Бесплатно

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1

Текст
iOSAndroidWindows Phone
Куда отправить ссылку на приложение?
Не закрывайте это окно, пока не введёте код в мобильном устройстве
ПовторитьСсылка отправлена

По требованию правообладателя эта книга недоступна для скачивания в виде файла.

Однако вы можете читать её в наших мобильных приложениях (даже без подключения к сети интернет) и онлайн на сайте ЛитРес.

Отметить прочитанной
Шрифт:Меньше АаБольше Аа

Si riferisce un'altra circostanza di queste invasioni, che potrebbe meritare la nostra attenzione, se non si potesse giustamente supporre che sia bizzarro pensiero di un recente sofista. Dicesi che nel sacco di Atene i Goti aveano ammassate tutte le librerie, ed erano sul punto d'incendiare questa funerea mole della greca letteratura, se uno dei loro Capi, più raffinato politico, non gli avesse dissuasi da quel disegno, per la sottil riflessione, che fin che i Greci fossero addetti allo studio dei libri, non mai si applicherebbero all'esercizio delle armi854. Il sagace consigliere (se pur vero è il fatto) ragionava qual Barbaro ignorante. Tra le più culte e potenti nazioni il genio in ogni genere si è sviluppato intorno la stessa epoca; ed il secolo della scienza è generalmente stato il secolo del valore e della militare fortuna.

IV. I nuovi Sovrani della Persia, Artaserse ed il suo figliuolo Sapore, aveano trionfato, come abbiamo già detto, della famiglia di Arsace. Dei tanti Principi di quell'antica stirpe, il solo Cosroe, Re di Armenia, avea conservato e la vita e l'indipendenza. Ei si difese con la natural forza del suo paese, col perpetuo concorso dei fuggitivi e dei malcontenti, con l'alleanza dei Romani, e sopra tutto col suo proprio coraggio. Invincibile nelle armi, in una guerra di trent'anni, egli fu in ultimo assassinato dagli emissarj di Sapore Re di Persia. I patriotici Satrapi dell'Armenia, che sostenevano la libertà e lo splendore del trono, implorarono la protezione di Roma in favore di Tiridate legittimo erede. Ma il figliuolo di Cosroe era un ragazzo; erano gli alleati lontani, ed il Monarca Persiano si avanzava verso la frontiera conducendo insuperabili forze. Il giovane Tiridate, futura speranza della sua patria, fu salvato dalla fedeltà di un servo, e l'Armenia rimase per quasi ventisette anni una ricalcitrante provincia della gran Monarchia persiana855. Insuperbito da questa facile conquista, ed affidato alla depravazione dei Romani, Sapore obbligò le forti guarnigioni di Carre e di Nisibi ad arrendersi, e sparse la devastazione e il terrore dall'una e dall'altra parte dell'Eufrate.

A.D. 260

La perdita di una frontiera importante, la rovina di un fido e naturale alleato, ed il rapido successo dell'ambizione di Sapore, fecero profondamente sentire a Roma l'insulto, ed il pericolo. Valeriano confidò che la vigilanza dei suoi Generali provvederebbe bastantemente alla sicurezza del Danubio o del Reno; ma si risolse, non ostante l'avanzata sua età, di marciare in persona a difender l'Eufrate. Nel suo passaggio per l'Asia minore, furono sospese le navali imprese dei Goti, e la desolata provincia godè una calma passeggiera e fallace. Passò egli l'Eufrate, incontrò il Monarca persiano vicino alle mura di Edessa, fu vinto e fatto prigioniero da Sapore. Le particolarità di questo grande avvenimento sono oscuramente e imperfettamente riferite; ma dal barlume, che ne abbiamo, si può scoprire per parte del romano Imperatore una lunga serie d'imprudenze, d'errori, e di meritate sventure. Pose egli l'intera sua fiducia in Macriano suo Prefetto del Pretorio856. Questo indegno Ministro rendè il suo Sovrano formidabile solamente agli oppressi sudditi, e disprezzabile ai nemici di Roma857. Pe' deboli o scellerati consigli di lui fu l'esercito imperiale ridotto in una situazione, nella quale inutili erano ugualmente il valore e il saper militare858. I Romani, vigorosamente tentando di aprirsi la strada a traverso l'oste persiana, furono respinti con grande strage859; e Sapore, che circondava il campo con truppe superiori, pazientemente aspettò che il crescente furor della fame e della peste gli avesse assicurata la vittoria. Il licenzioso mormorar delle legioni accusò ben tosto Valeriano come cagione delle loro calamità; i loro sediziosi clamori dimandarono una pronta capitolazione. Venne offerta immensa somma d'oro per comprare la permissione di una vergognosa ritirata. Ma conoscendo il Persiano la propria superiorità, ricusò con disprezzo il danaro; e ritenendo i Deputati, si avanzò in ordine di battaglia ai piedi delle trinciere romane, o chiese una personale conferenza con l'Imperatore medesimo. Fu Valeriano ridotto alla necessità di affidare alla parola di un nemico la sua dignità e la sua vita. Finì la conferenza come si dovea naturalmente aspettare. L'Imperatore venne fatto prigioniero, e le truppe atterrite deposero le armi860. In un tal momento di trionfo, l'ambizione e la politica di Sapore lo mossero a porre sul trono vacante un successore affatto dipendente dal suo volere. Ciriade, oscuro fuggitivo di Antiochia, imbrattato di tutti i vizj, fu scelto per disonorare la romana porpora; e dovè, benchè di mala voglia, il prigioniero esercito ratificare con le acclamazioni la volontà del vincitore persiano861.

Lo schiavo imperiale fu premuroso d'assicurarsi il favore del suo padrone con un atto di tradimento verso la patria. Passò con Sapore l'Eufrate, e lo condusse per la via di Calcide alla Metropoli dell'Oriente. Così rapidi furono i movimenti della persiana cavalleria, che se creder si deve ad un assai giudizioso Istorico862, la città di Antiochia fu sorpresa in tempo che l'oziosa moltitudine era tutta intenta ai divertimenti del teatro. I magnifici edifizj di Antiochia, sì privati che pubblici, furono o saccheggiati o distrutti, ed i numerosi abitatori o caddero trucidati o vennero condotti in ischiavitù863. La risolutezza del gran Sacerdote di Emesa fece argine per un momento al torrente di quella devastazione. Adorno delle vesti sacerdotali, comparve alla testa di un numeroso corpo di fanatici contadini, armati solamente di fionde, e difese il suo Dio e il suo dominio contro le sacrileghe mani dei seguaci di Zoroastro864. Ma la rovina di Tarso, e di molte altre città è una trista prova, che (tranne questo sol caso) la conquista della Siria e della Cilicia appena interruppe il progresso dell'armi persiane. Erano abbandonati i vantaggiosi angusti passi del monte Tauro, nei quali un invasore, la cui principale forza consisteva nella cavalleria, si sarebbe trovato impegnato in un combattimento assai diseguale, e si lasciò che Sapore assediasse Cesarea, capitale della Cappadocia; città la quale, benchè di secondo ordine, si supponeva che contenesse quattrocentomila abitanti. Era Demostene comandante della piazza, non tanto per commissione dell'Imperatore, quanto per la volontaria difesa della sua patria. Egli allontanò per molto tempo il fato della medesima, e quando finalmente Cesarea fu tradita dalla perfidia di un medico, egli si aprì col ferro la strada a traverso i Persiani, che aveano ordine di usare le maggiori diligenze per prenderlo vivo. Questo eroico comandante fuggì il potere di un nemico, che avrebbe onorato o punito il suo ostinato valore; ma molte migliaia de' suoi concittadini perirono involte in una generale strage, e Sapore viene accusato di avere trattati i suoi prigionieri con una capricciosa ed insaziabile crudeltà865. Molto dovrebbe certamente accordarsi all'animosità nazionale, molto alla superbia umiliata, ed alla impotente vendetta; ma è certo soprattutto che lo stesso Principe, che aveva nell'Armenia spiegato il dolce carattere di legislatore, si mostrò ai Romani sotto il feroce aspetto di conquistatore. Disperando egli di fare alcuno stabilimento permanente nell'Impero, procurò solamente di lasciar dietro a se una devastata solitudine, mentre trasportava nella Persia il popolo e le ricchezze delle province866.

 

Nel tempo che l'Oriente tremava al nome di Sapore, questi ricevè un dono non indegno dei Re più grandi, un lungo seguito di cammelli, carichi delle più rare e preziose mercanzie. La ricca offerta era accompagnata da una rispettosa, ma non servil lettera di Odenato, uno dei più nobili ed opulenti Senatori di Palmira. «Chi è questo Odenato» (disse il superbo vincitore, e comandò che fossero i doni gettati nell'Eufrate) «che così insolentemente ardisce di scrivere al suo Signore? S'egli spera addolcire il suo castigo, cada con le mani legate dietro le spalle prostrato a' piedi del nostro trono. S'egli indugia un momento, la distruzione si spargerà prontamente sulla sua testa, sull'intera sua stirpe e sulla sua patria»867. La disperata estremità, alla quale fu il Palmireno ridotto, mise in azione tutte le ascose potenze del suo spirito. Andò egli incontro a Sapore, ma con le armi, in mano. Comunicando il suo coraggio ad un piccolo esercito, raccolto dai villaggi della Siria868, e dalle tende del deserto869, si aggirò intorno all'oste persiana, l'affaticò nella ritirata, portò via parte del tesoro, e ciò ch'era più caro di ogni tesoro, molte donne del gran Re, il quale alla fine fu obbligato di ripassare l'Eufrate con qualche segno di fretta e di confusione870. Con questa impresa Odenato gettò i fondamenti della sua futura gloria e grandezza. La maestà di Roma, oppressa da un Persiano, fu sostenuta da un Soriano od Arabo di Palmira.

La voce della Storia, che spesso altro non è che l'organo dell'odio o dell'adulazione, rimprovera a Sapore un altiero abuso dei diritti della vittoria. Dicesi che Valeriano, incatenato ma rivestito della porpora imperiale, venne esposto alla moltitudine per un costante spettacolo di caduta grandezza, e che qualora il persiano Monarca montava a cavallo, posava il piede sul collo dell'Imperatore romano. Malgrado tutte le rimostranze de' suoi alleati, che reiteratamente l'avvertivano di rammentarsi le vicende della fortuna, di temere la risorgente potenza di Roma, o di servirsi dell'illustre suo prigioniero per pegno della pace e non per oggetto d'insulto, Sapore sempre rimase inflessibile. Dopo che Valeriano succumbè sotto il peso della vergogna e del dolore, la sua pelle impagliata a somiglianza di corpo umano fu conservata per varj secoli nel più illustre tempio della Persia; monumento più reale di trionfo, che gl'immaginarj trofei di bronzo e di marmo sì spesso eretti dalla vanità dei Romani871. Il racconto è morale e patetico, ma ne può essere facilmente messa in dubbio la verità. Le lettere, tuttora esistenti, dei Principi dell'Oriente a Sapore, sono manifeste imposture872; e non è naturale il supporre, che un geloso Monarca volesse (anche nella persona di un rivale) avvilire così pubblicamente la Maestà Reale. Qualunque trattamento però si fosse provato dall'infelice Valeriano nella Persia, è certo almeno che l'unico romano Imperatore, che mai cadesse nelle mani dei nemici, languì per tutta la sua vita in una prigionia senza speranza.

L'Imperatore Gallieno, che aveva lungamente sopportata con impazienza la censoria severità del suo padre e collega, ricevè la nuova delle sciagure di lui con segreto piacere e manifesta indifferenza. «Io ben sapeva,» egli disse «che mio padre era mortale, e giacchè si è mostrato uomo coraggioso, io son soddisfatto.» Mentre Roma deplorava il fato del suo Sovrano, la barbara freddezza del figliuolo di lui fu dai servili cortigiani celebrata come perfetta costanza di un eroe e di uno stoico873. È difficile il dipingere il leggiero, vario, ed incostante carattere di Gallieno, ch'esso spiegò senza ritegno, appena divenuto unico possessore dell'Impero. In ogni arte da lui tentata, il vivace suo ingegno lo assicurava del felice successo; e privo essendo di giudizio il suo ingegno, egli ogni arte tentò, fuorchè le sole importanti, della guerra e del governo. Era eccellente in molte curiose, ma inutili scienze, pronto oratore, elegante poeta874, abile giardiniere, cuoco eccellente, e sprezzabilissimo Principe. Nel tempo che le grandi emergenze dello Stato richiedevano la sua presenza e la sua attenzione, egli s'occupava in discorsi col filosofo Plotino875, consumava il suo tempo in frivoli o licenziosi piaceri, s'iniziava nei greci misterj, o faceva premure per ottenere un posto nell'Areopago di Atene. La sua profusa magnificenza insultava l'universal povertà; la ridicola solennità de' suoi trionfi faceva più profondamente sentire il pubblico disonore876. Egli riceveva con un sorriso indolente le ripetute notizie delle invasioni, delle disfatte, e delle ribellioni; e nominando con affettato disprezzo qualche particolar prodotto della perduta provincia, indolentemente dimandava se Roma sarebbe rovinata perchè più l'Egitto non le fornisse le tele di lino, e la Gallia le stoffe di Arras? Vi furono per altro pochi brevi momenti nella vita di Gallieno, nei quali inasprito da qualche ingiuria recente, comparve subitamente intrepido soldato e tiranno crudele; finchè saziato di sangue o stanco dalla resistenza, ricadeva insensibilmente nella natural placidezza e indolenza del suo carattere877.

 

Mentre da tal mano erano sì lentamente tenute le redini del Governo, non è maraviglia, che in ogni provincia si suscitassero in folla gli usurpatori contro il figlio di Valeriano. Fu probabilmente ingegnosa fantasia di paragonare i trenta tiranni di Roma, coi trenta tiranni di Atene, che indusse gli Scrittori della Storia Augusta a scegliere quel famoso numero, che a poco a poco è degenerato in popolare denominazione878. Ma è per ogni verso vano e falso il paragone. Qual mai somiglianza può ritrovarsi tra un concilio di trenta persone, che unite opprimevano una sola città, e tra una incerta lista d'indipendenti rivali, che si innalzarono e caddero con irregolar successione, per tutta l'ampiezza di un vasto Impero? Nè può essere il numero dei trenta compito, se non vi s'includono ancora le donne e i fanciulli, che furono onorati col titolo imperiale. Il regno di Gallieno, disordinato come era, produsse soltanto diciannove pretendenti al trono; Ciriade, Macriano, Balista, Odenato, e Zenobia in Oriente; nella Gallia e nelle province occidentali, Postumo, Lolliano, Vittorino e sua madre Vittoria, Mario, e Tetrico; nell'Illirico e nei confini del Danubio, Ingenuo, Regilliano, ed Aureolo; nel Ponto879, Saturnino; nell'Isauria, Trebelliano; Pisone nella Tessaglia; Valente nell'Acaia; Emiliano nell'Egitto; e Celso nell'Affrica. Chi volesse illustrare gli oscuri monumenti della vita e della morte di ognuno di essi, imprenderebbe un laborioso assunto, nè istruttivo, nè dilettevole. Possiamo contentarci d'investigare alcuni caratteri generali, che più vivamente distinguono le circostanze de' tempi, ed i costumi degli uomini, le loro pretensioni, i loro motivi, il lor fato, e le ruinose conseguenze della loro usurpazione880.

È noto bastantemente, che l'odioso nome di tiranno fu spesso usato dagli antichi per esprimere l'illegittima occupazione del supremo potere, senza alcun rapporto all'abuso di quello. Diversi tra i pretendenti, che spiegarono lo stendardo della ribellione contro l'Imperatore Gallieno, erano illustri modelli di virtù e quasi tutti avevano una riguardevole dose di vigore e di abilità. Il merito avea procurato ad essi il favore di Valeriano, e gli avea gradatamente promossi ai più importanti Governi dell'Impero. I Generali, che presero il titolo di Augusto, erano o rispettati dalle loro truppe per l'esperta loro condotta e severa disciplina, o ammirati pel valore e per la fortuna in guerra, o amati per la loro franchezza e generosità. Il campo della vittoria fu spesso il teatro della loro elezione, e fino l'armaiuolo Mario, il più disprezzabile di tutti i pretendenti alla porpora, fu distinto pel suo intrepido coraggio, per l'incomparabil sua forza, e per la sua rozza onestà881. Il suo vile e recente mestiero dava, è vero, un'aria di ridicolezza alla sua elevazione; ma la sua nascita non poteva esser più oscura di quella della maggior parte de' suoi rivali, ch'erano nati da contadini, ed arrolati nell'armata come soldati privati. Nei tempi di confusione ogni genio attivo trova il posto assegnatogli dalla natura: in un generale stato di guerra il merito militare è la via della gloria e della grandezza. De' diciannove tiranni, Tetrico soltanto era Senatore: Pisone solo era nobile. Il sangue di Numa, per ventotto successive generazioni, scorreva nelle vene di Calfurnio Pisone882, il quale per alleanze di donne pretendeva il diritto di esporre nella sua casa le immagini di Crasso e del gran Pompeo883. I suoi antenati erano stati replicatamente decorati di tutti gli onori che largir potea la Repubblica; e fra tutte le antiche famiglie di Roma, la Calfurnia soltanto era sopravvissuta alla tirannia dei Cesari. Le qualità personali di Pisone aggiungevano un nuovo lustro alla sua stirpe. L'usurpatore Valente, per ordine del quale fu ucciso, confessò con profondo rimorso, che un nemico pur anco avrebbe dovuto rispettare la santità di Pisone; e benchè morisse con le armi in mano contro Gallieno, il Senato, con generosa permissione dell'Imperatore, decretò i trionfali ornamenti alla memoria di un così virtuoso ribelle884.

I Generali di Valeriano erano grati al padre ch'essi stimavano. Disdegnavano però di servire alla lussuriosa indolenza dell'indegno suo figlio. Il trono del Mondo romano non era sostenuto da alcun principio di lealtà; e un tradimento contro un tal Principe, poteva facilmente considerarsi come un atto di patriottismo. Se esaminiamo però con candore la condotta di questi usurpatori, vedremo che furono più spesso indotti alla ribellione dai loro timori, che spinti dall'ambizione. Essi temevano i crudeli sospetti di Gallieno; e paventavano ugualmente la capricciosa violenza delle loro truppe. Se il pericoloso favore dell'esercito gli aveva imprudentemente dichiarati degni della porpora, erano destinati ad una sicura distruzione; e la prudenza stessa li consigliava ad assicurarsi un breve godimento dell'Impero, e piuttosto a tentar la sorte dell'armi, che ad aspettar la mano di un carnefice. Quando il favor de' soldati rivestiva le ripugnanti vittime con le insegne della sovrana autorità, esse talvolta si lagnavano in segreto del vicino lor fato. «Voi avete perduto,» diceva Saturnino nel giorno della sua elevazione, «voi avete perduto un utile Comandante, ed avete fatto un miserabilissimo Imperatore»885.

I timori di Saturnino furono giustificati dalla replicata esperienza delle rivoluzioni. De' diciannove Tiranni, che insorsero sotto il Regno di Gallieno, non ve ne fu alcuno, che godesse una vita pacifica, o morisse di una morte naturale. Appena erano rivestiti della sanguigna porpora, destavano ne' loro aderenti gli stessi terrori e la stessa ambizione, che avea data occasione alla propria lor ribellione. Circondati da domestiche cospirazioni, da militari sedizioni, e dalla guerra civile, tremavano sull'orlo del precipizio, nel quale, dopo un più lungo o più breve giro di angustie, inevitabilmente cadevano. Questi precarj Monarchi ricevevano però quegli onori, che l'adulazione delle respettive armate e province poteva ad essi concedere; ma la loro pretensione, sul ribellamento fondata non potè mai ottenere la sanzione della legge o della Storia. L'Italia, Roma e il Senato costantemente aderirono alla causa di Gallieno, ed egli solo fu considerato come Serrano dell'Impero. Questo Principe condiscese, per verità, a riconoscere le vittoriose armi di Odenato, che meritò questa onorifica distinzione per la rispettosa condotta da lui sempre tenuta verso il figliuolo di Valeriano. Con generale applauso dei Romani e col consenso di Gallieno, il Senato conferì titolo di Augusto al valoroso Palmireno; e parve affidargli il governo dell'Oriente, da lui già posseduto così indipendentemente, che come successione privata Io lasciò alla illustre sua vedova Zenobia886.

I rapidi e continui passaggi dalla capanna al trono, e dal trono alla tomba avrebbero potuto divertire un indifferente filosofo; se possibil fosse ad un filosofo di rimanere indifferente in mezzo alle universali calamità del Genere Umano. L'elezione di questi effimeri Imperatori, la potenza, e la morto loro erano ugualmente ruinose pe' loro sudditi e pe' loro aderenti. Il prezzo della fatale loro elevazione era subito pagato alle truppe, con un immenso donativo, tratto dalle viscere di un popolo già spossato. Per virtuoso che fosse il loro carattere, e pure le loro intenzioni, si trovavano essi ridotti alla dura necessità di sostenere la loro usurpazione con frequenti atti di rapina e di crudeltà. Quando essi cadevano, involgevano gli eserciti e le province nella loro caduta. Esiste tuttora un barbaro mandato di Gallieno ad uno de' suoi ministri, dopo la soppressione d'Ingenuo, che presa aveva la porpora nell'Illirico. «Non basta» (dice questo debole, ma inumano Principe) «che voi esterminiate quelli che sono comparsi armati; la sorte di una battaglia avrebbe ugualmente potuto servirmi. I maschi di ogni età devono estirparsi, purchè nell'esecuzione de' ragazzi e de' vecchi voi possiate trovar mezzi per salvare la nostra riputazione. Muoia chiunque ha lasciata cadere una parola, ed ha formato un pensiero cattivo contro di me, contro di me, figlio di Valeriano, padre e fratello di tanti Principi887. Ricordatevi che Ingenuo fu fatto Imperatore: lacerate, uccidete, mettete in pezzi. Io vi scrivo di propria mano, e vorrei ispirarvi i miei propri sentimenti»888. Mentre le pubbliche forze dello Stato si dissipavano in private contese, le inermi province giacevano esposte ad ogni invasore. I più coraggiosi usurpatori furono sforzati dalla incertezza della lor situazione a concludere ignominiosi trattati col comune inimico, a comprare con gravosi tributi la neutralità o il soccorso dei Barbari, e ad introdurre ostili ed indipendenti nazioni nel centro della romana Monarchia889.

Tali furono i Barbari e tali i Tiranni, i quali, sotto i regni di Valeriano e di Gallieno, smembrarono le province e ridussero l'Impero all'ultimo grado di disonore e di rovina, dal quale impossibil parea che fosse mai per risorgere. Per quanto poteva la scarsezza de' materiali permettere, abbiamo tentato di esporre con ordine e chiarezza i generali avvenimenti di questo calamitoso periodo. Rimangono ancora alcuni fatti particolari; I. i disordini dalla Sicilia; II. i tumulti di Alessandria; III. la ribellione degli Isaurici, che può servire a mettere in maggior lume l'orrida pittura.

I. Ogni qualvolta numerose truppe di banditi, moltiplicati per la fortuna e per l'impunità, pubblicamente sfidano, in vece di eluderla, la giustizia della lor patria, si può sicuramente inferire, che gli ordini più bassi della società sentono l'eccessiva debolezza del Governo, e ne abusano. La situazione della Sicilia la preservava dai Barbari; nè avrebbe quella inerme provincia potuto sostenere un usurpatore. Fu quella, una volta florida e tuttora fertile isola, angustiata da mani più vili. Una licenziosa turma di schiavi e contadini regnò per un tempo sul devastato paese, e rinnovò la memoria delle antiche guerre servili890. Le devastazioni, delle quali l'agricoltore era o vittima o complice, debbono aver rovinata l'agricoltura della Sicilia; e siccome i principali beni appartenevano agli opulenti Senatori di Roma, che spesso racchiudevano in una sola tenuta il territorio di una antica Repubblica, non è improbabile che questa privata ingiuria fosse alla Capitale più sensibile di tutte le conquiste de' Goti o de' Persiani.

II. La fondazione di Alessandria fu una nobile idea, concepita insieme ed eseguita dal figliuol di Filippo. La bella e regolare forma di quella grande città, inferiore soltanto a Roma, comprendeva una circonferenza di quindici miglia891; era popolata da trecentomila abitanti liberi, ed in oltre da un numero almeno uguale di schiavi892. Il lucroso commercio della Arabia e dell'India passava pel porto di Alessandria alla Capitale ed alle province dell'Impero. L'ozio vi era ignoto. Erano alcuni impiegati nelle manifatture de' vetri, altri in tessere tele di lino, ed altri in lavorare il papiro. Ogni sesso ed ogni età era occupata ne' lavori d'industria; nè mancavano ai ciechi o agli storpiati occupazioni convenienti alla lor condizione893. Ma il popolo di Alessandria, mescuglio di varie nazioni, univa la vanità e l'incostanza de' Greci alla superstizione ed ostinazione degli Egiziani. La più frivola occasione, una passeggiera scarsità di carni o di lenti, l'ommissione di un ordinario saluto, uno sbaglio di precedenza ne' bagni pubblici, od anche una disputa di religione894 furono sempre bastanti ad accendere una sedizione tra quella numerosa moltitudine, i cui risentimenti erano furiosi ed implacabili895. Poscia che, per la prigionia di Valeriano e l'indolenza del suo figliuolo, fu indebolita l'autorità delle leggi, gli Alessandrini si abbandonarono allo sfrenato furore delle proprie passioni, e l'infelice loro patria fu il teatro di una guerra civile, che durò (con poche, corte e sospette tregue) quasi dodici anni896. Fu ogni commercio interrotto tra i diversi quartieri dell'afflitta città, ogni contrada macchiata di sangue, ogni forte edifizio convertito in cittadella; nè cessò il tumulto finchè una considerabile porzione di Alessandria non giacque irreparabilmente rovinata. Lo spazioso e magnifico distretto del Bruchion co' suoi palazzi, ed il Museo, residenza de' Re e de' filosofi dell'Egitto, viene, quasi un secolo dopo, descritto, come già ridotto al suo presente stato di spaventevole solitudine897.

III. L'oscura ribellione di Trebelliano, che prese la porpora nella Isauria, piccola provincia dell'Asia minore, ebbe le più strane e memorabili conseguenze. Quel simulacro di sovranità fu presto distrutto da un uffiziale di Gallieno; ma i suoi seguaci disperando del perdono, deliberarono di sciogliersi dalla fedeltà giurata non solo all'Imperatore, ma ancora all'Impero, e improvvisamente ritornarono a' loro selvaggi costumi, de' quali non si erano mai perfettamente spogliati. Le scoscese lor rupi, che parte facevano dell'immenso Tauro, proteggevano l'innacessibil loro ritiro. Dalla coltivazione di alcune fertili valli898 ricavavano essi il necessario della vita, e gli agi dall'uso della rapina. Nel centro della romana Monarchia, gli Isaurici lungamente continuarono ad essere una nazione di barbari selvaggi. I Principi successivi, inabili a sottometterli con l'armi o con la politica, dovettero confessare la propria debolezza, circondando l'ostile e indipendente cantone con una salda catena di fortificazioni899, che furono spesso insufficienti a impedire le incursioni di quei domestici nemici. Gl'Isaurici estesero a poco a poco il lor territorio fino alla costa marittima, soggiogarono l'occidentale e montuosa parte della Cilicia, nido un tempo di quegli audaci pirati, contro i quali la Repubblica era stata una volta costretta ad impiegare la sua maggior forza sotto la condotta del gran Pompeo900.

Il nostro modo di pensare connette sì volentieri l'ordine dell'Universo col destino dell'uomo, che questo tenebroso periodo di storia è stato illustrato con inondazioni, terremoti, straordinarie meteore, soprannaturali caligini, e con una folla di falsi esagerati prodigi901. Ma una lunga e generale carestia fu ben più grave calamità. Fu questa l'inevitabile conseguenza della rapina e dell'oppressione, ch'estirpava il prodotto delle raccolte presenti, e la speranza delle future. La carestia vien quasi sempre seguita da mali epidemici, effetto del cibo scarso ed insalubre. Altre cagioni però possono avere contribuito alla furiosa peste, che dall'anno dugentocinquanta all'anno dugentosessantacinque, infierì senza interrompimento in ogni provincia, in ogni città e quasi in ogni famiglia dell'Impero romano. Per qualche tempo morirono giornalmente in Roma cinquemila persone; e rimasero interamente spopolate902 molte città, ch'erano scampate dalle mani dei Barbari.

Abbiamo notizia di un'assai curiosa circostanza, forse non inutile nel malinconico computo delle umane calamità. Si teneva in Alessandria un esatto registro di tutti i cittadini, autorizzati a ricevere la distribuzione del grano. Si trovò che l'antico numero di quelli compresi tra l'età de' quaranta e de' sessant'anni, era stato uguale all'intera somma de' postulanti dai quindici anni fino agli ottanta, che restarono vivi dopo il regno di Gallieno903. Applicando questo fatto autentico alle più corrette tavole della mortalità, esso prova evidentemente, ch'era quasi perita la metà del popolo di Alessandria; e se ci potessimo arrischiare ad estendere l'analogia alle altre province, potremmo sospettare che la guerra, la peste e la fame avessero, in pochi anni, consumata la metà del Genere Umano904.

FINE DEL VOLUME PRIMO
854Zonara l. XII, p. 635. Un simile aneddoto conveniva perfettamente al gusto di Montaigne. Ne fa uso nel suo saggio sopra il pedantismo l. I c. 24.
855Mosè di Corene, l. II, cap. 71 73 74. Zonara l. XII. p. 628. La relazione autentica dell'autore armeno rettifica il confuso racconto del greco Storico. Costui parla dei fanciulli di Tiridate, il quale allora era fanciullo egli stesso.
856Stor. Aug. p. 191. Macriano era nemico dei Cristiani, quindi essi gli dieder l'accusa di magìa.
857Zosimo l. I p. 33.
858Stor. Aug. p. 174.
859Vittore in Caesarib. Eutropio 9. 7.
860Zosimo l. I p. 33. Zonara l. XII p. 630. Pietro Patricio Excerpta legationum. p. 29.
861Stor. Aug. p. 185. Il regno dei Ciriadi è posto in questa collezione prima della morte di Valeriano; ma alla cronologia dubbiosa di uno Scrittore poco esatto, io ho preferito una probabile serie di avvenimenti.
862La testimonianza decisiva di Ammiano Marcellino (23. 5) esclude sotto il governo di Gallieno il sacco di Antiochia, che qualche altro Autore pone alcun tempo avanti.
863Zosimo l. I p. 35.
864Giovanni Malala tom. 1 pag. 391. Egli trasfigura questo probabile accidente con qualche circostanza favolosa.
865Zonara l. XII p. 630. I corpi di quelli, i quali erano stati trucidati, servirono a riempire profonde valli. Le truppe dei prigionieri erano condotte all'acqua come tante bestie, e un gran numero di questi sventurati moriva per mancanza di nutrimento.
866Zosimo, l. I p. 25, assicura che Sapore sarebbe restato padrone dell'Asia, se non avesse preferito il bottino alle conquiste.
867Pietro Patricio Excerpta legat. p. 29.
868Syrorum agrestium manu. Sesto Rufo c. 23. Secondo Rufo, Vittore, Stor. Aug. p. 192 e più iscrizioni, Odenato era un cittadino di Palmira.
869Egli era in tanta considerazione presso le Tribù erranti, che Procopio (De bello Pers. l. II c. 5.) e Giovanni Malala (tom. 1 p. 391) lo chiamarono Principe dei Saraceni.
870Pietro Patricio.
871Gli autori Cristiani insultano alle miserie di Valeriano, i Pagani le compiangono. Il Sig. Tillemont ha raccolte con diligenza le loro diverse testimonianze tom. 3 p. 739 ec. La Storia orientale, prima di Maometto, è sì poco conosciuta, che i moderni Persiani ignorano interamente la vittoria di Sapore, avvenimento così glorioso per la loro nazione. Vedi la Biblioteca Orientale.
872Una di queste lettere è di Artavasde Re di Armenia. Siccome l'Armenia era una provincia di Persia, quindi non hanno mai avuta esistenza il Re, il Regno, e la lettera.
873Vedi la sua vita nella Storia Augusta.
874Esiste ancora un bellissimo epitalamio composto da Gallieno pel matrimonio di sua nipote. Ite ait, o Juvenes, pariter sudate medullis Omnibus, inter vos: non murmura vestra columbae, Brachia non hederae, non vincant oscula conchae.
875Era sul punto di regalare a Plotino una città rovinata della Campania per tentare di realizzare colà la repubblica di Platone. Vedasi la vita di Plotino, scritta da Porfirio, nella Biblioteca Greca di Fabrizio l. IV.
876Una medaglia, che ha l'impronta della testa di Gallieno, ha sommamente imbarazzati gli antiquarj colle parole della leggenda Gallienae Augustae, e con quelle che si vedono nel rovescio Ubique pax. Il sig. Spanhemio suppone che questa medaglia fosse coniata da qualche nemico di Gallieno, e ch'era un'amara satira della condotta effeminata di questo Principe. Ma siccome l'uso dell'ironìa sembra indegno della gravità della moneta romana, perciò il Sig. di Vallemont da un passo di Trebellio Pollione (Stor. Aug.) ha dedotto una spiegazione ingegnosa e naturale. Galliena era prima cugina dell'Imperatore. Avendo liberato l'Affrica dall'usurpatore Celso, ella meritossi il titolo di Augusta. Sopra una medaglia esistente nella raccolta del gabinetto del Re di Francia, si legge una simile iscrizione di Faustina Augusta intorno alla testa di Marc'Aurelio. Quanto all'Ubique Pax, si spiega facilmente colla vanità di Gallieno il quale forse avrà colto l'occasione di qualche momentanea calma. Vedi Nouvelles de la Republique des lettres Gennaio 1700 pag. 21-34.
877Questo singolare carattere ci è stato, a quanto penso, trasmesso con fedele pittura. Breve e travaglioso fu il regno del suo successore immediato; e gli storici che scrissero avanti la elevazione della famiglia di Costantino non avevano il più lontano interesse a travisare il carattere di Gallieno.
878Pollione mostra la più minuta premura di compirne il numero.
879Il luogo del suo regno è alquanto dubbioso; ma vi era un tiranno nel Ponto, e ci è nota la sede di tutti gli altri.
880Tillemont (tom. III, p. 1163) li riferisce alquanto diversamente.
881Vedi la parlata di Mario nella Stor. Aug. p. 197. L'accidentale somiglianza de' nomi fu la sola circostanza, che potè tentare Pollione ad imitare Sallustio.
882Vos o Pompilius sanguis! Tale è l'apostrofe di Orazio ai Pisoni. Vedi Art. Poet. v. 292 con le note di Dacier e di Sanadori.
883Tacit. Annal. XV 48. Stor. I 15. Nel primo di questi passi ci possiamo arrischiare a mutare la voce paterna in materna. In ogni generazione da Augusto ad Alessandro Severo, uno o più Pisoni compariscono tra i Consoli. Un Pisone fu da Augusto creduto degno del trono (Tacit. Annal, I. 13.). Un altro fu il capo di una formidabile congiura contro Nerone; ed un terzo fu adottato, e dichiarato Cesare da Galba.
884Stor. Aug. p. 195. Il Senato, in un momento di entusiasmo, sembra che si compromettesse dell'approvazione di Gallieno.
885Storia Aug. p. 196.
886L'associazione del coraggioso Palmireno fu l'atto il più popolare di tutto il regno di Gallieno. Stor. Aug. p. 180.
887Gallieno aveva conferito i titoli di Cesare e di Augusto al suo figliuolo Salonino, trucidato in Colonia dall'usurpatore Postumo. Un secondo figliuolo di Gallieno successe nel nome e nel grado di suo fratello maggiore. Valeriano, fratello di Gallieno, fu ancor esso associato all'Impero. Diversi altri fratelli, sorelle e nipoti dell'Imperatore formavano una numerosissima Reale famiglia. Vedi Tillemont, tom. III, e il Sig. di Brequiguy nelle Memorie dell'Accademia tom. XXXII, p. 262.
888Stor. Aug. p. 188.
889Regiliano aveva alcune bande di Roxolani al suo servizio. Postumo aveva un corpo di Franchi. Gli ultimi l'introdussero nella Spagna, forse in qualità di ausiliarj.
890La Storia Augusta; p. 177, la chiama servile bellum. Vedi Diod. Siculo l. XXXIV.
891Plin. Stor. Nat. V 10.
892Diod. Sicul. l. XVII. p. 590 edit. Wesseling.
893Vedi una curiosissima lettera di Adriano nella Stor. Aug. p. 245.
894Simile alla sacrilega uccisione di un gatto sacro. Vedi Diod. Sicul. l, I.
895Stor. Aug. 195. «Una lunga e terribile sedizione ebbe il suo principio da una disputa tra un soldato ed un paesano per un pajo di scarpe.»
896Dionisio presso Eusebio. Stor. Eccles. vol. VII p. 21. Ammiano XXII 16.
897Scaligero animadver. ad Euseb. Chron. p. 258. Tre dissertazioni del Sig. Bonamy nello Mem. dell'Accadem. tom. IX.
898Strabone l. XII. p. 569.
899Stor. Aug. p. 197.
900Vedi Cell. Geogr. Antica tom. II p. 137 intorno ai confini dell'Isauria.
901Stor. Aug. p. 177.
902Stor. Aug. p. 177. Zosimo l. I. p. 24. Zonara, l. XII p. 623. Euseb. Chronicon. Vittore in Epitom. Vittore in Caesarib. Eutropio IX 5. Orosio VII 21.
903Euseb. Stor. Eccles. VII 21. Il fatto è preso dalle Lettere di Dionisio, che nel tempo di quelle turbolenze era Vescovo di Alessandria.
904In un gran numero di Parrocchie si trovarono 11000 persone tra i quattordici e i diciott'anni; 5365, tra i quaranta e settanta. Vedi Buffon, Stor. Nat. tom. II pag. 590.
Купите 3 книги одновременно и выберите четвёртую в подарок!

Чтобы воспользоваться акцией, добавьте нужные книги в корзину. Сделать это можно на странице каждой книги, либо в общем списке:

  1. Нажмите на многоточие
    рядом с книгой
  2. Выберите пункт
    «Добавить в корзину»