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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1
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A LADY FANNY HARLEY

Piacciavi, nobilissima Lady, cedere che il vostro nome divenga leggiadro ornamento al volume con che s'apre il terzo anello della Biblioteca Storica di tutti i Tempi e di tutte le Nazioni. Prende quinci principio la serie degli storici vostri, fra' quali, dotta qual siete in varie favelle, vi sarà grato rivedere nelle nuove italiche vesti quel valoroso che sì maestrevolmente dipinse il Tramonto del grande Imperio di Roma. Ed a chi potrei io intitolar quest'Opera più convenevolmente che a Voi, onde sì bene è giustificata quella sentenza del divino Platone: «Nulla avervi di più ammirabile sopra la terra che la somma venustà della persona, commista alla peregrina gentilezza dell'animo.» Accogliete, illustre Donzella, questo pegno del conoscente mio ossequio, e sia esso quale iscrizione votiva, che segni i giorni in cui la bella Milano si allegrava allo splendore della vostra avvenenza.

Milano 20 agosto 1820.

Dev.mo Osseq.mo Servitore
NICOLÒ BETTONI.

AVVERTIMENTO

Io ti presento, o lettore, la Storia della Decadenza e Rovina dell'Imperio romano, scritta da Edoardo Gibbon, ed ora interamente e fedelmente trasportata dall'originale inglese nella lingua italiana. Non una idea, non una parola importante, venne ad essa tolta, mutata od aggiunta. Il testo a cui mi sono attenuto, è quello impresso da Strahan e Cadell, in Londra, colla data del 1791 in 8.º, ottima e sicura edizione, di cui fa cenno l'Autore nelle sue Memorie.

Di due parti è composto il mio lavoro: una comprende l'emendazione de' volumi di questa Istoria, già pubblicati in italiano colle stampe di Pisa, per opera di monsignor Fabbroni 1 : l'altra risguarda i rimanenti volumi, da me per la prima volta recati nella nostra favella.

Intorno a questa seconda parte non moverò parola. A te spetta, o Lettore, di giudicare la mia fatica. Ti prego soltanto a por mente che essendomi fatto continuatore di una traduzione, non ho potuto nè dovuto governarmi come se fossi stato l'unico traduttore di tutta l'Opera.

Per rispetto al racconciamento della Traduzione Pisana, avvertirai che la prima mia cura fu intesa a confrontare, linea per linea, parola per parola, il testo italiano col testo inglese 2 , onde restaurare le numerose imperfezioni e troncature di quello, raddrizzarne le rilevanti diversità, ed emendarne i notabilissimi errori 3 . Mi diedi poscia a ripulirne lo stile, ma confesso di non aver moltissimo esercitato la lima, tranne intorno al primo tomo, di cui ho dovuto rifare le intere pagine 4 . Gli altri tomi mi apparvero lodevolmente tradotti, per quanto concerne la qualità del dire, e se non sempre esprimono l'enfasi dell'originale, spiccano tuttavia per una chiarezza che di rado s'incontra ne' volgarizzamenti ricavati dalle lingue settentrionali.

 

Altra cosa ora debbo soggiugnere. Lo scetticismo di Odoardo Gibbon in materia di religione, ha tirato addosso a lui molte veementi censure. Tra suoi avversari, splende primissimo Nicola Spedalieri, celebre Autore dei «Diritti dell'Uomo», e rivale ben degno di starsi a fronte di un tanto istorico e filosofo. Per tranquillare le menti, ed opporre, come altri dice, l'antidoto al veleno, ho messo infine al capitolo 16.º il Compendio della Confutazione di Gibbon, scritta dall'Apologista della Chiesa Romana. Le tre Lettere dirette ai signori Foothead e Kirk, Inglesi cattolici, seguiteranno il capitolo 25.º, e con ciò sarà proveduto ai timori dei più riguardosi.

Avrei potuto inserire moltissime note di erudizione, giovandomi a tal fine dei lavori di varj cospicui stranieri. Ma sì abbondanti già sono quelle dell'Autore, che non ho giudicato opportuno di seppellire il testo sotto le note; e mi sono ristretto ad apporne alcune pochissime e brevissime che troverai impresse in corsivo. Di queste sole mi si aspetta il rendere conto. Potrebbe avvenire che nel corso della stampa fossero richieste alcune altre postille, alle quali sin dal presente dichiaro di non aver parte veruna. Le materie teologiche non sono di mia pertinenza, nè voglio che alcuno abbia ad applicarmi la nota sentenza di Apelle.

Davide Bertolotti.

CENNI SOPRA LA VITA DI EDOARDO GIBBON

L'istoria della Decadenza e Rovina dell'Impero di Roma viene generalmente collocata tra i più bei lavori della Musa dell'Istoria, illuminata dalla face della Filosofia. Zimmermann, nome caro a tutti i cuori gentili, diceva parlando di essa: «Tutta la dignità, tutto il diletto di cui è suscettivo lo stile dell'Istoria si trovano in Gibbon: tutti i suoi pensieri hanno nerbo ed ordine, ed i suoi periodi scorrono melodiosamente». – «Io cercherò mai sempre la verità, esclamava Gibbon, finora non ho trovato che la verisimiglianza5». Ed in fatto, se l'assenza delle passioni, la moderazione dei desiderj, e quel medio stato di fortuna atto a reprimere le lusinghe dell'ambizione e il grido del bisogno, offrono l'idea dell'uomo sommamente acconcio all'imparzialità necessaria per dettare l'istoria, nessun uomo dovea più di Gibbon possedere le qualità di un istorico.

Nato a Putney nella contea di Surrey li 27 Aprile 1737, da una famiglia a sufficienza antica, ma senza splendore, ei non poteva ritrarre da' suoi antenati nè fama nè infamia6. Le dissipazioni di suo padre avean ridotto ad una discreta misura le molte ricchezze adunate da suo avo, onde a lui ne tornava la necessità di adornare la vita con que' nobili e pacifici trionfi che dall'ingegno son procurati. La vivacità della sua mente s'era manifestata fin dall'infanzia, negl'intervalli che a lui lasciavano una debole e vacillante salute, e le infermità che sino ai quindici anni lo afflissero. Al qual tempo la sua complessione afforzossi in un tratto, senza che di poi risentito egli abbia altro male, fuori della podagra. Trascurato da' suoi educatori, Gibbon non andò obbligato che alla fertile sua memoria delle fondamenta del suo vasto sapere. Dotato di perspicacissimo spirito d'indagine, egli prese a comporre, di sedici anni, un'opera istorica in cui volea determinare il secolo di Sesostri verso il tempo di Salomone. Datosi quindi alle controversie di religione, fu vinto dall'eloquenza degli scritti di Bossuet7 ed abbiurò il protestantismo nelle mani di un prete cattolico in Londra. Cacciato dall'Università di Oxford per tal atto, e mandato da suo padre, che fieramente ne avea preso sdegno, a Losanna, presso il ministro protestante Pavillard, con assai meschina pensione, Gibbon si ricondusse alla religione riformata, o veramente non fu più in appresso nè cattolico nè protestante, ma bensì scettico come Bayle8.

 

Il soggiorno di cinque anni in Losanna riuscì però assai favorevole allo spiegamento del suo intelletto. Le immense letture da lui fatte e intorno alle quali egli avea preso per divisa: Mai non dobbiam leggere, se non se per aiutarci a pensare9 gli porsero i materiali di quella dottrina che con tanta sagacità e con tanto splendore egli seppe svolgere ed applicare in appresso. Con tutto ciò la calma dello studio non lo pose interamente al riparo delle perturbazioni della giovanezza. Egli vide a Losanna, ed amò la damigella Curchod, poscia Mad. Necker, ragguardevole pei fregi della persona, del cuore e dell'ingegno. Quest'amore fu quale provare il dovea un garzone d'onorati sensi per una virtuosa donzella, ed egli si rallegrava al sol pensarvi, fin nei suoi anni più tardi. Amendue inclinavano a tal nodo, ma il padre di Gibbon richiamollo in Inghilterra, e questi, sono le sue stesse parole, sospirò come amante, ma obbedì come figlio10. Ei la rivide a Parigi nel 1763, sposa del celebre Necker, e ritrovò appresso lei, in tutti i tempi della sua vita, quella dolce intrinsichezza, conseguenza di un tenero ed onesto sentimento, cui la necessità e la ragione hanno potuto vincere, senza che di parte o d'altra vi fosse campo a rimproveri o ad amarezze.

Lo studio aveva sparso di fiori a Gibbon il soggiorno di Losanna: la sua immaginazione languiva in seno alle grandi città; la placid'aria de' campi la ravvivava. Di ritorno in Londra, ei non ricercò che nello studio i suoi piaceri. Tre anni dopo il suo ritorno in Inghilterra, pubblicò in francese il Saggio sullo studio della Letteratura, opera lodevolmente scritta, e piena di eccellente critica: poco letta in Inghilterra, essa piacque in Francia moltissimo11.

Deliberato di dedicar la sua penna all'istoria, Gibbon ondeggiava fra diverse epoche, tutte egualmente importanti, quando un viaggio da lui fatto in Italia lo trasse in un subito dalla sua irresoluzione. «Egli è a Roma», esso dice, «che ragionando co' miei pensieri, seduto sulle rovine del Campidoglio, mentre i frati cantavano vespro nel tempio di Giove, l'idea di delineare il declino e l'occaso di questa città venne per la prima volta ad occupar la mia mente»12.

Critico giudizioso e profondo, Gibbon passa a rassegna tutti i fatti, e supera tutti gl'inciampi. L'Istoria della decadenza e rovina dell'Impero di Roma valse a Gibbon gli elogj di Hume13 e di Robertson, e gli assegnò non l'ultimo posto nel triumvirato degli storici inglesi.

Vent'anni di assiduo lavoro costò questa famosa Istoria al suo autore. Con affettuose tinte egli descrive il momento in cui l'ebbe finita.

«Fu il dì, o per meglio spiegarmi, la notte del 27 Giugno 1789, che nel mio giardino, nella mia villa d'estate, io scrissi le ultime linee dell'ultima pagina. Poscia ch'ebbi giù posta la penna, feci alcuni giri sotto un pergolato di acacie, d'onde lo sguardo si estende in lontano, e domina la campagna, il lago ed i monti. Temperato era l'aere ed il cielo sereno; l'argenteo globo della luna si rifletteva nell'onde, e tutta la natura posava in silenzio. Non occulterò i miei primi sensi di gioia, in quell'istante della mia libertà ricovrata, e forse della mia fama sodamente stabilita. Ma ben tosto fu umiliato il mio orgoglio, ed una pensosa malinconia mi si pose nell'animo, al riflettere che avea preso eterno commiato da un antico e grazioso compagno di viaggio, e che qualunque essere potesse il futuro durare della mia istoria, la precaria vita dello istorico più non poteva esser lunga.»

Da molte e gagliarde critiche venne però assalita quell'Opera che con tanti studj egli avea tratta a compimento.

«Gibbon,» dice la Biblioteca istorica di Muselio, dotto e laborioso Tedesco «ha trovato nemici in patria e fuori di essa, perchè espose la propagazione della fede cristiana, non come suol fare il volgo, o come è usanza de' teologi, ma bensì come si conviene allo storico ed al filosofo14

Gibbon fu due volte deputato al Parlamento. Nel 1779 egli ottenne da' ministri il posto di Lord commessario del commercio e dell'agricoltura, che perdè col cadere della famosa amministrazione di Bute. Egli applaudì da principio la rivoluzione francese; ma i delitti commessi in nome della libertà, o piuttosto i sentimenti di timore cui mal sapeva resistere, voltarono il suo animo, e desiderar gli fecero i trionfi della confederazione15. Egli viveva da dieci anni in Losanna, dimora ove ogni cosa gli tornava al pensiero le più grate memorie della sua gioventù, quando gli giunse a notizia che Lord Sheffield, suo dolcissimo amico, avea perduto una moglie diletta. Gibbon vola in Inghilterra per consolarlo, e sei mesi dopo scende nella tomba egli pure (16 gennajo 1794). Odoardo Gibbon ha lasciato le Memorie della sua Vita scritte da esso.

PREFAZIONE DELL'AUTORE

Non è mio intendimento di trattenere il lettore con estendermi sulla varietà, o sulla importanza del soggetto, che ho preso a trattare; il merito della scelta non servirebbe che a rendere più manifesta e meno scusabile la debolezza dell'esecuzione. Ma nondimeno, parendomi necessario di far conoscere al Pubblico l'Opera che gli presento, credo conveniente l'esporre con brevità la natura e i confini del mio disegno generale.

La memorabile serie di rivoluzioni, che nel corso di quasi tredici secoli indebolirono a poco a poco, e finalmente distrussero il saldo edifizio dell'umana grandezza, può giustamente dividersi nei tre seguenti periodi.

I. Il primo di questi, principiando dal secolo di Traiano e degli Antonini, quando la Monarchia Romana, già arrivata al sommo della forza e della maturità, cominciò a pendere verso la sua rovina, si estende fino alla distruzione dell'Impero d'Occidente per opera dei Barbari della Germania e dalla Scizia, rozzi antenati delle più civili nazioni dell'Europa moderna. Questa straordinaria rivoluzione che soggettò Roma al dominio di un Gotico conquistatore, si compì verso il principio del sesto secolo.

II. Il secondo periodo della decadenza e rovina di Roma può dirsi cominciare dal Regno di Giustiniano, le leggi e le vittorie del quale rendettero all'Impero d'Oriente uno splendor passeggiero: questo periodo comprende l'invasione dei Longobardi nell'Italia; la conquista delle province Asiatiche e Affricane fatta dagli Arabi, i quali avevano abbracciato la religione di Maometto; la ribellione del Popolo romano contro i deboli Principi di Costantinopoli; e l'elevazione di Carlo Magno, che nell'anno 800 stabilì il secondo Impero d'Occidente, o sia l'Impero Germanico.

III. L'ultimo ed il più lungo di questi periodi è composto quasi di sette secoli e mezzo, dal risorgimento dell'Impero Occidentale fino alla presa di Costantinopoli fatta dai Turchi, ed all'estinzione di una degenerata stirpe di Principi, i quali continuarono ad assumere i titoli di Cesare e di Augusto, anche di poi che i loro dominj furono ristretti dentro i limiti di una sola città, nella quale non restava da gran tempo vestigio alcuno della lingua e dei costumi degli antichi Romani. Dovendo riferire gli avvenimenti di questo periodo, non si può a meno di non internarsi nella Storia generale delle Crociate, in quanto esse contribuirono alla rovina dell'Impero greco. Le molte ricerche che ho dovuto fare sullo stato di Roma, durante l'oscurità e la confusione dei secoli di mezzo, mi fecero differire più che non l'avrei creduto il compimento del mio lavoro, che da principio non erami sembrato tanto lungo come lo sperimentai in appresso.

Ch'io abbia eseguito il vasto disegno immaginato, non ardisco lusingarmene: n'ebbi però l'intenzione, ed il Pubblico imparziale potrà giudicarne leggendo la mia Opera.

AVVERTIMENTO RELATIVO ALLE NOTE

La diligenza e l'esattezza sono i soli meriti che uno Storico possa dire suoi propri, se pur vi è qualche merito reale nell'esecuzione di un indispensabile dovere. Posso pertanto dir con ragione, che ho diligentemente esaminati tutti i documenti originali, che potevano illustrare il soggetto da me preso a trattare. Per dare un'idea al Leggitore del metodo da me tenuto nel lavoro delle annotazioni, mi ristringerò ad una sola osservazione.

I Biografi che a' tempi di Diocleziano e di Costantino composero o piuttosto compilarono le vite degli Imperatori, da Adriano fino ai figli di Caro, vengono ordinariamente citati sotto i nomi di Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Elio Lampridio, Vulcazio Gallicano, Trebellio Pollione, e Flavio Vopisco. Ma vi è tanta confusione nei titoli dei MSS., e tante dispute sono insorte tra i critici (vedi Fabricio Biblioth. Lat. l. III, c. 6) intorno al numero, ai nomi ed alle opere loro, che io gli ho citati perloppiù senza distinzione alcuna, sotto il generico e ben noto titolo della Storia Augusta.

CAPITOLO I

Estensione e forza militare dell'Impero nel secolo degli Antonini.

Dal 98

al 180

Nel secondo secolo dell'Era cristiana, l'Impero di Roma comprendeva la parte più bella della Terra, e la porzione più civile del genere umano. Il valore, la disciplina, e l'antica rinomanza difendevano le frontiere di quella vasta monarchia. La gentile, ma potente influenza delle leggi e dei costumi aveva a poco a poco assodata l'unione delle province, i cui pacifici abitatori godevano ed abusavano dei vantaggi che nascono dalle ricchezze e dal lusso. Si conservava ancora, con decente rispetto, l'immagine di una libera costituzione; e l'autorità sovrana apparentemente risedeva nel Senato romano, il quale affidava agl'Imperatori tutta la potenza esecutiva del Governo. Nel felice corso di più d'ottant'anni, la pubblica amministrazione fu regolata dalla virtù e dalla abilità di Nerva, di Traiano, di Adriano, e dei due Antonini. In questo e nei due seguenti capitoli, descriveremo il prospero stato del loro Impero, ed esporremo le più importanti circostanze della sua decadenza e rovina, dopo la morte di Marco Antonino; rivoluzione che sarà rammentata mai sempre, e della quale le nazioni della terra tuttor si risentono.

Le principali conquiste dei Romani furon terminate al tempo della Repubblica, e gl'Imperatori quasi tutti si contentarono di conservare quegli Stati, che la politica del Senato, l'attiva emulazione dei Consoli, ed il marziale entusiasmo del popolo avevano acquistati. I sette primi secoli furono una rapida successione di trionfi; ma era riservato ad Augusto di abbandonare l'ambizioso disegno di soggiogare tutta la Terra, e introdurre nei pubblici Consigli uno spirito di moderazione. Egli, e per temperamento e per le circostanze, inclinato alla pace, facilmente conobbe, che Roma in quello stato di elevazione avea molto più da temer che da sperare per l'evento dell'armi; e che nella continuazione di guerre remote, l'impresa diveniva ogni dì più difficile, più incerto l'esito, il possesso più precario e men vantaggioso. L'esperienza di Augusto aggiunse peso a queste savie riflessioni, ed efficacemente il convinse, che col prudente vigor dei consigli, agevole gli riuscirebbe ottenere ogni concessione cui la salvezza o la dignità di Roma potesse richiedere dai più formidabili Barbari. Invece di espor se e le sue legioni ai dardi dei Parti, egli ottenne con un trattato onorifico la restituzione delle insegne e dei prigionieri stati già presi nella disfatta di Crasso16.

Nel principio del suo regno tentarono i suoi Generali di soggiogare l'Etiopia e l'Arabia Felice. S'innoltrarono essi per mille miglia verso la parte meridionale del Tropico; ma l'eccessivo calore del clima ben tosto respinse questi invasori, e difese i pacifici abitatori di quelle separate contrade17. Le regioni settentrionali dell'Europa meritavano appena la spesa e la fatica di conquistarle. Le foreste e le paludi della Germania erano popolate da una moltitudine di uomini barbari e coraggiosi, che disprezzavano una vita, a cui la libertà non fosse compagna; e sebbene nel primo assalto parvero cedere al peso della potenza romana, ben presto con un atto segnalato di disperazione riacquistarono la loro indipendenza, e rammentarono ad Augusto le vicende della fortuna18.

Dopo la morte di questo Imperatore fu il suo testamento pubblicamente letto in Senato. Lasciava egli a' suoi successori, come legato importante, il consiglio di contenere l'Impero in quei limiti, che la natura medesima pareva aver posti per sue stabili barriere e confini. A ponente l'Oceano Atlantico; a tramontana il Reno ed il Danubio; l'Eufrate a levante, e verso il mezzogiorno gli arenosi deserti dell'Arabia e dell'Affrica19.

Fu gran fortuna pel riposo del genere umano, che i vizj ed il timore obbligassero i primi successori di Augusto ad apprendersi al moderato sistema, che la prudenza di lui aveva raccomandato. Occupati nel correr dietro al piacere, o nell'esercizio della tirannide, i primi Cesari raramente si mostravano agli eserciti od alle province; nè erano disposti a soffrire, che la condotta ed il valore dei loro comandanti usurpassero i trionfi, trascurati dalla loro indolenza. La gloria militare di un suddito era riguardata come una insolente usurpazione della prerogativa imperiale; e divenne un dovere egualmente che un interesse di ogni Generale romano il difendere le frontiere affidate alla sua cura, senza aspirare a conquiste, che sarebber potute divenire non meno fatali a lui stesso, che ai Barbari da lui soggiogati20.

L'unico ingrandimento che ricevesse l'Impero romano, nel primo secolo dell'Era cristiana, fu la provincia della Britannia. In questa sola circostanza i successori di Cesare e di Augusto crederono di dover seguire piuttosto l'esempio del primo, che il precetto del secondo. La sua situazione, vicina alle coste della Gallia, pareva invitar le lor armi; la lusinghiera, sebbene incerta speranza della pesca delle perle vi chiamava la loro avarizia21; e poichè la Britannia era considerata come un Mondo distinto ed isolato, la sua conquista faceva appena eccezione al general sistema dei confini nel continente. Dopo una guerra di circa 40 anni22 intrapresa dal più stupido, continuata dal più dissoluto, e terminata dal più timido di tutti gl'Imperatori, la maggior parte dell'isola soggiacque al giogo romano23. Le diverse tribù dei Britanni avevan valore senza condotta, ed amore di libertà senza spirito di unione. Prendevano le armi con una ferocia selvaggia, le posavano, o se le rivolgevano gli uni contro gli altri con una fiera incostanza; e mentre combattevan divisi, venivano successivamente domati. Nè la fortezza di Caractaco, nè la disperazione di Boadicea, nè il fanatismo dei Druidi potè preservare la lor patria dalla schiavitù, o resistere ai saldi progressi dei Generali cesarei, che sostenevano la gloria della nazione, mentre il trono era disonorato dai più vili e più viziosi degli uomini. Nel tempo stesso in cui Domiziano, confinato nel suo palazzo, sentiva i terrori ch'egli inspirava, le sue legioni, comandate dal virtuoso Agricola, disfacevano le forze riunite dei Caledonj a piè delle colline Grampiane, ed i suoi vascelli, arrischiatisi a scoprire una navigazione sconosciuta e perigliosa, spiegavano le insegne romane intorno ad ogni parte dell'isola. La conquista della Britannia già si riguardava come terminata; ed Agricola aveva disegno di compirne ed assicurarne il successo con la facile riduzion dell'Irlanda, per la quale credea sufficiente una legione con poche truppe ausiliari24. Il possesso di questa isola occidentale potea divenir vantaggioso; ed i Britanni avrebbero portate le loro catene con minor ripugnanza, se l'esempio e l'aspetto della libertà fosse loro stato per ogni parte tolto dagli occhi.

Ma il merito preminente di Agricola cagionò ben presto il suo richiamo dal governo della Britannia, e sconcertò per sempre quel vasto, ma ragionato piano di conquista. Avanti la sua partenza, il prudente Generale aveva provveduto alla sicurezza non men che al possesso. Osservando che l'isola è quasi divisa in due parti diseguali dagli opposti golfi, chiamati adesso le Sirti di Scozia, avea tirato, a traverso l'angusto intervallo di circa 40 miglia, una linea di posti militari, la qual fu poi fortificata nel regno di Antonino Pio con un terrapieno alzato su fondamenti di pietra25. Questa muraglia di Antonino, poco al di là delle moderne città di Edimburgo e Glascovia, fu stabilita come il confine della provincia romana. I nativi Caledonj, nell'estremità settentrionale dell'isola, conservarono la loro selvaggia indipendenza, della quale andarono debitori alla loro povertà non meno che al loro valore. Furono spesso e respinte e punite le loro incursioni, ma il lor paese non fu mai soggiogato26. I padroni delle contrade più belle e più ricche del globo, con disprezzo si allontanavano dai cupi monti, dove sempre regnano le tempeste del verno, dai laghi coperti di azzurra nebbia, e dalle fredde e solitarie macchie, dove i cervi della foresta erano inseguiti da una truppa di nudi Selvaggi27.

Questo era lo stato delle frontiere romane, e tali eran le massime della politica imperiale, dalla morte di Augusto fino all'esaltazione di Traiano. Questo Principe virtuoso ed attivo, all'educazione di un soldato univa i talenti di un Generale28. Il pacifico sistema de' suoi predecessori fu interrotto da scene di guerra e di conquista; e le legioni, dopo un lungo intervallo, videro finalmente alla loro testa un Imperatore soldato. Le prime imprese di Traiano furono contro i Daci, popoli i più bellicosi tra quelli che abitavano di là dal Danubio, e che sotto il regno di Domiziano avevano impunemente insultato la maestà di Roma29. Alla forza ed alla ferocia propria dei Barbari, essi univano un disprezzo per la vita, originato in loro dalla ferma persuasione della immortalità e trasmigrazione delle anime30. Decebalo, lor Re, si mostrò rivale non indegno di Traiano; nè disperò mai della propria e della pubblica fortuna, finchè, per confessione ancora de' suoi nemici, non ebbe esauriti tutti i ripieghi del valore e della politica31. Questa memorabil guerra, interrotta da una brevissima tregua, durò cinque anni; e siccome l'Imperatore potè impiegarvi, senza riserva, le intere forze dello Stato, essa finì con la perfetta sommissione dei Barbari32. La nuova provincia della Dacia, che formava una seconda eccezione al precetto di Augusto, aveva quasi mille trecento miglia di circonferenza. I suoi naturali confini erano il Niester, il Teyso ossia Tibisco, il Danubio inferiore, e il mare Eusino. Si vedono ancora i vestigi di una via militare dalle rive del Danubio fino alle vicinanze di Bender, piazza famosa nella storia moderna, ed ora frontiera dell'Impero turco e del russo33.

Traiano era avido di gloria, e finchè gli uomini saranno più liberali di applausi verso chi li distrugge che verso chi li benefica, la sete della gloria militare sarà sempre il vizio degli animi più elevati. Le lodi di Alessandro, trasmesse da una successione di poeti e di storici, avevano accesa nello spirito di Traiano una pericolosa emulazione. Simile ad Alessandro, l'Imperatore romano intraprese una spedizione contro le nazioni dell'Oriente, ma sospirando si lamentava che la sua età avanzata non gli lasciasse speranza di eguagliare la fama del figliuol di Filippo34. I successi però di Traiano furon rapidi ed insigni, benchè passeggieri. I Parti, già degenerati e divisi per le intestine discordie, fuggirono dinanzi alle sue armi. Egli trionfante scese pel fiume Tigri, dalle montagne della Armenia fino al golfo Persico, e godè l'onore di essere il primo, come ei fu l'ultimo, dei Generali romani che navigasse in quel mare lontano. Le sue flotte devastarono le coste dell'Arabia; e Traiano si lusingò, ma indarno, di toccare i confini dell'India35. Ogni giorno il Senato riceveva con istupore la notizia di nuovi nomi e di nuove nazioni, le quali riconoscevano la sua autorità. Seppe che i Re del Bosforo, di Colco, dell'Iberia, dell'Albania, di Osroene e sino il Monarca istesso dei Parti avevano accettato i loro diademi dalle mani dell'Imperatore; che le indipendenti tribù delle montagne della Media e dei monti Carduchi avevano implorata la sua protezione, e che le doviziose regioni dell'Armenia, della Mesopotamia e dell'Assiria erano ridotte in province36. Ma la morte di Traiano oscurò in un momento un prospetto così luminoso; ed era giustamente da temersi, che tante lontane nazioni non iscuotessero il giogo insolito, quando non più le frenasse la mano possente che loro avealo imposto.

Era antica tradizione, che quando un Re di Roma fabbricò il Campidoglio, il Dio Termine (che presedeva ai confini, e secondo l'uso di quei secoli veniva rappresentato da una gran pietra) fosse il solo tra tutti gli Dei inferiori, che ricusasse di cedere il suo posto a Giove medesimo. Da questa ostinazione si dedusse una favorevol conseguenza, interpretata dagli Auguri come sicuro presagio, che i confini della potenza romana non si sarebber ristretti giammai37. Per molti secoli la predizione, come è solito, contribuì al suo adempimento38. Ma quel Dio Termine, che avea resistito alla maestà di Giove, cedè all'autorità di Adriano. La cessione di tutte le conquiste orientali di Traiano fu la prima determinazione del suo regno. Egli rendè ai Parti il diritto di eleggere un Sovrano indipendente, ritirò le guarnigioni romane dalle province dell'Armenia, della Mesopotamia e dell'Assiria, e secondo il precetto di Augusto, stabilì un'altra volta l'Eufrate per frontiera dell'Impero39. La critica, che processa le azioni pubbliche ed i motivi privati dei Principi, ha imputata all'invidia una condotta, che potrebbe attribuirsi alla prudenza ed alla moderazione di Adriano. Il carattere incostante di questo Imperatore, capace a vicenda e dei più bassi e dei più generosi sentimenti, può dare qualche colore al sospetto. Non poteva egli per altro mettere in luce più luminosa la superiorità del suo predecessore, se non se confessandosi in tal modo incapace di difendere quello che Traiano avea conquistato.

Lo spirito marziale ed ambizioso di Traiano faceva un contrasto molto singolare con la moderazione del suo successore; nè men notevole fu l'inquieta attività di Adriano, ove si paragoni al tranquillo riposo di Antonino Pio. La vita di Adriano fu quasi un viaggio continuo; e siccome possedeva i diversi talenti di soldato, di politico e di letterato, così contentava la sua curiosità, soddisfacendo al suo dovere. Non curando la differenza delle stagioni e dei climi, andava a piedi e a testa nuda sulle nevi della Caledonia, e sulle cocenti pianure dell'Egitto superiore; nè vi fu provincia dell'Impero che nel corso del regno di lui, non fosse onorata dalla presenza del suo Monarca40. Al contrario, Antonino Pio passò la sua vita tranquilla in seno all'Italia; e nel corso di ventitre anni che tenne la pubblica amministrazione, i più lunghi viaggi di questo Principe amabile non si estesero più in là che dal palazzo di Roma al suo ritiro nella villa Lanuvia41.

Non ostante questa differenza nella lor personale condotta, Adriano, e i due Antonini egualmente adottarono, e seguirono uniformemente il sistema generale di Augusto. Essi persisterono nel disegno di mantenere la dignità dell'Impero senza tentare di estenderne i confini. Con ogni onorevole espediente invitarono i Barbari alla loro amicizia, e procurarono di convincere il genere umano, che la romana potenza, superiore alla brama di conquistare, era soltanto animata dall'amore dell'ordine e della giustizia. Per il lungo giro di quarantatre anni un prospero successo coronò le loro virtuose fatiche; e se si eccettuino poche leggiere ostilità, che servirono ad esercitare le legioni delle frontiere, i regni di Adriano e di Antonino Pio presentano il bel prospetto di una pace universale42. Il nome romano era venerato dalle più remote nazioni della Terra. I Barbari più feroci spesso eleggevano l'Imperatore per arbitro delle loro dissensioni; ed uno storico contemporaneo, racconta di aver veduto imbasciatori venuti a richiedere l'onore, che lor fu ricusato, di esser ammessi nel numero dei sudditi43.

1Il Fabbroni, a quanto ne viene scritto da Pisa, non v'ebbe altra parte che nella spesa. Il primo tomo fu volgarizzato dal Gonnella. Gli altri tomi, dal 2 al 10, ebbero il professore Foggi per traduttore. La versione Pisana conduce l'Istoria del Gibbon sino alla disgrazia di Belisario.
2Il traduttore Pisano ha seguito la prima edizione di Londra, che fu poscia riveduta ed accresciuta dall'Autore come egli stesso ne avverte: The History of the Decline and Fall of the Roman Empire is now delivered to the Public in a more convenient form. Some alterations and improvements had presented themselves to my mind ecc. April 20, 1783. Pag. VIII dell'edizione inglese sopra citata.
3Esempj d'imperfezioni. Tomo I.º pag. 3 ediz. ingl. The experience of Augustus added weight to these salutary reflections, and effectually convinced him, that, by the prudent vigour of his counsels, it would be easy to secure every concession, which the safety or the dignity of Rome might require from the most formidable Barbarians. Nella traduzione Pisana manca tutto il segnato in corsivo. Tomo I.º pag. 400 ediz. ingl. Montesquieu, Grandeur et Decadence des Romains. C. VII. He illustrates the nature and use of the censorship with his usual ingenuity and with uncommon precision. Manca tutto il passo. Tomo I.º pag. 444, cap. X ediz. ingl. This singular character has, I believe, been fairly transmitted to us. The reign of his immediate successor was short and busy; and the historians who wrote before the elevation of the family of Constantine, could not have the most remote interest to misrepresent the character of Gallienus. Manca tutto il passo. Tomo II.º pag. 42 ediz. ingl. Though the camel is a heavy beast of burden, the dromedary, who is either of the same or of a kindred species, is used by the natives of Asia and Affrica on all occasions which require celerity. The Arabs affirm, that he will run over as much ground in one day, as their fleetest horses can perform in eight or ten. See Buffon hist. naturelle, t. XI p. 222 and Shaw's Travels, p. 167. Manca tutto il passo. Tomo II.º pag. 303 ediz. ingl. The testimony of Justin, of his own faith and that of his orthodox brethren, in the doctrine of a Millenium, is delivered in the clearest and most solemn manner (Dialog cum Tryphonte Jud. p. 177, 178, edit. Benedictin.). If in the beginning of this important passage there is any thing like an inconsistency, we may impute it, as we think proper, either to the author or to his transcribers. Manca tutto il passo. Esempj di mutazioni e riforme. Tomo I.º pag. 78 ediz. ingl. The spirit of improvement had passed the Alps, and been felt even in the woods of Britain, which were gradually cleared away to open a free space, for convenient and elegant habitations. York was the seat of governement; London was already enriched by commerce; and Bath was celebrated for the salutary effects of his medicinal waters. Traduzione Pisana. Lo spirito di miglioramento avea passato le alpi, e si sentiva ancora nei boschi della Britannia. York era la sede del Governo, e già Londra si arricchiva col commercio. Detta Traduzione emendata. Tomo I.º pag. 86. Lo spirito di miglioramento avea passato le alpi, e si sentiva perfino nei boschi della Britannia, che a poco a poco venivano scomparendo per dar luogo a comode ed eleganti abitazioni. York era la sede del Governo, Londra già si arricchiva col commercio, e Bath era celebre pel salutare effetto delle medicinali sue acque. Tomo I.º pag. 411 ediz. ingl. The consciousness of his decline engaged him to share the throne with a younger and more active associate: the emergency of the times demanded a general no less than a prince; and the experience of the Roman censor might have directed him where to bestow the Imperial purple, as the reward of military merit. But instead of making a judicious choice, which would have confirmed his reign and endeared his memory, Valerian, consulting only the dictates of affection or vanity, immediately invested with the supreme honours his son Gallienus, a youth whose effeminate vices had been hitherto concealed by the oscurity of a private station. The joint governement of the father and the son subsisted about seven, and the sole administration of Gallienus continued about eight years. But the whole period was one uninterrupted series of confusion and calamity. Traduzione Pisana. Forse le circostanze dei tempi richiedevano i talenti di un soldato, non meno che la virtù di un Censore: ma l'intero regno di Valeriano, che insieme con quel di Gallieno suo figliuolo, collega e successore, durò quindici anni, fu una continua serie di confusione e di calamità. Detta Traduzione emendata. La conoscenza del suo declinare lo trasse a dividere il trono con un più giovine e più attivo collega: le necessità de' tempi chiedevano un Generale non meno che un Principe; e la sperienza del romano Censore avrebbe dovuto guidarlo nel conferire la porpora imperiale a chi la maritasse, qual ricompensa di guerriere virtù. Ma in cambio di fare una giudiziosa scelta, che avrebbe assodato il suo regno e fatto amare la sua memoria, Valeriano, non consultando che i dettami dell'affetto o della vanità, immediatamente investì de' supremi onori il suo figliuolo Gallieno, giovane i cui effeminati vizj erano fino allora rimasti ascosi dall'oscurità di una condizione privata. Il governo congiunto del padre e del figlio durò circa sette anni, e l'amministrazione sola di Gallieno continuò circa ott'anni. Ma tutto quel periodo di tempo fu una serie non interrotta di confusione e di calamità. Tomo I.º pag. 443 ed. ingl. But as the use of irony may seem unworthy of the gravity of the Roman mint, M. de Vallemont has deduced from a passage of Trebellius Pollio (Hist. Aug. p. 198) an ingenious and natural solution. Galliena was first cousin to the emperor. By delivering Africa from the usurper Celsus, she deserved the title of Auguste. On a medal in the French King's collection, we read a similar inscription of Faustina Augusta round the head of Marcus Aurelius. With regard to the Ubique Pax, it is easily explained by the vanity of Gallienus, who seized, perhaps, the occasion of some momentary calm. See Nouvelles de la République des Lettres, Janvier 1700, p. 21-34. Traduzione Pisana. Ma siccome l'ironia sembra indegna della gravità della moneta romana, perciò il sig. di Vallemont da un passo di Trebellio Pollione, (Stor. Aug.) deduce il contrario. Detta Traduzione emendata. Ma siccome l'uso dell'ironia sembra indegno della gravità della moneta romana, il sig. di Vallemont da un passo di Trebellio Pollione (Stor. Aug.) ha dedotto una spiegazione ingegnosa e naturale. Galliena era cugina prima dell'Imperatore. Avendo liberato l'Affrica dall'usurpatore Celso, ella meritossi il titolo di Augusta. Sopra una medaglia esistente nella raccolta del gabinetto del Re (di Francia), si legge una iscrizione simile di Faustina Augusta intorno alla testa di Marco Aurelio. Quanto all'Ubique Pax, si spiega facilmente colla vanità di Gallieno, il quale forse avrà colto l'occasione di qualche momentanea calma. Vedi Nouvelles de la République des Lettres. Gennaio 1700, pag. 21-34. Esempj di errori. Tomo I.º pag. 299 ed. ingl. And his wanton and ill-timed (INTEMPESTIVA) cruelty. Trad. Pisana. E la sua sfrenata e mal temuta crudeltà. Tomo I.º pag. 329 ed. ingl. The aera of Seleucus appears as late as (COMPARISCE FINO A) the year 508, of Christ 196, on the medals of the Greek cities. Trad. Pisana. L'era di Seleuco par che combini con l'anno 508 di Cristo 196 sulle medaglie delle città greche, ec. Tomo I.º pag. 403 ed. ingl. The high-spirited (MAGNANIMI) barbarians preferred death to slavery. Trad. Pisana. Gli altri Barbari preferirono la morte alla schiavitù. Tomo I.º pag. 442 ed. ingl. A useful (UTILE) commander. Trad. Pisana. un inutile comandante. Tomo II.º pag. 40 ed. ingl. robbers, who watched the moment of surprise, and eluded (DELUDEVANO) the slow pursuit of the legions. Trad. Pisana. ladri, i quali aspettavan il momento della sorpresa, e determinavano la direzione delle legioni che lentamente li seguitavano. Tomo II.º pag. 75 ed. ingl. He must secretely (SECRETAMENTE) have despised. Trad. Pisana. Nè deve in seguito avere disprezzata. Tomo II.º pag. 164 ed. ingl. This strange contradiction (CONTRADDIZIONE) puzzles the commentators, who think (PENSANO); and the translators who can write. Trad. Pisana. Questa strana espressione imbroglia i commentatori che spiegano, ed i traduttori che possono scrivere. Tomo II.º pag. 196 ed. ingl. Expected, without (SENZA) impatience. Trad. Pisana. Attendeva con impazienza. Non si allegano che questi pochissimi esempj di mancanze, di mutazioni e di errori, esempj tratti unicamente dal tomo 1.º e dal 2.º Si può tuttavia per essi argomentare l'importanza delle nuove correzioni che ascendono a più centinaia. Vi hanno pure nella Traduzione Pisana alcuni passi in cui si fa tenere all'Autore un linguaggio affatto diverso dal suo. Esempio. Tomo I.º pag. 76. The second must strike every modern traveller (Il secondo dee colpire ogni viaggiatore moderno.). Trad. Pisana. Il secondo deve perdonarsi ad uno scrittore inglese. Aggiungasi a tutto ciò le riguardevoli mutilazioni che disfigurano quella traduzione, come può vedersi nel Capitolo XVI.
4Esempio di rifacimento. Tomo I.º principio del capitolo III. The obvious definition of a monarchy seems to be that of a state, in which a single person, by whatsoever name he may be distinguished, is entrusted with the execution of the law, the management of the revenue, and the command of the army. But, unless public liberty is protected by intrepid and vigilant guardians, the authority of so formidable a magistrate will soon degenerate into despotism. The influence of the clergy, in an age of superstition might be usefully employed to assert the rights of mankind; but so intimate is the connexion between the throne and the altar, that the banner of the church has very seldom been seen on the side of the people. A martial nobility and stubborn commons, possessed of arms, tenacious of property, and collected into costitutional assemblies, forms the only balance capable of preserving a free constitution against enterprises of an aspiring prince. Traduzione Pisana. Una Monarchia secondo la generale definizione è uno Stato, in cui ad una sola persona, venga questa con qualsisia nome distinta, si affida l'esecuzione delle leggi, la direzione dell'entrate, ed il comando dell'armi. Ma se la pubblica libertà non è protetta da intrepidi e vigilanti custodi, l'autorità di un magistrato così formidabile presto degenera in dispotismo. In un secolo di superstizione, il genere umano per assicurare i suoi diritti avrebbe potuto servirsi dell'influenza del clero: ma il trono e l'altare son tanto connessi, che raramente lo stendardo della Chiesa si è visto alla testa del Popolo. Una nobiltà guerriera e un popolo inflessibile padrone delle armi, tenace del diritto di proprietà, e raccolto in regolari adunanze formano la sola barriera, che possa continuamente resistere agli attacchi perpetui di un Principe ambizioso. Detta Traduzione emendata. Una Monarchia, secondo la definizione che più facile presentasi, è uno Stato, in cui ad una sola persona, venga questa con qualsisia nome distinta, si affida l'esecuzione delle leggi, il governo dell'entrate, ed il comando dell'armi. Ma se la pubblica libertà non è protetta da intrepidi e vigilanti custodi, l'autorità di un magistrato così formidabile tralignerà in dispotismo fra breve. In un secolo di superstizione l'influenza del clero potrebbe utilmente servire a sicurare i diritti del genere umano: ma il trono e l'altare sono sì strettamente connessi, che di rado lo stendardo della Chiesa si è veduto a sventolare dal lato del Popolo. Una nobiltà guerriera ed un popolo inflessibile, padrone dell'armi, tenace del diritto di proprietà, e raccolto in adunanze secondo la legge, formano il solo contrappeso atto a sostenere una costituzione libera contro le usurpazioni di un Principe ambizioso.
5Car je rechercherai toujours la verité, quoique je n'aye guères trouvé jusqu'ici que la vraisemblance. Memorie di Gibbon scritte da esso. NB. Sono costretto a citare la traduzione francese di queste Memorie, non avendo potuto procurarmene l'edizione inglese.
6Car je n'ai ni gloire ni honte à recueillir de mes ancêtres. Ivi.
7Les traductions anglaises de Bossuet évêque de Meaux, l'exposition de la doctrine catholique, et l'histoire des variations des Protestants, achevèrent ma conversion: et certes, je fus renversé par un noble adversaire. Ivi.
8Je n'ai point à rougir que mon esprit si tendre encore se soit embarassé dans les pièges sophistiques dont n'ont pu se defendre les entendemens subtils et vigoureux d'un Chillingworth et d'un Bayle, qui de la superstition se sont élevés ensuite au scepticisme. Ivi.
9Gibbon dice altrove che non permuterebbe l'invincibil suo amore per la lettura, con tutti i tesori dell'India.
10Je la vis et j'amai. Je la trouvai sans pédanterie, animée dans la conversation, pure dans ses sentimens, et élégante dans les manières. La première et soudaine émotion se fortifia par l'habitude et le rapprochement d'une connaissance plus familière. Elle me permit de lui faire deux ou trois visites chez son père. J'ai passé quelques jours heureux dans les montagnes de Franche-Comté. Ses parens encouragèrent honorablement ma recherche. Dans le calme de la retraite, les légères vanités de la jeunesse n'agitant plus son coeur distrait, elle prêta l'oreille à la voix de la vérité et de la passion; et je puis me flatter de l'espérance d'avoir fait quelque impression sur un coeur vertueux. A Crassi, a Lausanne, je me livrai à l'illusion du bonheur: mais, à mon retour en Angleterre, je découvris bientôt que mon pêre ne voudrait jamais consentir à cette alliance, et que, sans son consentement, je serais abandonné et sans espérance. Après un combat pénible, je cédai à ma destinée. Je soupirai comme amant, j'obéis comme fils. Insensiblement, le tems, l'absence et l'habitude d'une nouvelle vie guérirent ma blessure. Ma guérison fut accélêrée par un rapport fidèle de la tranquillité et de la gaieté de la demoiselle elle même; et mon amour se convertit peu-à-peu en amitié et en estime. Ivi.
11Tout considéré, je puis appliquer au premier fruit de ma plume, les paroles d'un artiste bien supérieur, passant en revue les premières productions de son pinceau. Après avoir examiné quelques portraits qu'il avait peint dans sa jeunesse, mon ami, Sir Josué Raynolds, convint avec moi, qu'il était plus humilié que flatté de la comparaison avec ses ouvrages actuels; et qu'après tant de tems et d'application, il s'était imaginé que ses progrès étaient beaucoup au-dessus de ce qu'il reconnaissait qu'ils etaient en effet. Ivi.
12C'est à Rome, un 15 octobre 1764, que rêvant, assis au milieu des ruines du capitôle, pendant que nus-pieds les moines chantaient vêpres dans le temple de Jupiter, l'idée de tracer le déclin, et la chûte de cette ville, vint pour la première fois se saisir de mon esprit. Mais mon plan était borné d'abord à la decadence de la capitale plutôt qu'à celle de l'Empire; et quoique mes lectures et mes réflexions commençassent à se diriger vers cet objet, quelques années s'ecoulèrent, et bien des diversions survinrent, avant de m'engager sérieusement dans l'exécution de ce laborieux ouvrage.
13Edimbourg, le 18 mars 1776. Mon cher Monsieur, pendant que je suis encore à dévorer avec autant d'avidité que d'impatience votre volume historique, je ne puis résister au besoin de laisser percer quelque chose de cette impatience, en vous remerciant de votre agréable présent, et vous exprimant la satisfaction que votre ouvrage m'a fait éprouver. Soit que je considère la dignité de votre style, la profondeur de votre sujet, on l'étendue de votre savoir, votre livre me parait également digne d'estime; et j'avoue que si je n'avais pas déjà joui du bonheur de votre connaissance personelle, un tel ouvrage dans notre siècle, de la part d'un Anglais, m'aurait donné quelque surprise. Vous pouvez en rire; mais comme il me parait que vos compatriotes se sont livrés à-peu-près pour une génération entière, à une faction barbare et absurde, et ont totalement négligé tous les beaux arts, je ne m'attendais plus de leur part à aucune production estimable. Je suis sûr que vous aurez du plaisir comme j'en ai moi même à apprendre que tous les hommes de lettres de cette ville, se reunissent à admirer votre ouvrage et à désirer sa continuation avec sollicitude. Quand j'entendis parler de votre entreprise, il y a déjà quelque tems, j'avoue que je fus un peu curieux de voir comment vous vous tireriez du sujet de vos deux derniers chapitres (XV e XVI). Je trouve que vous avez observé un tempérament très prudent, mais il était impossible de traiter ce sujet de manière à ne pas donner prise à des soupçons contre vous, et vous devez vous attendre que des clameurs s'élèveront. Si quelque chose peut retarder votre succès auprès du public, c'est cela; car à tout autre égard, votre ouvrage est fait pour réussir généralement. Mais parmi beaucoup d'autres signes de décadence, la superstition, qui prevaut en Angleterre, annonce la chûte de la philosophie et la perte du goût, et quoique personne ne soit plus capable de les faire revivre que vous, vous aurez probablement à votre début des combats à livrer. Je vois, ecc. ecc. David Hume. Ivi.
14Gibbonus adversarios cum in, tum extra patriam nactus est, quia propagationem religionis christianae, non, ut vulgo fieri solet, aut more theologorum, sed ut historicum et philosophum decet, exposuerat.
15L'ouvrage de Burke est le remède le plus admirable contre la contagion française qui a fait trop de progrès, même dans cet heureux pays. J'admire son éloquence, j'approuve sa politique, j'adore sa chevalerie, et il n'y a pas jusqu'à sa superstition que je lui passe. L'église primitive, que j'ai traitée avec un peu de liberté, fût elle-même à sa naissance une innovation, et je tenais à la vieille machine du paganisme. Lettere di Gibbon, Traduzione francese.
16Vedasi Dione Cassio l. LIV p. 736 con le note di Reymar. Dal marmo di Ancira, sul quale Augusto aveva fatto scolpire le sue vittorie, si ricava che questo imperatore costrinse i Parti a render le insegne di Crasso.
17Strabone l. XVI pag. 780; Plinio Stor. Nat. l. VI c. 32, 35, e Dione Cassio l. LIII p. 723, e l. LIV p. 734 ci hanno lasciato molte curiose particolarità intorno a queste guerre. I Romani s'impadronirono di Mariaba o Merab, città dell'Arabia Felice, ben conosciuta dagli Orientali (v. Abulfeda, e la Geografia della Nubia p. 52). Essi penetrarono, dopo una marcia di tre giorni, sino al paese che produce gli aromati, principale oggetto della loro invasione.
18Per la strage di Varo e delle sue tre legioni (v. il primo libro degli Annali di Tacito, Svetonio vita d'Augusto c. 23, e Vell. Paterc. l. II c. 117 ec.). Augusto non ricevè la nuova di questa disfatta con tutta la moderazione e costanza, che si dovea naturalmente aspettare dal suo carattere.
19Tacit. Annal. l. II Dione Cassio l. LVI p. 833 e il discorso di Augusto stesso nella Satira dei Cesari. Quest'ultima opera è molto illustrata dalle dotte note del suo traduttor francese Spanheim.
20Germanico, Svetonio, Paolino ed Agricola furon traversati e richiamati nel corso delle loro vittorie. Corbulone fu messo a morte. Il merito militare, dice mirabilmente Tacito, era, nel più stretto senso del vocabolo, imperatoria virtus.
21Cesare non allega quest'ignobil motivo, ma Svetonio ne fa menzione, c. 47. Del resto le perle della Britannia ebbero poco valore pel colorito livido e cupo. Osserva Tacito che n'era questo un difetto inerente. Vita d'Agric. c. 12. Ego facilius crediderim naturam margaritis deesse, quam nobis avaritiam.
22Sotto i regni di Claudio, di Nerone e di Domiziano. Pomponio Mela, che scriveva sotto il primo di questi Principi, spera, lib. III c. 6, che col prospero successo delle armi romane, l'isola ed i suoi selvaggi abitanti saranno ben presto meglio conosciuti. È cosa molto divertente il legger ora simili passi in mezzo di Londra.
23Vedasi il mirabile compendio che Tacito ne ha dato nella vita di Agricola. Questo soggetto è ben lungi dall'essere esaurito, non ostante le ricerche dei nostri dotti antiquarj Camden ed Horsley.
24Gli Scrittori irlandesi, gelosi della gloria della lor patria, sono sommamente irritati su questo articolo contro Tacito ed Agricola.
25Ved. Britannia Romana di Horsley l. 1 c. 10.
26Il poeta Bucanano celebra con molto spirito ed eleganza (ved. le sue Selve V.) la libertà di cui han sempre goduto gli antichi Scozzesi. Ma se la sola asserzione di Riccardo di Cirencester basta per creare una provincia romana (Vespasiana) a settentrione di quella muraglia, questa indipendenza si trova ristretta da confini molto angusti.
27Ved. Appiano in proem. e le uniformi descrizioni dei poemi di Ossian, i quali, in qualunque ipotesi, furon composti da un natio della Caledonia.
28Ved. il Panegirico di Plinio, che sembra appoggiato a fatti.
29Dione Cassio l. LXVII.
30Erodoto l. IV c. 94. Giuliano nei Cesari, con le osservazioni di Spanheim.
31Plinio epist. VIII 9.
32Dione Cassio l. LXVIII p. 1123, 1131, Giuliano in Caesaribus; Eutropio VIII 2 6. Aurelio Vittore in Epitom.
33Ved. una memoria di M. d'Anville sopra la provincia della Dacia nella Raccolta dell'Accademia delle iscrizioni Tom. XXVIII p. 444, 458.
34I sentimenti di Traiano sono rappresentati al vivo e graziosamente nei Cesari dell'Imperator Giuliano.
35Eutropio e Sesto Rufo han voluto perpetuare questa illusione. Vedasi una dissertazione molto ingegnosa di M. Freret nelle memorie dell'Accademia delle iscrizioni Tom. XXI p. 55.
36Dione Cassio, l. LXVIII e i Compendiatori.
37Ovid. Fast. l. II vers. 667. Ved. Tito Liv. e Dionigi d'Alicarnasso nel regno di Tarquinio.
38S. Agostino si compiace molto nel riportare questa prova della debolezza del Dio Termine e della vanità degli augurj. Ved. de Civitate Dei IV 29.
39Ved. la Storia August. p. 5, la Cronica di S. Girolamo e tutte le epitomi. È ben singolare che questo memorabile avvenimento sia stato omesso da Dione, o per dir meglio da Sifilino.
40Dione l. LXIX p. 1158 Stor. August. p. 5. 8. Se tutte le opere degli storici fosser perdute, le medaglie, le iscrizioni e gli altri monumenti di questo secolo basterebbero per farci conoscere i viaggi di Adriano.
41Ved. la Stor. August. e le epitomi.
42Non bisogna per altro scordarsi, che sotto il regno di Adriano il fanatismo armò gli Ebrei, e suscitò una violenta ribellione in una provincia dell'Impero. Pausania l. VIII c. 43 parla di due guerre necessarie terminate felicemente dai Generali di Antonino Pio; una con i Mori erranti, i quali furon cacciati nei deserti del monte Atlante; l'altra contro i Briganti della Britannia, che avevano invasa la provincia romana. La storia Aug. fa menzione, p. 19 di queste due guerre, e di molte altre ostilità.
43Appiano di Alessandria nella prefazione della sua Storia delle Guerre Romane.
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