le merendine e le creme; e arrossiva chiunque le rivolgessi una parola lusinghiera o uno sguardo indagatore. Maria mi nascondeva tenacemente gli occhi; ma potevo ammirare in essi la brillantezza e la bellezza di quelli delle donne della sua razza, in due o tre occasioni in cui, suo malgrado, incontravano i miei; le sue labbra rosse, umide e graziosamente imperative, mi mostravano solo per un istante la velata primarietà dei suoi bei denti. Portava, come le mie sorelle, i suoi abbondanti capelli castano scuro in due trecce, una delle quali era sormontata da un garofano rosso. Indossava un vestito di mussola leggera, quasi blu, di cui si vedeva solo una parte del corpetto e della gonna, perché una sciarpa di fine cotone viola le nascondeva il seno fino alla base della gola bianca e opaca. Mentre le trecce erano girate dietro la schiena, da dove rotolavano quando si chinava per servire, ammirai la parte inferiore delle sue braccia deliziosamente tornite e le sue mani curate come quelle di una regina.

Quando la cena fu terminata, gli schiavi sollevarono le tovaglie; uno di loro recitò il Padre Nostro e i loro padroni completarono la preghiera.

La conversazione divenne quindi confidenziale tra i miei genitori e me.

Maria prese in braccio il bambino che dormiva sulle sue ginocchia, e le mie sorelle la seguirono nelle stanze: l'amavano molto e si contendevano il suo dolce affetto.

Una volta in salotto, mio padre baciò la fronte delle figlie e se ne andò. Mia madre volle farmi vedere la stanza che era stata riservata a me. Le mie sorelle e Maria, ora meno timide, volevano vedere l'effetto che facevo con la cura con cui era decorata. La stanza si trovava in fondo al corridoio sul davanti della casa; l'unica finestra era alta quanto un comodo tavolo; e in quel momento, con le ante e le sbarre aperte, rami fioriti di rosai entravano da essa per finire di decorare il tavolo, dove un bel vaso di porcellana blu teneva indaffaratamente nel suo vetro gigli e gigliette, garofani e campanelle di fiume viola. Le tende del letto erano di garza bianca, legate alle colonne con ampi nastri rosati; e vicino alla testata del letto, vicino a una finezza materna, c'era la piccola Dolorosa che mi era servita per i miei altari quando ero bambina. Alcune carte geografiche, comodi sedili e un bel set da toilette completavano il corredo.

–Che bei fiori! -esclamai vedendo tutti i fiori del giardino e il vaso che copriva il tavolo.

–Maria si ricordava quanto ti piacevano", osservò mia madre.

Ho girato gli occhi per ringraziarlo, e i suoi occhi questa volta sembravano faticare a sopportare il mio sguardo.

–Mary", dissi, "li terrà per me, perché sono nocivi nella stanza dove dormi.

–È vero? -rispose; "li sostituirò domani".

Com'era dolce il suo accento!

–Quanti ce ne sono?

–Tanti; saranno riforniti ogni giorno.

Dopo che mia madre mi ebbe abbracciato, Emma mi tese la mano e Maria, lasciandomi per un attimo con la sua, sorrise come nell'infanzia sorrideva a me: quel sorriso smagliante era quello del bambino dei miei amori infantili sorpreso nel volto di una vergine di Raffaello.

Capitolo IV

Dormivo tranquillamente, come quando nella mia infanzia mi addormentavo ascoltando una delle meravigliose storie di Pietro lo schiavo.

Ho sognato che Mary era entrata per rinnovare i fiori sul mio tavolo, e che uscendo aveva sfiorato le tende del mio letto con la sua gonna di mussola fluente punteggiata di fiorellini blu.

 

Quando mi sono svegliata, gli uccelli svolazzavano tra le fronde degli alberi di arancio e di pompelmo e i fiori d'arancio hanno riempito la mia stanza con il loro profumo non appena ho aperto la porta.

La voce di Maria giunse allora alle mie orecchie dolce e pura: era la voce della sua bambina, ma più profonda e pronta a prestarsi a tutte le modulazioni della tenerezza e della passione. Oh, quante volte nei miei sogni un'eco di quello stesso accento è giunta alla mia anima, e i miei occhi hanno cercato invano quel frutteto dove l'ho vista così bella in quella mattina d'agosto!

La bambina, le cui innocenti carezze erano state tutto per me, non sarebbe più stata la compagna dei miei giochi; ma nelle dorate sere d'estate avrebbe passeggiato al mio fianco, in mezzo al gruppo delle mie sorelle; l'avrei aiutata a coltivare i suoi fiori preferiti; la sera avrei sentito la sua voce, i suoi occhi mi avrebbero guardato, un solo passo ci avrebbe separate.

Dopo aver sistemato un po' i miei abiti, aprii la finestra e vidi Maria in una delle strade del giardino, accompagnata da Emma: indossava un abito più scuro della sera precedente e il suo fazzoletto viola, legato in vita, ricadeva a fascia sulla gonna; i suoi lunghi capelli, divisi in due trecce, nascondevano in parte la schiena e il seno; lei e mia sorella avevano i piedi nudi. Portava un vaso di porcellana un po' più bianco delle braccia che la reggevano, che durante la notte riempiva di rose aperte, scartando quelle meno umide e rigogliose in quanto appassite. Lei, ridendo con la sua compagna, intingeva le sue guance, più fresche delle rose, nel vaso traboccante. Emma mi scoprì; Maria se ne accorse e, senza voltarsi verso di me, cadde in ginocchio per nascondermi i piedi, si slacciò il fazzoletto dalla vita e, coprendosi le spalle, finse di giocare con i fiori. Le figlie nubili dei patriarchi non erano più belle nelle albe in cui raccoglievano i fiori per i loro altari.

Dopo pranzo, mia madre mi chiamò nella sua stanza da cucire. Emma e Maria stavano ricamando vicino a lei. Arrossì di nuovo quando mi presentai, ricordando forse la sorpresa che le avevo involontariamente fatto la mattina.

Mia madre voleva vedermi e sentirmi sempre.

Emma, ora più insinuante, mi fece mille domande su Bogotà; pretese che descrivessi gli splendidi balli, i bei vestiti delle signore in uso, le donne più belle dell'alta società di allora. Loro ascoltavano senza lasciare il loro lavoro. Maria a volte mi lanciava un'occhiata distratta, o faceva commenti bassi alla sua compagna al suo posto; e quando si alzava per avvicinarsi a mia madre per consultarsi sul ricamo, potevo vedere i suoi piedi splendidamente calzati: il suo passo leggero e dignitoso rivelava tutta la fierezza, non depressa, della nostra razza, e la seducente modestia della vergine cristiana. I suoi occhi si illuminarono quando mia madre espresse il desiderio che io impartissi alle ragazze alcune lezioni di grammatica e geografia, materie in cui non avevano grandi conoscenze. Fu deciso che avremmo iniziato le lezioni dopo sei o otto giorni, durante i quali avrei potuto valutare lo stato delle conoscenze di ciascuna ragazza.

Qualche ora dopo mi dissero che il bagno era pronto e vi andai. Un arancio frondoso e corpulento, traboccante di frutti maturi, formava un padiglione sull'ampio specchio d'acqua di cave brunite: molte rose galleggiavano nell'acqua: sembrava un bagno orientale, ed era profumato con i fiori che Maria aveva raccolto la mattina.

Capitolo V

Erano passati tre giorni quando mio padre mi invitò a visitare le sue tenute nella valle e io fui obbligata ad accontentarlo, perché avevo un vero interesse per le sue imprese. Mia madre era molto ansiosa che tornassimo presto. Le mie sorelle erano rattristate. Mary non mi pregò, come loro, di tornare nella stessa settimana, ma mi seguì incessantemente con gli occhi durante i preparativi del viaggio.

Durante la mia assenza, mio padre aveva migliorato notevolmente la sua proprietà: una fabbrica di zucchero bella e costosa, molti moggi di canna da zucchero per rifornirla, ampi pascoli con bovini e cavalli, buone mangiatoie e una lussuosa casa di abitazione costituivano le caratteristiche più notevoli dei suoi possedimenti nelle terre calde. Gli schiavi, ben vestiti e soddisfatti, per quanto sia possibile esserlo nella servitù, erano sottomessi e affettuosi con il loro padrone. Trovai uomini ai quali, da bambini, poco tempo prima, avevo insegnato a tendere trappole per i chilacoas e i guatines nei boschetti: i loro genitori e loro tornavano a trovarmi con segni inequivocabili di piacere. Solo Pedro, il buon amico e fedele ayo, non si faceva trovare: aveva versato lacrime mentre mi metteva a cavallo il giorno della mia partenza per Bogotà, dicendo: "amore mio, non ti vedrò più". Il suo cuore lo avvertiva che sarebbe morto prima del mio ritorno.

Ho notato che mio padre, pur rimanendo un padrone, trattava i suoi schiavi con affetto, era geloso del buon comportamento delle sue mogli e accarezzava i bambini.

Un pomeriggio, al tramonto, mio padre, Higinio (il maggiordomo) e io stavamo tornando dalla fattoria alla fabbrica. Loro parlavano del lavoro fatto e da fare; io ero occupato da cose meno serie: pensavo ai giorni della mia infanzia. L'odore particolare dei boschi appena abbattuti e quello delle piñuelas mature; il cinguettio dei pappagalli nei guaduales e nei guayabales vicini; lo scampanio lontano di qualche corno di pastore, che risuonava tra le colline; il castigo degli schiavi che tornavano dalle loro fatiche con gli attrezzi sulle spalle; gli squarci visti attraverso i canneti mutevoli: Tutto ciò mi ricordava i pomeriggi in cui le mie sorelle, Maria e io, abusando di qualche licenza tenace di mia madre, ci divertivamo a raccogliere guaiave dai nostri alberi preferiti, a scavare nidi nelle piñuelas, spesso con gravi ferite alle braccia e alle mani, e a spiare i pulcini di parrocchetto sulle recinzioni dei recinti.

Mentre ci imbattevamo in un gruppo di schiavi, mio padre disse a un giovane nero di notevole statura:

–Allora, Bruno, il tuo matrimonio è pronto per dopodomani?

–Sì, mio padrone", rispose, togliendosi il cappello di giunco e appoggiandosi al manico della vanga.

–Chi sono i padrini?

–Sarò con Dolores e il signor Anselmo, se non vi dispiace.

–Bene. Remigia e voi sarete ben confessati. Avete comprato tutto il necessario per lei e per voi stessi con i soldi che vi ho mandato?

–È tutto fatto, mio padrone.

–E questo è tutto ciò che vuoi?

–Vedrete.

–La stanza che ti ha indicato Higinio, è buona?

–Sì, mio padrone.

–Oh, lo so. Quello che vuoi è ballare.

Poi Bruno rise, mostrando i suoi denti di un bianco abbagliante, e si voltò a guardare i suoi compagni.

–E' giusto così; sei molto ben educato. Sai," aggiunse, rivolgendosi a Higinio, "aggiusta la cosa e rendili felici.

–E te ne vai per primo? -chiese Bruno.

–No", risposi, "siamo invitati.

Nelle prime ore del mattino del sabato successivo Bruno e Remigia si sposarono. Quella sera, alle sette, mio padre e io salimmo in sella per andare al ballo, la cui musica cominciava a farsi sentire. Quando arrivammo, Giuliano, lo schiavo-capitano della banda, uscì a prendere la staffa per noi e a ricevere i nostri cavalli. Indossava l'abito della domenica e dalla vita pendeva il lungo machete argentato, distintivo del suo lavoro. Una stanza della nostra vecchia casa era stata sgomberata dagli oggetti di lavoro che conteneva, per poter ospitare il ballo. Un lampadario di legno, sospeso a una delle travi, faceva girare una mezza dozzina di luci: i musicisti e i cantanti, un misto di aggregati, schiavi e manomessi, occupavano una delle porte. Non c'erano che due flauti di canna, un tamburo improvvisato, due alfandoques e un tamburello; ma le belle voci dei negritos intonavano i bambucos con una tale maestria; nelle loro canzoni c'era una combinazione così sentita di accordi malinconici, gioiosi e leggeri; i versi che cantavano erano così teneramente semplici, che il dilettante più colto avrebbe ascoltato in estasi quella musica semi-selvaggia. Entrammo nella stanza con i nostri cappelli e cappellacci. Remigia e Bruno stavano ballando in quel momento: lei, con un follao di boleri blu, un tumbadillo a fiori rossi, una camicia bianca ricamata di nero, un girocollo e orecchini di vetro color rubino, ballava con tutta la dolcezza e la grazia che ci si aspettava dalla sua statura di cimbrador. Bruno, con le sue ruane filettate ripiegate sulle spalle, i calzoni da coperta dai colori vivaci, la camicia bianca appiattita e un nuovo cabiblanco intorno alla vita, batteva i piedi con ammirevole destrezza.

Dopo quella mano, con cui i contadini chiamano ogni pezzo di danza, i musicisti suonarono il loro bambuco più bello, perché Giuliano annunciò che era per il padrone. Remigia, incoraggiata dal marito e dal capitano, si decise finalmente a ballare qualche istante con mio padre: ma allora non osava alzare gli occhi e i suoi movimenti nella danza erano meno spontanei. Dopo un'ora ci ritirammo.

Mio padre fu soddisfatto della mia attenzione durante la visita alle tenute; ma quando gli dissi che d'ora in poi avrei voluto condividere le sue fatiche rimanendo al suo fianco, mi disse, quasi con rammarico, che era costretto a sacrificare il suo benessere a me, mantenendo la promessa che mi aveva fatto qualche tempo prima, di mandarmi in Europa per terminare i miei studi di medicina, e che sarei partito per il viaggio al più tardi tra quattro mesi. Mentre mi parlava così, il suo volto assunse una serietà solenne e senza affettazione, che si notava in lui quando prendeva decisioni irrevocabili. Questo accadde la sera in cui stavamo tornando sulla sierra. Cominciava a fare buio e, se non fosse stato così, mi sarei accorto dell'emozione che il suo rifiuto mi provocava. Il resto del viaggio si svolse in silenzio; quanto sarei stato felice di rivedere Maria, se la notizia di questo viaggio non si fosse frapposta in quel momento tra lei e le mie speranze!

Capitolo VI

Cosa era successo in quei quattro giorni nell'anima di Maria?

Stava per posare una lampada su uno dei tavoli del salotto, quando mi avvicinai per salutarla; e mi ero già sorpreso di non vederla in mezzo al gruppo di famiglia sui gradini dove eravamo appena scesi. Il tremito della sua mano mise in luce la lampada e io le prestai aiuto, meno calmo di quanto pensassi. Mi sembrò leggermente pallida e intorno ai suoi occhi c'era una leggera ombra, impercettibile per chi l'avesse vista senza guardare. Girò il viso verso mia madre, che in quel momento stava parlando, impedendomi così di esaminarlo alla luce che ci era vicina; e notai allora che in cima a una delle sue trecce c'era un garofano appassito; era senza dubbio quello che le avevo regalato il giorno prima di partire per la Valle. La piccola croce di corallo smaltato che avevo portato per lei, come quelle delle mie sorelle, la portava al collo su un cordone di capelli neri. Era silenziosa, seduta al centro dei posti che occupavamo io e mia madre. Poiché il proposito di mio padre riguardo al mio viaggio non mi era sfuggito, dovevo sembrarle triste, perché mi disse a voce quasi bassa:

–Il viaggio le ha fatto male?

–No, Maria", risposi, "ma abbiamo preso il sole e camminato così tanto....

Stavo per dirle qualcosa di più, ma l'accento confidenziale della sua voce, la nuova luce nei suoi occhi che mi sorprese, mi impedirono di fare di più che guardarla, finché, notando che era imbarazzata dall'involontaria fissità dei miei sguardi, e trovandomi esaminata da uno di mio padre (più timoroso quando un certo sorriso passeggero vagava sulle sue labbra), lasciai la stanza per andare in camera mia.

Ho chiuso le porte. C'erano i fiori che aveva raccolto per me: li baciai; volli inalare tutti i loro profumi in una volta, cercando in essi quelli dei vestiti di Maria; li bagnai con le mie lacrime.... Ah, voi che non avete pianto per una felicità come questa, piangete per la disperazione, se la vostra adolescenza è passata, perché non amerete mai più!

Primo amore!… nobile orgoglio di sentirsi amati: dolce sacrificio di tutto ciò che prima ci era caro a favore della donna amata: felicità che, comprata per un giorno con le lacrime di un'intera esistenza, avremmo ricevuto in dono da Dio: profumo per tutte le ore dell'avvenire: luce inestinguibile del passato: fiore custodito nell'anima e che non è dato alle delusioni far appassire: unico tesoro che l'invidia degli uomini non può strapparci: delizioso delirio… ispirazione dal cielo… Maria! Maria! Come ti ho amato! Come ti ho amato! Come ti ho amato!…

Capitolo VII

 

Quando mio padre fece il suo ultimo viaggio nelle Indie Occidentali, Salomone, un suo cugino che aveva amato fin da bambino, aveva appena perso la moglie. Molto giovani si erano recati insieme in Sud America; durante uno dei loro viaggi mio padre si innamorò della figlia di uno spagnolo, un intrepido capitano di marina che, dopo aver abbandonato il servizio per alcuni anni, nel 1819 fu costretto a riprendere le armi per difendere i re di Spagna e fu ucciso a Majagual il 20 maggio 1820.

La madre della giovane donna che mio padre amava pretendeva che lui rinunciasse alla religione ebraica per dargliela in moglie. Mio padre divenne cristiano all'età di vent'anni. A quei tempi sua cugina era appassionata di religione cattolica, ma non cedette alla sua richiesta di battezzarsi anche lui, perché sapeva che ciò che mio padre aveva fatto per dargli la moglie che desiderava gli avrebbe impedito di essere accettato dalla donna che amava in Giamaica.

Dopo alcuni anni di separazione, i due amici si rincontrarono. Salomone era già vedovo. Sarah, sua moglie, gli aveva lasciato un figlio che aveva allora tre anni. Mio padre lo trovò moralmente e fisicamente sfigurato dal dolore, e allora la sua nuova religione gli diede conforto per il cugino, conforto che i parenti avevano cercato invano per salvarlo. Esortò Salomone a dargli sua figlia per farla crescere al nostro fianco; e osò proporre di farla diventare cristiana. Salomone acconsentì, dicendo: "È vero che solo mia figlia mi ha impedito di intraprendere un viaggio in India, che avrebbe migliorato il mio spirito e rimediato alla mia povertà; è stata anche il mio unico conforto dopo la morte di Sarah; ma se vuoi, lascia che sia tua figlia. Le donne cristiane sono dolci e buone, e vostra moglie deve essere una madre santa. Se il cristianesimo dà alle supreme disgrazie il sollievo che avete dato a me, forse renderei infelice mia figlia lasciandola ebrea. Non ditelo ai nostri parenti, ma quando raggiungerete la prima costa dove c'è un prete cattolico, fatela battezzare e fatele cambiare il nome Ester in Maria". Questo disse l'infelice, versando molte lacrime.

Pochi giorni dopo, la goletta che avrebbe portato mio padre sulla costa di New Granada salpò a Montego Bay. La nave leggera stava provando le sue ali bianche, come un airone delle nostre foreste prova le sue ali prima di spiccare un lungo volo. Solomon entrò nella stanza di mio padre, che aveva appena finito di rammendare il suo abito di bordo, portando Esther seduta in un braccio e appesa all'altro una cassa contenente il bagaglio della bambina: lei tese le sue piccole braccia allo zio e Solomon, mettendola in quelle del suo amico, si lasciò cadere singhiozzando sul piccolo stivale. Quella bambina, la cui preziosa testa aveva appena bagnato con una pioggia di lacrime il battesimo del dolore piuttosto che la religione di Gesù, era un tesoro sacro; mio padre lo sapeva bene e non lo dimenticò mai. Mentre saltava sulla barca che li avrebbe separati, l'amico Solomon gli ricordò una promessa, ed egli rispose con voce strozzata: "Le preghiere di mia figlia per me, e le mie per lei e sua madre, saliranno insieme ai piedi del Crocifisso".

Avevo sette anni quando mio padre tornò, e disdegnai i preziosi giocattoli che mi aveva portato dal suo viaggio, per ammirare quella bella, dolce e sorridente bambina. Mia madre la ricoprì di carezze e le mie sorelle di tenerezze, dal momento in cui mio padre la posò sulle ginocchia di sua moglie e le disse: "Questa è la figlia di Salomone, che egli ti ha mandato.

Durante i nostri giochi infantili le sue labbra cominciarono a modulare accenti castigliani, così armoniosi e seducenti nella bocca di una bella donna e in quella ridente di un bambino.

Devono essere passati circa sei anni. Una sera, entrando nella stanza di mio padre, lo sentii singhiozzare; aveva le braccia conserte sul tavolo e la fronte appoggiata su di esse; vicino a lui mia madre piangeva e Mary appoggiava la testa sulle ginocchia, non comprendendo il suo dolore e quasi indifferente ai lamenti dello zio; era perché una lettera da Kingston, ricevuta quel giorno, dava la notizia della morte di Solomon. Ricordo solo un'espressione di mio padre in quel pomeriggio: "Se tutti mi lasciano senza che io possa ricevere il loro ultimo saluto, perché dovrei tornare al mio paese? Ahimè! Le sue ceneri dovrebbero riposare in una terra sconosciuta, senza che i venti dell'oceano, sulle cui rive si è divertito da bambino, la cui immensità ha attraversato giovane e ardente, vengano a spazzare sulla lastra della sua tomba i fiori secchi degli alberi in fiore e la polvere degli anni!

Poche persone che conoscevano la nostra famiglia avrebbero sospettato che Maria non fosse figlia dei miei genitori. Parlava bene la nostra lingua, era gentile, vivace e intelligente. Quando mia madre le accarezzava la testa contemporaneamente a me e alle mie sorelle, nessuno avrebbe potuto indovinare chi fosse l'orfana.

Aveva nove anni. I capelli abbondanti, ancora di un colore castano chiaro, che fluttuavano sciolti e giravano intorno alla sua vita sottile e mobile; gli occhi chiacchieroni; l'accento con qualcosa della malinconia che le nostre voci non avevano; questa era l'immagine che portavo di lei quando lasciavo la casa di mia madre: così era la mattina di quel triste giorno, sotto i rampicanti delle finestre di mia madre.

Capitolo VIII

La sera presto Emma bussò alla mia porta per venire a tavola. Mi lavai il viso per nascondere le tracce di lacrime e mi cambiai d'abito per giustificare il mio ritardo.

Mary non era in sala da pranzo e vanamente immaginai che le sue occupazioni l'avessero trattenuta più del solito. Mio padre, notando un posto libero, chiese di lei ed Emma si giustificò dicendo che da quel pomeriggio aveva avuto mal di testa e stava dormendo. Cercai di non farmi impressionare e, facendo ogni sforzo per rendere la conversazione piacevole, parlai con entusiasmo di tutti i miglioramenti che avevo trovato nelle tenute che avevamo appena visitato. Ma non servì a nulla: mio padre era più stanco di me e si ritirò presto; Emma e mia madre si alzarono per mettere a letto i bambini e vedere come stava Maria, per cui le ringraziai e non mi stupii più dello stesso sentimento di gratitudine.

Anche se Emma tornò in sala da pranzo, la conversazione non durò a lungo. Philip ed Eloise, che avevano insistito perché partecipassi al loro gioco di carte, accusarono i miei occhi di sonnolenza. Aveva chiesto invano a mia madre il permesso di accompagnarmi in montagna il giorno dopo e si era ritirato insoddisfatto.

Meditando nella mia stanza, pensai di aver indovinato la causa della sofferenza di Maria. Ricordai il modo in cui avevo lasciato la stanza dopo il mio arrivo e come l'impressione suscitata dal suo accento confidenziale mi avesse indotto a risponderle con la mancanza di tatto propria di chi sta reprimendo un'emozione. Conoscendo l'origine del suo dolore, avrei dato mille vite per ottenere il suo perdono; ma il dubbio aggravava la confusione della mia mente. Dubitavo dell'amore di Maria; perché, pensavo tra me e me, il mio cuore doveva sforzarsi di credere che lei fosse sottoposta a questo stesso martirio? Mi consideravo indegna di possedere tanta bellezza, tanta innocenza. Mi rimproveravo per l'orgoglio che mi aveva accecato al punto di credermi l'oggetto del suo amore, essendo degna solo del suo affetto di sorella. Nella mia follia pensavo con meno terrore, quasi con piacere, al mio prossimo viaggio.

Capitolo IX

Mi alzai all'alba del giorno successivo. I bagliori che delineavano le cime della catena montuosa centrale a est, indoravano a semicerchio sopra di esse alcune nuvole leggere che si staccavano l'una dall'altra per allontanarsi e scomparire. Le verdi pampas e le giungle della valle si vedevano come attraverso un vetro bluastro, e in mezzo ad esse, alcune capanne bianche, il fumo delle montagne appena bruciate che si alzava a spirale, e a volte i gorgoglii di un fiume. La catena montuosa dell'Ovest, con le sue pieghe e i suoi petti, sembrava un mantello di velluto blu scuro sospeso al centro da mani di geni velati dalle nebbie. Davanti alla mia finestra, i cespugli di rose e le fronde dei frutteti sembravano temere le prime brezze che sarebbero arrivate a spargere la rugiada che luccicava sulle loro foglie e sui loro fiori. Mi sembrava tutto triste. Presi il fucile: feci un segnale all'affettuoso Mayo, che, seduto sulle zampe posteriori, mi fissava, con la fronte aggrottata per l'eccessiva attenzione, in attesa del mio primo comando; e saltando il recinto di pietra, imboccai il sentiero di montagna. Appena entrato, lo trovai fresco e tremante sotto le carezze delle ultime auree della notte. Gli aironi stavano lasciando i loro posatoi, il loro volo formava linee ondulate che il sole argentava, come nastri lasciati al capriccio del vento. Numerosi stormi di pappagalli si alzavano dai boschetti per dirigersi verso i campi di mais vicini; e il diostedé salutava il giorno con il suo canto triste e monotono dal cuore della sierra.

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