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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11
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CAPITOLO LIV

Origine, e dottrina dei Paoliziani. Persecuzioni che soffersero dagli imperatori greci. Loro ribellione in Armenia ec. Migrazione nella Tracia. Dottrina de' medesimi propagata in Occidente. Germi, caratteri e conseguenza della Riforma.

Il Cristianesimo avea presa l'indole delle nazioni presso le quali a mano a mano allignò. I nativi della Sorìa e dell'Egitto all'indolenza di una divozione contemplativa si abbandonavano: Roma cristiana volea tuttavia governar l'Universo; mentre, discussioni di teologia metafisica, occupavano lo spirito e la loquacità de' popoli della Grecia. In vece di adorar silenziosi gl'incomprensibili misteri della Trinità, o della Incarnazione, si diedero ad agitare con calore sottili controversie che dilatarono la loro Fede, a scapito forse della carità, e della ragione1. Incominciando dai giorni del Concilio di Nicea, e venendo sino alla fine del settimo secolo, le guerre spirituali turbarono la pace e l'unità della Chiesa; e tanto operarono sulla decadenza, e la rovina dell'Impero che tale circostanza mi ha anche troppo spesso costretto a tener dietro ai Concilj, ad esaminare i simboli, ad enumerare le Sette di questo burrascoso periodo degli ecclesiastici Annali. Dopo lo incominciamento dell'ottavo secolo, e fino agli ultimi giorni dell'Impero di Costantinopoli, il rumore delle controversie si fece udir più di rado. Sazia era la curiosità, stanco lo zelo, e i decreti di sei Concilj aveano immutabilmente determinati gli articoli del Simbolo cattolico. Lo spirito della disputa, comunque frivolo e pernicioso esser si possa, abbisogna almeno di una certa energia, e tiene operose alcune facoltà intellettuali; ma i Greci avviliti si contentavano, in que' giorni, di digiunare, di orare, e di obbedir ciecamente al loro Patriarca, e al loro clero. La Vergine, e i Santi, le reliquie e le immagini, i miracoli e le visioni, divennero il solo argomento delle prediche de' frati e della divozione del popolo; e sotto nome di popolo possiamo qui senza ingiustizia comprendere le classi primarie della società. Gl'Imperatori della Isaurica dinastia che si accinsero a scotere da questo letargo i loro sudditi, scelsero cattivo istante, e temperamenti aspri anzi che no; e se anche la ragione fece in quel tempo alcuni proseliti2, molto maggior numero l'interesse, o il timore ne soggiogò: ma l'Oriente difese, o sospirò le sue Immagini un'altra volta, e la loro restaurazione, qual festa trionfale, dell'Ortodossia fu celebrata: in tai giorni di sommessione passiva e uniforme, i Capi della Chiesa si trovarono sciolti dalle molestie, o vogliam dire, privi dei diletti della superstizione. Spariti erano i Pagani; nel silenzio e nella oscurità giaceansi gli Ebrei: le dispute coi Latini, divenute meno frequenti, si riduceano a lontane ostilità contra un nazionale nemico, intanto che le Sette dell'Egitto, e della Sorìa godevano i vantaggi della tolleranza all'ombra dell'arabo califfato3. Verso la metà del settimo secolo, la tirannide spirituale elesse a vittime i Paoliziani4, la dottrina de' quali è un ramo di Manicheismo; e ridotta a stremo la loro pazienza, e spinti alla disperazione che li fece ribelli, si sparsero nell'Occidente, ove per ogni banda i germi della Riforma diffusero. Siami permesso, attesa l'importanza di tali avvenimenti, l'entrare in alcune particolarità sulle dottrine e la storia de' Paoliziani5; e poichè questi non sono in istato più di difendersi, mi sia parimente lecito, per servire alla imparzialità, e alla buona fede, il mettere in aperto tutto il bene, l'attenuare il male che gli avversarj loro ne dissero.

I Gnostici che turbata aveano l'infanzia del Cristianesimo, soggiacquero finalmente al peso della potenza e della autorità della Chiesa. Lungi dal pareggiare, o superare i cattolici in ricchezze, sapere, e numero, i deboli partigiani che conservava ancor questa Setta, scacciati dalle Capitali dell'Oriente, e dell'Occidente, confinati vennero ne' villaggi e per mezzo ai monti situati presso l'Eufrate. Il quinto secolo ne offre alcune vestigia di Marcioniti6, ma tutti i settarj furono compresi per ultimo sotto la sola denominazione di Manichei; eretici che essendosi attentati a voler conciliare le dottrine di Zoroastro, e di Cristo, da entrambe le Religioni una persecuzione del pari accanita patirono. Durante il regno del pronipote di Eraclio, ne' dintorni di Samosato, più celebre per essere stata patria di Luciano, che per l'onore di aver dato il suo nome ad un regno della Sorìa, apparve un riformatore, che i suoi discepoli, i Paoliziani, considerarono bentosto qual missionario eletto dal cielo per annunziare la verità, e degno della confidenza degli uomini. Cotesto riformatore, di nome Costantino, avea ricettato nella sua modesta abitazione di Mananali un diacono che ritornava dalla Sorìa, ov'era stato prigioniero; e ne ebbe in dono il Nuovo Testamento, dono tanto più da apprezzarsi che riguardi prudenziali del clero greco, e forse anche de' gnostici Sacerdoti, già nascondeano con grande cura agli occhi de' volgari questi volumi7. A tale lettura si limitarono gli studj di Costantino che ne fece regola di sua credenza; e gli stessi Cattolici, comunque impugnino le interpretazioni da esso date alle sacre carte, non gli negano di avere citati i testi nella loro purezza ed autenticità. Ma le cose, alle quali in siffatto studio volse l'animo più intensamente, furono gli scritti, e gli atti della vita di S. Paolo. I nemici della setta de' Paoliziani fondata dal ridetto Costantino, fanno derivare il nome della medesima, da qualcuno degli oscuri uomini che la predicarono; ma ho per fermo che tal nome i Paoliziani assumessero, come gloriosa testimonianza della loro divozione all'Appostolo dei Gentili. Costantino e i suoi alunni rappresentavano, diceano essi, Tito, Timoteo, Silvano, Tichico, primi discepoli di S. Paolo, e imposero alle Congregazioni che nell'Armenia, e nella Cappadocia instituirono, i nomi delle chiese edificate dagli Appostoli; innocente allusione che riaccese la ricordanza e l'esempio delle prime età della Chiesa. Questo fedele discepolo di S. Paolo, così nelle Epistole di esso come nell'Evangelio, si fe' a rintracciare il Simbolo de' primi cristiani; e qualunque sia stato il frutto di tali indagini, ogni protestante applaudirà, se non altro, alla intenzione che le suggerì. Ma se il testo delle Scritture seguìto dai Paoliziani avea il pregio di essere puro, altrettanto intero non potea dirsi. I lor primi dottori non ammettevano le due Epistole di S. Pietro, riguardandolo come l'appostolo della Circoncisione8, e accusandolo di avere difesa contra il loro appostolo favorito l'osservanza della legge mosaica.9 Pari ai Gnostici disprezzavano tutti i libri dell'Antico Testamento, senza por mente che quelli di Mosè e de' Profeti erano stati consacrati dai decreti della Chiesa cattolica. Con non minore ardimento, e senza dubbio, con maggior ragione, Costantino, il nuovo Silvano, rigettava quelle visioni cui pubblicarono in sì pomposi, ed enormi volumi le Sette orientali; que' favolosi componimenti10 de' Patriarchi ebrei, e de' saggi dell'oriente, quegli Evangelj, quelle epistole, e quegli atti supposti, sotto de' quali nel primo secolo della chiesa, il codice ortodosso andava sepolto; nè facea grazia alla teologia di Manete, nè alle eresie che a questa si riferivano, nè alle trenta classi di Eoni, dalla fertile immaginazione di Valentino creati. I Paoliziani riprovavano con tutta sincerità la memoria, e le opinioni de' Manichei: onde doleansi della ingiustizia de' loro avversarj, nell'attribuire una sì lodevole denominazione ai discepoli di S. Paolo, e di Gesù Cristo.

 

I Capi de' Paoliziani rompendo molte anella della catena ecclesiastica, si erano fatti più liberi col ridurre a meno il numero de' padroni che la profana ragione alla voce de' misteri e de' miracoli sottomettevano. La setta de' Gnostici era nata prima che si professasse pubblicamente il culto cattolico, e, oltre al silenzio di S. Paolo, e degli Evangelisti, la consuetudine e l'odio preservarono i Paoliziani dalle innovazioni, che, a poco a poco, nella disciplina, e nella dottrina della Chiesa allignarono11. Essi pensavano veder sotto forma verace quegli oggetti, che, in lor sentenza, la sola superstizione aveva disfigurati. In una immagine che diceasi scesa dal cielo, essi non iscorgeano se non se il lavoro di un uomo, il cui solo ingegno potea dar valore al legno, o alla tela che egli avea posta in opera; nelle reliquie miracolose, ossa e ceneri inanimate, prive di virtù, e forse non mai appartenute alla persona cui venivano attribuite; la vera croce, l'albero della vita, non era, ad avviso loro, che un pezzo, o sano, o guasto, di legno; il corpo, e il sangue di Gesù Cristo, un minuzzolo di pane, e una tazza di vino12, dono della natura, e simbolo della Grazia. Essi toglievano alla madre di Dio i suoi celesti onori, la sua immacolata verginità13, nè davano ai Santi, o agli angeli l'incarico di farsi mediatori per essi nel cielo, o di soccorrerli sulla Terra. Nella amministrazione de' Sacramenti voleano aboliti gli oggetti visibili di culto, e le parole del Vangelo, secondo essi, non additavano che il battesimo e la comunione de' fedeli. Liberissimi nell'interpretare le scritture, ogni qualvolta il significato letterale impacciavali, si rifuggivano ne' labirinti delle figure e dell'allegoria. Molta cura dimostrarono di infrangere i vincoli posti fra l'Antico, e il Nuovo Testamento14, e riguardando il secondo come la raccolta degli oracoli di Dio, abborrivano il primo, divulgandolo invenzion favolosa ed assurda degli uomini, o dei demonj. Non può recarne maraviglia che essi scorgessero nel Vangelo, il mistero ortodosso della Trinità; ma invece di confessare la natura umana, e i patimenti reali di Gesù Cristo, la costoro immaginazione si dilettava creargli un corpo celeste che si fosse fatto strada per quel della Vergine, siccome l'acqua attraversa un condotto. Un fantoccio sostituito al Redentore sopra una croce, giusta l'opinione di questi settarj, mandò a vuoto il furor degli Ebrei. Un simbolo di tal natura non conveniva nè meno allo spirito ne' tempi d'allora15, e que' medesimi fra i Cristiani che lamentavano non essere le dottrine religiose ristrette al mite giogo imposto da Gesù Cristo e da' suoi Appostoli, giustamente si offesero che i Paoliziani osassero violare l'unità di Dio, primo articolo della Religion naturale e della Religion rivelata. Perchè comunque i Paoliziani credessero con fiducia e speranza il Padre, il Cristo, l'anima umana e il mondo invisibile, supponeano ad un tempo l'eternità della materia, sostanza ostinata e ribelle, origine di un secondo Principio, di un ente operante, creatore del mondo visibile, e che userà della sua possanza temporale, fino alla consumazione definitiva della morte e del peccato16. L'esistenza del mal morale, e del male fisico, avea introdotti questi due principj nella filosofia, e nelle religioni antiche dell'Oriente, d'onde una tale dottrina fra le varie Sette de' Gnostici s'era diffusa. Vennero intorno ad Arimane ideate tante opinioni diverse, quante gradazioni è lecito il fantasticare, fra la natura di un dio rivale dell'altro, e quella di un demonio subordinato; fra l'indole di un ente vinto dalla passione, o dalla fragilità, e quella di un ente per propria essenza malvagio; ma a malgrado d'ogni umano sforzo, la bontà e la potenza di Ormuzd, trovavansi alla contraria estremità della linea, e quanto avvicinavasi all'uno de' due enti, dovea scostarsi dall'altro nelle proporzioni medesime17.

 

Le fatiche appostoliche18 di Costantino Silvano gli moltiplicarono ben tosto i discepoli, segreto compenso alla sua spirituale ambizione. Sotto lo stendardo di lui si raccolsero gli avanzi delle Sette gnostiche, e principalmente i Manichei dell'Armenia. Convertì, o sedusse co' suoi argomenti molti Cattolici, e predicò con buon successo nelle contrade del Ponto19 e della Cappadocia, da lungo tempo imbevutesi della religione di Zoroastro. I dottori Paoliziani, paghi di un soprannome tratto dalle Scritture, e del titolo modesto di compagni di pellegrinaggio, distinti per austerità di costumi, per zelo o sapere, ed anche per la fama che godevano di avere ricevuti i doni dello Spirito Santo, ma incapaci di desiderare e di ottenere le ricchezze e gli onori dei prelati ortodossi, ne censuravano amaramente le anticristiane vanità, riprovando persino la denominazione di anziani, o di sacerdoti, come istituzione della Sinagoga. La nuova Setta si dilatò grandemente nelle province dell'Asia Minore, situate al levante dell'Eufrate. Sei principali Congregazioni della medesima rappresentavano le chiese alle quali S. Paolo indiritte avea le sue epistole. Silvano pose la sua dimora nei dintorni di Colonia20, in quella parte del Ponto che rendettero parimente famosa gli altari di Bellona21 e i miracoli di S. Gregorio2223. Qui venne fuggendo il governo tollerante degli Arabi e qui, dopo ventisette anni di predicazione, perì vittima della persecuzione de' Romani. Que' devoti imperatori, che di rado aveano proscritte le vite d'altri eretici meno odiosi di questi, condannarono senza misericordia la dottrina, gli scritti e le persone dei Montanisti e de' Manichei. Consegnati alle fiamme i lor libri, chiunque osò conservarne o professare le opinioni che vi si racchiudevano, a ignominiosa morte fu condannato24. Simeone, inviato dall'Imperator greco a Colonia, vi si mostrò armato del poter delle leggi e della forza militare, per atterrare il Pastore, e ricondurre, se possibile era, lo smarrito gregge in seno della Chiesa. Con atto di raffinata crudeltà, dopo aver fatto collocare l'infelice Silvano a capo de' suoi schierati discepoli, comandò a questi di meritarsi il perdono, e di dar prove di pentimento, col trucidare il loro padre spirituale. Non sapendo eglino risolversi a tanta empietà cadeano i sassi dalle lor mani, nè in tutta quella banda vi fu che un solo carnefice, o secondo il dire de' fanatici, un nuovo David che rovesciò il gigante dell'eresia. Questo apostata nomavasi Giusto, il quale ingannò una seconda volta, e tradì i suoi malaccorti fratelli. L'inviato dell'Imperatore diè a divedere nella propria persona una nuova conformità cogli atti di S. Paolo: simile all'Appostolo abbracciò la dottrina della quale chiarito erasi persecutore, e, rassegnate dignità e ricchezze, acquistò nella setta de' Paoliziani la gloria di un missionario e di un martire. Generalmente però, i ridetti Settarj non correvano in traccia della corona del martirio25: ma durante un secolo e mezzo di patimenti, soffersero con rassegnazione tutto quanto lo zelo de' lor persecutori seppe immaginare contr'essi; nè gli sforzi della costanza pervennero ad estirpare i germi, difficilissimi entrambi ad essere spenti, i germi del fanatismo, e quelli della ragione. E predicanti, e congregazioni, uscirono per più riprese dal sangue, e dalle ceneri delle prime vittime. Pure in mezzo alle ostilità esterne cui soggiacevano i Paoliziani, trovarono il tempo per abbandonarsi a querele domestiche. Predicarono, disputarono, soffersero; e sin gli storici del Cattolicismo son costretti a far testimonianza sulle virtù, certamente apparenti, che in un intervallo di trentatre anni Sergio diè a divedere26. Un pretesto di religione spronò la crudeltà ingenita di Giustiniano, trattosi nella vana speranza di estinguere con una sola persecuzione il nome e la memoria dei Paoliziani. La semplicità della Fede che professavano i principi Iconoclasti, e la loro avversione alle superstizioni popolari, avrebbero potuto per vero dire renderli più indulgenti sugli errori di alcune dottrine: ma divenuti più indulgenti alle calunnie de' Monaci27 si fecero i tiranni de' Manichei, per tema di venire accusati lor complici. È questa la taccia da cui fu invilita la clemenza di Niceforo nel mitigare a favor de' suddetti eretici il rigore delle leggi penali; nè l'indole conosciuta di questo principe, permette attribuirgli un motivo più generoso. Ardentissimi nel perseguire i Paoliziani mostraronsi e il debole Michele I, e il severo Leone l'Armeno; ma si meritò palma di divozion sanguinaria l'imperatrice Teodora, quella medesima che restituì alle Chiese d'Oriente le Immagini. I suoi messi trascorreano furibondi le città e le montagne dell'Asia Minore, e al dir persin di coloro che adularono questa femmina, durante un brevissimo regno, centomila Paoliziani perirono, quali sotto la mannaia del carnefice, quali strozzati, quali arsi vivi. Forse i delitti e i pregi di questa Sovrana, vennero esagerati del pari; e se il calcolo fosse esatto, vi sarebbe luogo a presumere che molti, unicamente Iconoclasti, segnalati con più odioso nome, fossero stati avvolti nel crudele bando, o che altri de' medesimi, scacciati dalla Chiesa, avessero contro lor voglia cercato un asilo nel seno dell'eresia.

A. D. 845-880

I Settarj di una Religione perseguitata da lungo tempo, se giungono a ribellarsi, sono i più tremendi, e i più pericolosi di tutti i ribelli. Animati da una causa che riguardano come sacra, non danno luogo nè a timor nè a rimorso; il sentimento di una creduta giustizia, indurisce i lor cuori sin contro i moti dell'umanità; pronti a vendicare sui figli de' loro tiranni le ingiurie che i loro padri soffersero. Tali abbiam veduti gli Hussiti della Boemia, e i Calvinisti della Francia, e tali furono nel nono secolo i Paoliziani dell'Armenia, e delle vicine province28. L'uccisione di un Governatore e d'un vescovo, iti fra quelle genti con ordine di convertire o sterminare i ribelli, fu il primo segno della sommossa, e i più interni gioghi del monte Argeo alla libertà e all'odio de' ribellanti offersero asilo. Incendio più vasto e fatale accesero la persecuzione di Teodora, e la diffalta di Carbeas, valoroso Paoliziano che comandava le guardie del general d'Oriente. Il padre di questo Carbeas era stato impalato per ordine degl'inquisitori cattolici: onde la religione, o almen la natura, sembravano autorizzarlo a fuggir lunge da' suoi persecutori, e a voler farne vendetta. Per non dissimili motivi, cinquemila confratelli di Carbeas brandirono l'armi abbiurando ogni spezie di sommissione verso Roma, che chiamavano l'anticristiana; un emiro saracino condusse lo stesso Carbeas dinanzi al Califfo, e il Commendator de' credenti stese lo scettro proteggitore all'implacabile nemico de' Greci; il quale o costrusse, o affortificò nelle montagne situate fra Sivas e Trebisonda, la città di Tefrica29, abitata anche oggi giorno da un popolo feroce e sfrenato; e le colline di que' dintorni, coperte vidersi di fuggiaschi Paoliziani, che in allora si credettero lecito il conciliare l'uso delle armi coi precetti dell'Evangelo. Disastrata l'Asia per ben trent'anni dai flagelli delle guerre esterna ed interna, i discepoli di S. Paolo, si unirono nelle loro correrie a quelli di Maometto; onde tanti pacifici Cristiani, tanti vecchi padri che insieme alle giovinette loro figlie a crudele cattività tratti si videro, dovettero darne fatale merito alla intolleranza de' lor sovrani. Cresciuti a dismisura e i mali, e la vergogna de' Cristiani greci, il figlio di Teodora, il dissoluto Michele si trovò alla necessità di marciare in persona contra i Paoliziani, e sconfitto sotto le mura di Samosato, accadde il vedere l'Imperator de' Romani fuggitivo dinanzi a quegli eretici che la madre di esso al fuoco avea condannati. Comunque i Saracini combattessero coi Paoliziani, l'onore della vittoria fu aggiudicato a Carbeas, nelle cui mani caddero parecchi generali nemici, e più di cento tribuni; parte de' quali fece liberi per avarizia, e un'altra parte, secondando il suo fanatismo, a crudeli tormenti dannò. A Crisocario, successore di Carbeas, il valore e l'ambizione un più vasto campo di rapine e di vendette dischiusero30. Non mai disgiunto dai suoi fedeli confederati i Musulmani, penetrò nel centro dell'Asia, e rotte in più occasioni le truppe poste alle frontiere, e le guardie di palagio, rispose ai bandi di persecuzione promulgati contro di lui, saccheggiando Nicea e Nicomedia, Ancira ed Efeso; nè l'invocato Appostolo S. Giovanni impedì che la città e il sepolcro del Signore31 non fossero profanati. Convertita ad uso di scuderia la Cattedrale di Efeso, i Paoliziani fecero a prova coi Saracini nel mostrare avversione e dileggio alle Immagini, e alle reliquie. Non duole il vedere la ribellione trionfante sul dispotismo32 che disdegnò le querele di un popolo oppresso. Basilio il Macedone fu costretto ad implorare la pace, ad offrire riscatto pei prigionieri, ad usare i termini della moderazione, e della carità, nel pregar Crisocario a risparmiare i Cristiani suoi confratelli, e contentarsi di un sontuoso donativo in oro, argento, e drappi di seta. «Se l'Imperatore brama la pace, rispose questo audace fanatico, rinunzii all'Oriente, e sia pago di regnare in pace sull'Occidente: se a ciò non si presta, verrà balzato dal trono per la mano de' servi di Dio». Contro sua voglia, Basilio sospese ogni negoziazione, e accettata la disfida, condusse l'esercito nelle terre de' Paoliziani mettendole a fuoco e sangue. E per vero dire, finchè si stette nelle pianure, questi eretici soggiacquero ai medesimi mali che aveano fatto soffrire ai sudditi dell'Impero; ma quando l'Imperatore non potè più dubitare della forza di Tefrica, della moltitudine di que' Barbari, d'armi e d'ogni genere di munizioni fornitissimi, rinunziò con dolore ad una parte d'Impero, che non poteva più sostenere. Di ritorno a Costantinopoli, col fondar chiese e conventi, cercò assicurarsi la protezione di S. Michele arcangelo, e del Profeta Elia; nè passava giorno che ei non pregasse il cielo di vivere assai lungamente per trafiggere con tre freccie il capo d'un empio nemico. Fu esaudito anche al di là della espettazione: perchè dopo una correria, incominciata per vero con felici auspizj, Crisocario venne sorpreso ed ucciso nella sua tenda, e il capo di lui fu portato in trionfo a' piedi del trono. Ricevuto appena un sì gradito donativo, Basilio chiese il suo arco, e contro quella testa vibrò tre frecce, in mezzo agli applausi de' cortigiani, che la costui vittoria esaltavano. Con Crisocario si dileguò e perì la gloria dei Paoliziani. Onde nella seconda spedizione che Basilio mosse contra cotesti eretici, abbandonarono l'insuperabile loro Fortezza di Tefrica33; alcuni di essi implorando il perdono del vincitore, altri rifuggendosi agli estremi confini dell'Oriente. La ridetta città non fu d'allora in poi che un mucchio di rovine; ma lo spirito d'independenza si resse per più d'un secolo fra quelle montagne. I Settarj difesero la loro religione e la lor libertà, spesse volte invasero le romane frontiere, e si mantennero in lega co' nemici dell'Impero, e dell'Evangelo.

Costantino, che i partigiani delle Immagini soprannomarono Copronimo, condusse, verso la metà dell'ottavo secolo, le sue soldatesche in Armenia; e nella città di Melitene e di Teodosiopoli trovò molta mano di Paoliziani, seguaci di una dottrina poco diversa da quella ch'ei professava. Laonde rimane indeciso, se per punirli, o per conceder loro un distintivo d'imperiale favore, li trasportasse dalle rive dell'Eufrate a Costantinopoli e nella Tracia, migrazione che introdusse e diffuse la dottrina de' Paoliziani in Europa34. Se quelli fra essi che si stanziarono nella Metropoli non tardarono a confondersi e mansuefarsi col rimanente degli abitanti, gli altri si radicarono co' loro dogmi sui territorj della nuova lor migrazione. I Paoliziani della Tracia, fattisi forti contra le tempeste della persecuzione, apersero segreta corrispondenza coi lor fratelli di Armenia, e largheggiarono di soccorsi agli appostoli della Setta, i quali si condussero, e non indarno, a tentar la fede de' Bulgari, ancora mal salda35. Li crebbe di forza e di numero una poderosa colonia che Giovanni Zimiscè36, nel decimo secolo, dai colli Calibj alle valli del monte Emo fe' trasmigrare; poichè il clero d'Oriente che vedeva vani i suoi voti per una compiuta distruzione de' Manichei, supplicava almeno che costoro venissero allontanati. Il valoroso Zimiscè tenendo in pregio questa popolazione, le cui armi avea già sperimentate, comprese che non potea, senza proprio danno, lasciarla confinante coi Saracini alla medesima collegati, la che col farla cambiare in tale guisa di patria, o gli sarebbe stata utile contro i Barbari della Scizia, o questi Barbari finalmente l'avrebbero annichilata. Ei procurò nullameno di temperare l'asprezza d'un esiglio in terra lontana, concedendole tolleranza di religiose opinioni. Le ridette genti tenendo Filippopoli, la chiave della Tracia, ridussero in lor soggezione i Cattolici di quel paese, e coi migrati Giacobiti serbaronsi in lega. Occupata inoltre una linea di villaggi e castella nella Macedonia e nell'Epiro, trassero nella lor comunione, e sotto le lor bandiere arrolarono una mano di Bulgari ragguardevole. Fin tanto che le tenne in dovere la forza, e vennero non pertanto trattate con moderazione, le loro soldatesche negli eserciti dell'Impero si segnalarono: onde i pussillanimi Greci parlarono con maraviglia, e quasi in tuon di rimprovero del coraggio di questi cani, sempre ardentissimi per la guerra, e avidi d'umano sangue. Tal coraggio medesimo li rendea talvolta ostinati e arroganti, facili a lasciarsi condurre dal capriccio, o dal risentimento, intanto che i loro privilegi venivano di frequente infranti dalle pietose slealtà del clero e dell'imperiale Governo. Fervendo la guerra coi Normanni, duemila e cinquecento di questi Manichei, abbandonate le bandiere di Alessio Comneno37, cercarono di bel nuovo l'antica patria. Altamente sdegnatone l'Imperatore, dissimulò finchè gli venisse il destro della vendetta, poi chiamati ad amichevole parlamento i Capi di questa popolazione, nè sceverando i colpevoli dagli innocenti, la punì tutta quanta con prigionie, confiscazione di beni e battesimo. Questo principe, chiamato dalla devota sua figlia il tredicesimo Appostolo, concepì durante un intervallo di pace il pio divisamento di riconciliare i Manichei colla Chiesa e collo Stato, e posti i campi del verno a Filippopoli, trascorse giornate, e notti intere in teologiche controversie. Per dar forza alle sue ragioni, e vincere l'ostinatezza de' Settarj, compartì onori e ricompense ai più chiari fra suoi proseliti, e quanto ai convertiti di minore importanza assegnò ad essi una nuova città che circondò di giardini, e alla quale impose il proprio nome ornandola di privilegi; e con questa leggiadria li privò della rilevante Fortezza di Filippopoli. I recalcitranti poi vennero confinati nelle carceri, o banditi, e se non perderono la vita, il dovettero alla scaltrezza anzichè alla clemenza d'un Imperatore che avea fatto arder vivo, rimpetto al tempio di S. Sofia, un misero eretico, le cui parti nessuno assumeva38. Ma non andò guari che l'orgogliosa speranza di sradicare le opinioni pregiudicate di un popolo, fu mandata a vuoto dall'invincibile fanatismo de' Paoliziani, stanchi ben presto di fingere, e all'obbedire restii. Poco dopo la partenza e la morte di Alessio, abbracciarono nuovamente le antiche leggi civili, e religiose. Nell'incominciare del secolo decimoterzo, il loro papa e primate occupava le frontiere della Bulgaria, della Croazia e della Dalmazia, governando per via di vicarj le Congregazioni che la Setta avea istituite nella Francia, e nella Italia39. D'indi in poi non sarebbe difficile, a chi vi ponesse attento studio, il seguire fino ai dì nostri la catena non interrotta delle loro tradizioni. Verso il finire dell'ultimo secolo, questa Setta o Colonia abitava tuttavia le valli dell'Emo, vivendo quivi nella ignoranza e nella povertà, e più spesso per parte del Clero greco che dal governo turco soffrendo tribolazioni. I Paoliziani de' giorni nostri hanno perduta ogni ricordanza dell'antica origine e mentre hanno introdotta nel loro culto l'adorazione della Croce, trovasi questo contaminato da diversi sagrifizj di sangue, l'uso de' quali fu portato ai medesimi da alcuni prigionieri venuti dai deserti della Tartaria40.

In Occidente le voci de' primi predicatori manichei, oltre all'essere mal ascoltate dai popoli, vennero soffocate dai principi. Il favore e i buoni successi che i Paoliziani ottennero nell'undicesimo, e nel duodicesimo secolo, vogliono soltanto essere attribuiti ai motivi di scontento segreto, ma non men vigoroso, onde anche diversi fra i migliori Cristiani sentironsi accesi contro la Chiesa di Roma. Tirannica erane41 l'avarizia, odioso il dispotismo; men forse invilita dei Greci da un superstizioso culto attribuito ai Santi e alle Immagini, più rapide e scandalose che non fra questi scorgeansi le innovazioni da essa introdotte. Posta in dogma la transustanziazione42, la credenza ne divenne una rigorosissima legge; più corrotti essendo i costumi de' Preti latini, avrebbe potuto dirsi che i Vescovi dell'Oriente erano i primi successori degli Appostoli a petto di questi poderosi prelati, usi a maneggiare e pastorale e scettro e spada ad un tempo. Tre diverse vie possono avere introdotti i Paoliziani in Europa. Avvi motivo di credere che dopo la conversione dell'Ungheria, que' pellegrini i quali da questo paese a Gerusalemme si conducevano, potessero seguire senza rischio il corso del Danubio: il che essendo, e nella andata, e nel ritorno, toccata avrebbero Filippopoli; e diveniva facile a molti Settarj, ascondendo nome e credenza, il mescolarsi alle carovane francesi e alemanne, e ne' paesi di questo seco loro introdursi. – Venezia estendeva il commercio e la sua dominazione su tutta la costa dell'Adriatico, ed è noto come questa Repubblica ospitaliera ricettasse gli stranieri di qualsisia clima, di qualsisia religione. – I Paoliziani che militavano sotto le bandiere di Bisanzio, ebbero sovente occasione di accampare nelle Province che i Greci Imperatori possedevano nella Sicilia, e poichè, così in tempo di pace come di guerra, conversavano liberamente cogli estranei, e coi nativi del paese, le loro opinioni ebbero campo di tacitamente diffondersi e a mano a mano di pervenire sino a Roma, e a Milano e ne' regni posti di là dall'Alpi43. – Non si tardò molto a scoprire che migliaia di Cattolici d'entrambi i sessi, e di ogni ordine, il Manicheismo aveano abbracciato, e dodici canonici di Orleans condannati alle fiamme, contrassegnarono il primo atto di persecuzione. I Bulgari44 il cui nome, così innocente in origine, è divenuto tanto odioso nelle applicazioni che se ne sono fatte, si dilatarono per tutta l'Europa. Congiunti per comune odio contro l'idolatria e la Corte di Roma, obbedivano ad una specie di Governo episcopale, o presbiteriano; la diversità delle varie Sette consisteva in alcuni punti, più o meno discordanti, della loro scolastica Teologia; ma tutte generalmente convenivano nello ammettere i due Principj, nel disprezzare l'Antico Testamento, nel negare la presenza reale del corpo di Gesù Cristo, sia sulla Croce, sia nel mistero Eucaristico. Gli stessi nemici de' Bulgari confessavano semplice il costoro culto, nè potersi rimproverare ad essi alcuna cosa quanto a purezza di costumi: si proponeano un modello di perfezione tanto sublime, che le loro Congregazioni, il cui numero aumentava ogni giorno, in due classi si dividevano, in quelle che a tal perfezione si conformavano, e in quelle che solamente aspiravano alla medesima. Il Paolizianismo avea poste principalmente profonde radici nel territorio degli Albigesi45, situato nelle province meridionali della Francia; laonde nel secolo XIII, si rinovarono sulle rive del Rodano quelle vicende di persecuzioni, e vendette che dianzi le terre dell'Eufrate avevano offerte. Fattesi rivivere da Federico II le leggi degl'Imperatori di Oriente, i Baroni, e le città della Linguadoca raffigurarono i ribelli di Tefrica; ma la gloria sanguinolenta di Papa Innocenzo III, superò quella della medesima Teodora; e se vi fu perfetta eguaglianza di crudeltà fra i soldati di questa Imperatrice, e gli eroi delle Crociate, la barbarie de' sacerdoti greci venne superata di gran lunga dai fondatori della Inquisizione46, Ordine ben più atto a confermare che a confutar la opinione dell'esistenza di un cattivo Principio. Perseguitate dal ferro e dal fuoco le assemblee pubbliche de' Paoliziani, e degli Albigesi, cessarono affatto, e i miseri resti di queste fazioni si videro costretti a fuggire, a nascondersi, o a procacciarsi una sicurezza col fingere di abbracciare la Fede cattolica. Ma l'invincibile spirito di setta non quindi sparve dall'Occidente: ed una segreta lega di discepoli di S. Paolo, che, protestando contro la tirannide di Roma, prendeano la Bibbia per regola di loro credenza, e dalle visioni della gnostica Teologia aveano liberato il loro simbolo, si perpetuò nello Stato, nella Chiesa, e persino ne' chiostri. Gli sforzi di Wiclef nell'Inghilterra, e di Hus nella Boemia, immaturi furono e scevri di frutto; ma i nomi di Zuinglio, di Lutero e di Calvino vengono pronunziati colla gratitudine dovuta ai liberatori delle nazioni47.

1Abbiamo già detto altrove, e lo ripetiamo, che la Teologia ci dice non essere i misterj del Cristianesimo contrarj alla ragione, ma soltanto superiori alla ragione. Bisogna poi convenire, che la carità, fondamento della parte morale del Cristianesimo, è stata dalle fierissime controversie teologiche non solo violata, ma mutata in odj, in persecuzioni crudeli, in orribili stragi che si rinovarono fra' cristiani per una successione di secoli. (Nota di N. N.)
2La Casa imperiale d'Isauria proscrisse il culto delle Immagini; noi abbiamo già scritto, spiegandolo, una lunga nota al T. IX. (Nota di N. N.)
3Un teologo troverebbe più conveniente il dire, che il Cristianesimo aveva prevalso al Politeismo, ed al Giudaismo, e che le decisioni de' sei primi Concilj generali, sostenute dalla forza dei cattolici imperatori greci, avevano punito severamente, e condannate al silenzio le opinioni erronee, che, nate fra' cristiani stessi, avevano formato moltissime Sette cristiane, e ne vennero reciproche, e crudeli persecuzioni. (Nota di N. N.)
4Potevasi moderare questa forte espressione, e sebbene le persecuzioni che si fecero fra loro i Cristiani ortodossi, ed eterodossi, per le loro contrarie opinioni in Teologia dogmatica sieno state lunghe, feroci, e sanguinose, posto che oggidì i saggi, illuminati Governi, provvidamente più non permettono, per le passate terribili esperienze, che avvengano simili pubblici disastri, potevansi coprire d'un velo i moltissimi fatti storici, che provano a che grado di furiosa crudeltà possa giungere l'entusiasmo, ed il fanatismo de' popoli rozzi, nelle controversie di religione. (Nota di N. N.)
5Il dotto Mosheim coll'imparzialità e buona fede, solite in lui, esamina gli errori e le virtù de' Paoliziani (Hist. eccles. seculum IX, p. 311, ec.) desumendo i fatti da Fozio (contra Manichaeos, l. I), e da Pietro il Siciliano (Hist. Manichaeorum). La prima delle ridette opere non mi è venuta fra le mani: ho letta la seconda, che d'ordinario il Mosheim ha preferita, valendomi di una versione latina inserita nella Maxima Bibliotheca Patrum (t. XVI, p. 754-764), Edizione del Gesuita Radero (Ingolstadt, 1064, in 4).
6Nei giorni di Teodoreto, la diocesi di Cirro nella Sorìa contenea ottocento villaggi; due de' quali abitati dagli Ariani, e dagli Eunomj, otto dai Marcioniti, che quell'operoso vescovo unì alla Chiesa cattolica (Dupin, Biblioth. eccles. t. IV, p. 81, 82).
7Nobis profanis ista (sacra Evangelia) legere non licet, sed sacerdotibus duntaxat; fu questo il primo scrupolo di un cattolico cui veniva consigliato legger la Bibbia (Pietro il Siciliano, p. 761).
8L'opinione de' Paoliziani che ricusavano di ammettere la seconda Epistola di S. Pietro, trova appoggio nell'autorità di alcuni rispettabilissimi scrittori tanto antichi quanto moderni (V. Wetstein, ad loc. Simon, Hist. crit. du Nouveau Testament, c. 17). I Paoliziani ricusavano ancora l'Apocalisse; (Pietro il Sic., p. 736). Dal vedere che i contemporanei non ne apposero ad essi un delitto, potrebbe quasi dedursi che i Greci del nono secolo non facessero gran caso delle rivelazioni.
9Una tale contesa, che alla malignità di Porfirio non isfuggì, suppone errore o passione nell'uno e nell'altro de' due appostoli, o forse anche in entrambi. S. Grisostomo, S. Gerolamo ed Erasmo, la suppongono una lite finta, un pietoso artifizio ideato per istruire i Gentili, e per correggere gli Ebrei (Middleton's Works, vol. II, p. 1-20).
10Chiunque bramasse tutte le particolarità che riguardano i libri eterodossi può consultare le ricerche del Beausobre (Hist. critique du Manichéisme, t. I, p. 305-437). S. Agostino parlando de' libri manichei, che si trovano nell'Affrica dice: Tam multi, tam grandes, tam pretiosi codices (contra Faust., XIII, 14); ma aggiunge poi senza misericordia: incendite omnes illas membranas, e tal consiglio fu rigorosamente seguito.
11La religion cristiana è composta di tre parti: la morale, la dogmatica, la disciplinare: la parte morale è contenuta intera chiaramente, senza bisogno di spiegazioni, e di interpretazioni, in queste parole, scritte nell'Evangelo, nelle quali disse Gesù Cristo consistere tutta la legge, Ama il signore Dio tuo sopra tutte le cose, ed il Prossimo tuo come te stesso; in questi due precetti tutta la legge ed i Profeti stanno. Queste poche parole sono da annoverarsi fra quelle delle quali scrisse, con buon senso, Agostino: Vi sono alcune cose nelle Scritture, le quali richiedono più il semplice uditore che il comentatore. La parte morale intrinsecamente non ha cangiato mai. La parte dogmatica è pure negli Evangelj, ma pel modo ond'è esposta, ha avuto bisogno di spiegazioni, di interpretazioni, ed in conseguenza di queste (le quali furono fatte da scrittori ecclesiastici, ed anche da Concilj generali, cominciando quanto a questi ultimi dall'anno 325, in cui si adunò quello generale di Nicea, e venendo all'anno 381 in cui fu convocato l'altro generale di Costantinopoli, e indi all'anno 400 in cui si convocò quello primo di Toledo soltanto nazionale, o provinciale, e poscia all'anno 1274 in cui si tenne quello generale di Lione) fu scritto, e compiuto il Credo in unum Deum ec., che dicesi nella Messa, e ch'è la formula della credenza de' cattolici. Non si può sostenere, che sieno state fatte veramente innovazioni nella parte dogmatica; era questa già contenuta negli Evangelj, non vi fu bisogno, che d'interpretarla, dilucidarla, e scriverla in una formula da presentarsi a' Cristiani, perchè da essi dovesse esser creduta. Ecco ciò che fecero molti Concilj in differenti secoli, secondo, che porgevasi l'occasione di decidere controversie, che spesso sorgevano, e che le une dalle altre nascevano intorno ai dogmi. Per esempio (pigliando la prima, e principal controversia) sta scritto nell'Evangelo che Gesù Cristo disse: mio Padre è in me, ed io sono in lui: ed in un altro luogo pure dell'Evangelo è scritto, che Gesù Cristo disse: il Padre, che mi mandò è maggiore di me; ed altrove pure nell'Evangelo; siccome il Padre mandò me, così io mando voi; disse Cristo agli Appostoli. Da questi due ultimi passi dell'Evangelo giudicavano i Cristiani, detti Ariani dal loro Capo il prete Ario, che Gesù Cristo non fosse della stessa sostanza del Padre, ossia dell'esser supremo, e perciò non fosse Dio; ed il Concilio di Nicea di 318 vescovi, l'anno 325, condannandoli giudicò, che per il primo passo, Gesù Cristo era, per le parole di lui medesimo, della stessa sostanza del Padre, vale a dire, ch'era Dio, e perciò si scrisse nel Concilio il Credo in unum Deum ec., in cui i Vescovi, contro il minor numero de' Vescovi Ariani, decretarono, che si scrivesse, come fu scritto, che Gesù Cristo era consustanziale del Padre, cioè della stessa sostanza del Padre, cioè ch'era Dio, siccome leggesi nel Credo di Nicea. Tuttavia la guerra per la parola consustanziale, e per l'idea che racchiude, durò moltissimi anni nelle province cristiane d'Asia, e d'Europa; l'Arianismo mutò d'aspetto colla denominazione Nestorianismo da Nestorio Patriarca di Costantinopoli; vi venne dopo l'Eutichianismo, poi seguitò il Monotelismo, e questa Storia empiè alcuni volumi. La parte disciplinare poi ha avuto tali, e tante variazioni sì inferiormente che esteriormente, che sarebbe troppo lungo il riferirle; converrebbe scrivere un grosso volume in-folio. (Nota di N. N.)
12Bisogna osservare, che qui l'autore, riferisce le cose dette dai Paoliziani, che erano nell'errore, ed il Cattolico non dee punto turbarsi nella sua credenza. (Nota di N. N.)
13Si faccia qui la medesima riflessione, da ripetersi ogni volta, che l'autore riferisce gli errori de' Paoliziani. (Nota di N. N.).
14Il legame fra l'Antico, ed il Nuovo Testamento fu stabilito dai Concilj, dai Padri, e dai Teologi. Agostino ci dice; novum in vetere est figuratum, et vetus in novo est revelatum, nel Testamento Nuovo spesso si cita l'Antico: la Teologia è tutta fondata sull'autorità dei libri del Testamento Vecchio e Nuovo, dei decreti dei Concilj, dei Papi, e delle spiegazioni dei Padri, e dei Teologi che ottennero credito. (Nota di N. N.)
15Pietro il Siciliano (p. 756) ha additati, ma con molta parzialità e passione i sei errori capitali dei Paoliziani.
16Primum illorum axioma est, duo rerum esse principia; Deum malum et Deum bonum, aliumque hujus mundi conditorem et principem, et alium futuri aevi. (Pietro il Siciliano, p. 756.)
17Due dotti critici il Beausobre (Hist. critique du Manichéisme, l. I, IV, V, VI), e il Mosheim (Institut. histor. eccles. et De rebus christianis ante Constantinum, sec. I, II, III), sonosi studiati di riconoscere e distinguere gli uni dagli altri i diversi sistemi de' Gnostici intorno ai due Principj.
18Appostolo vuol dire inviato in generale; ciò è vero; ma questo vocabolo, per quanto sembra, è da usarsi soltanto parlando di quelli, che furono inviati da Gesù Cristo a spargere la sua religione: euntes, docete etc., e non di Silvano che andava diffondendo le sue opinioni contrarie a quelle determinate dai Concilj generali. (Nota di N. N.)
19I Medi e i Persiani possedettero più di tre secoli e mezzo le province poste fra l'Eufrate a l'Halis (Erodoto l. I, c. 103), e i Re di Ponto perteneano alla reale casa degli Achemenidi (Sallustio, Frammento l. III, con supplimento e note dal presidente di Brosse).
20Gli è verisimile che Pompeo fondasse questa città dopo la conquista del Ponto. Trovasi la medesima in riva al Lico, al di sopra di Neo-Cesarea: i Turchi la chiamano Culei-Hisar, ovvero Scionac; assai popolata, e posta in un paese ben difeso dalla natura (D'Anville, Géographie ancienne, t. II, p. 34; Tournefort, Voyage du Levant, t. III, lettera 21, p. 293).
21Il tempio di Bellona a Comana, nel Ponto, ricca e possente fondazione, ove il gran Sacerdote veniva onorato, come seconda persona del regno. Di tale carica erano stati insigniti diversi proavi materni di Strabone, che con particolare compiacenza si arresta a descrivere (l. XII, p. 809-835, 836, 837) il tempio, il culto della Dea, e la festa che ad onore di essa ogni anno si celebrava; ma la Bellona del Ponto più alla Dea dell'amore che a quella della guerra si assomigliava.
22Gregorio, vescovo di Neo-Cesarea (A. D. 240-265), soprannomato Taumaturgo, ossia facitore di maraviglie. Un secolo dopo, Gregorio di Nissa, fratello del gran S. Basilio, pubblicò la storia o veramente il romanzo della vita di Gregorio il Taumaturgo[*]. * Non è da dirsi che la vita di S. Gregorio Taumaturgo sia un romanzo, perchè fu scritta, e pubblicata un secolo dopo da un altro Santo, Gregorio di Nissa. (Nota di N. N.)
23Non bisognava unire insieme il tempio di Bellona, ed i miracoli di Gregorio. (Nota di N. N.)
24Hoc caeterum ad sua egregia facinora, divini atque orthodoxi imperatores addiderunt, ut Manichaeos Montanosque capitali puniri sententia juberent, eorumque libros quocumque in loco inventi essent flammis tradi; quod si quis uspiam eosdem occultasse deprehenderetur, hunc eundem mortis paenae addici, ejusque bona in fiscum inferri. (Pietro il Siciliano p. 759). Che di più poteano augurarsi il bigottismo e lo spirito di persecuzione?
25Sembrerebbe che i Paoliziani si fossero fatti leciti alcuni equivoci o alcune restrizioni mentali, sintanto che i Cattolici trovassero finalmente con quali interrogazioni poteano ridurli all'alternativa della apostasia, o del martirio (Pietro il Sicil. p. 760).
26Pietro il Siciliano (p. 579-767) racconta questa persecuzione con gioia e in tuono di scherzo. Justus justa persolvit. – Simeone non era τιτος, Tito, ma κητος, Ceto, (convien dire che la pronunzia di questi due vocaboli fosse all'in circa la stessa), una grande balena che sommergeva i marinai caduti nell'errore di crederla un'isola (V. Cedreno p. 434-435).
27Se gl'Imperatori Greci iconoclasti fossero stati indulgenti verso i Paoliziani, siccome questi avevano alcuni errori comuni co' Manichei, i Monaci già padroni degli animi de' sudditi, gli avrebbero al solito accusati di manicheismo; cotale accusa avrebbe prodotto il tristo effetto di sollevazioni, e di nuovi mali, che i saggi e forti governi d'oggidì sanno allontanare da' loro Stati contenendo il Clero nei doveri di sudditanza. (Nota di N. N.)
28Pietro il Siciliano (p. 763-764), il Continuatore di Teofane (l. IV, c. 4, p. 103, 104), Cedreno (p. 541, 542, 545) e Zonara (t. II, l. XVI; p. 156) narrano la ribellione e le imprese di Carbeas e de' suoi Paoliziani.
29Otter (Voyages en Turquie et en Perse t. II) giusta ogni apparenza fu il solo tra i Franchi, innoltratosi fin nel territorio de' Barbari independenti, e in Tefrica, oggidì Divrigni: ed ebbe la ventura di fuggire dalle lor mani accompagnandosi ad un ufiziale turco.
30Genesio nel tessere la storia di Crisocario (Chron. p. 67-70, ediz. di Venezia), ne ha dato a divedere qual fosse allora la debolezza dell'Impero. Costantino Porfirogeneta (in vit. Basil., c. 37-43, p. 166-171) parla pomposamente della gloria dell'avo suo. Cedreno (p. 570-573) mostra come fosse privo delle passioni, ma anche delle cognizioni dei precedenti.
31L'Autore mostra qui la sua non curanza delle risposte che sanno dare i teologi alle proposizioni simili a questa non ha potuto impedire ec.; le ricorderemo noi al lettore. I Santi hanno fatto, e possono fare meravigliose cose, e miracoli; ma siccome essi gli intercedono da Dio, e siccome vengono fatti, o non fatti, secondo che li meritiamo, o no, così può avvenire, siccome moltissime volte avvenne, che non sieno fatti miracoli anche allor quando sembra ragionevole, ed opportuno di vederne operati: dei nostri meriti poi, o delle nostre colpe, noi non possiamo esser giudici, e ne viene che quantunque si abbia una buona causa, siccome era quella contro i Paoliziani, non si ottengano miracoli a punizione delle colpe nostre, o degli atti nostri. (Nota di N. N.)
32Ricordiamo al lettore che la ribellione è sempre un atto che merita punizione, e non trionfo. (Nota di N. N.)
33Συναπεμαθανθη πασα η’ ανθουσα της Τεφθιπης ευανδρια, venne meno insieme la florida Fortezza di Tefrica. Come è elegante la lingua greca fra le labbra ancor di un Cedreno!
34Copronimo trapiantò i suoi συγγενεις, concittadini eretici; e parimente επλατυνθη η’ αιθεσις Παυλικιανων, si dilatò l'eresia dei Paoliziani, dice Cedreno (p. 465), che ha copiati gli Annali di Teofane.
35Pietro il Siciliano, dimorato nove mesi a Tefrica (A. D. 870) per negoziare il riscatto de' prigionieri (p. 764), fu istrutto di questa divisata missione; e ad impedire il trionfo dell'eresia, inviò la sua Historia manichaeorum al nuovo arcivescovo dei Bulgari (p. 754).
36Zonara (t. II, l. XVII, pag. 209) e Anna Comnena (Alexiad., l. XIV, p. 450, ec.) parlano della colonia di Paoliziani e Giacobiti, che Zimiscè, nell'anno 970, dall'Armenia trapiantò nella Tracia.
37Anna Comnena racconta nell'Alessiade (l. V, p. 31; l. VI, p. 154-155; l. XIV, p. 450-457, colle osservaz. del Ducange) la condotta appostolica tenutasi dal padre suo rispetto ai Manichei, da essa chiamati abbominevoli eretici, che ella aveva in animo di confutare.
38Fra Basilio, capo de' Bogomili, Setta di gnostici che ben tosto disparve (Anna Comnena, Alessiade, l. XV, p. 486-494; Mosheim, Hist. eccles., p. 420).
39Matt. Paris, Hist. major., p. 267. Il Ducange riporta questo passo dello Storico inglese in una eccellente nota ad una pagina del Villehardouin (n. 208), che trovò a Filippopoli i Paoliziani strettisi in lega coi Bulgari.
40V. Marsigli, Stato militare dell'impero Ottomano, p. 24.
41Bisogna convenire che la Corte di Roma ne' tempi andati si mostrò avara; ma l'aggettivo tirannica, è eccessivo; quanto poi al dispotismo, i Papi usavano dell'autorità del loro primato e per determinarlo molto si questionò; e se alcuni ne abusarono, o ne oltrepassarono i limiti, fu cosa cattiva. Del resto, noi ora non vogliamo entrare, perchè ne verrebbe una lunga dissertazione, nelle controversie mosse, e sostenute ne' famosi Concilj generali di Costanza e di Basilea, intorno l'autorità del Papa, e dai Concilj, nell'occasione del processo, e della deposizione del famoso Papa Giovanni XXIII, che fece la guerra non meno al Concilio di Costanza, che ai due Papi contemporanei Gregorio XII, e Benedetto XIII. V. Fleury, e Lenfant. (Nota di N. N.)
42Gesù Cristo, siccome è scritto nell'Evangelo, disse nella Cena, tenendo del pane in mano, questo è il mio corpo; ma non disse: questo pane è la figura del mio corpo, perciò il senso figurato, ossia metaforico delle parole questo è il mio corpo ec., è da rigettarsi, e devesi ritenere il loro senso naturale, e letterale. Il Testamento Nuovo, in tutti i luoghi ne' quali fa menzione di questo atto di Cristo nella Cena, parla con termini, che presi in senso naturale e letterale, esprimono, coerentemente alle parole di Cristo, la presenza reale del corpo, e del sangue di lui, e perciò la mutazione del pane nel corpo, e del vino nel sangue di Cristo; non ci parla mai in modo, che il pane, ed il vino sieno figure, o segni soltanto del corpo, e del sangue di lui, siccome sostennero indi nell'undecimo secolo, e dopo, i moltissimi seguaci di Berengario Arcidiacono d'Angers, e maestro di Teologia in Tours sua patria, e poscia gli Albigesi, e finalmente i dottori protestanti Lutero, Calvino, Zuinglio ec., in un con tutti i popoli, che indussero co' loro ragionamenti a cotale errore. Dunque la credenza del cangiamento, ossia della transustanziazione ebbe origine dalle parole di Cristo, e non fu una innovazione della Chiesa romana, ossia d'Innocenzo III nel Concilio generale di Roma l'anno 1215, cui vuol alludere l'Autore: riferiremo poi le nuove espressioni definitive d'Innocenzo, e del Concilio intorno l'Eucaristia. Per poter pigliare le parole riferite nell'Evangelo questo è il mio corpo ec. in senso figurato, e sostenere, che il pane eucaristico (ossia pane di rendimento di grazie pel mistero della Redenzione) sia soltanto la figura del corpo, e del sangue di Cristo, sarebbe necessario, o che Cristo ci avesse fatti avvertiti che prendeva in senso figurato, e metaforico le espressioni usate (senso di cui spesso si serviva per far intendere più facilmente dagli ascoltanti le sue lezioni di morale), e non nel naturale, e letterale, o che queste espressioni, prese in questo senso, avessero significato un'assurdità sì palpabile, e sì grossolana, che l'uomo il più ignorante, avesse dovuto accorgersi, che Gesù Cristo non potea giammai prenderle nel senso naturale, e letterale. I. Gesù Cristo ben lungi dal darci questo avvertimento, dispose anzi i suoi seguaci a prendere le dette parole in senso naturale e letterale, dicendo loro, prima d'istituire l'Eucaristia colle parole stesse, che la sua carne era cibo, che il suo sangue era bevanda; aveva di più promesso loro di dare ad essi questo pane, e gli Ebrei udendolo dir ciò, si chiedevano l'un l'altro, come potrebbe dare a mangiar loro la sua carne; e Gesù Cristo, avendoli uditi, non rispondendo a questa interrogazione, ripetè, che la sua carne era cibo veramente, ed il suo sangue bevanda veramente, e che se non mangiassero la carne del figlio dell'uomo, e non bevessero il suo sangue, non avrebbero la Vita Eterna. II. Non si può dire, che il senso naturale, e letterale delle parole questo è il mio corpo ec., onde fu istituita l'Eucaristia, contenga un'assurdità palpabile, o una contraddizione aperta, di modo, che udendo le parole stesse, la mente lasci il senso letterale, e s'appigli al figurato, perchè in tal caso i Cristiani non avrebbero mai creduto alla presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane Eucaristico; inoltre sembra che non si avrebbe potuto stabilire giammai questa credenza, questo dogma, o almeno si avrebbe udito fra Cristiani, ne' primi secoli, dei reclami contro di esso, ed i più si sarebbero appigliati al senso figurato. Al contrario, quando Berengario combattè questa credenza, questo dogma della presenza reale, i Cristiani vi credevano, nè pensavano, che l'Eucaristia fosse la figura, il segno soltanto del corpo di Cristo. Non si trova che alcun scrittore ecclesiastico, che alcun vescovo si sia giammai lamentato, che s'introducesse al suo tempo un'idolatria condannabile, perchè si adorasse Gesù Cristo, come realmente presente, sotto le apparenze del pane e del vino. (Perpetuité de la foi, vol. in 12, pag. 23). Rilevasi dagli scritti de' Padri dei primi secoli, ch'essi prendevano le parole di Cristo questo è il mio corpo ec. nel senso naturale, e non nel figurato, e che quindi credevano alla presenza reale. Non conviene in ciò appigliarsi ad un picciolo numero di passi delle loro opere per assicurarsi della loro opinione, bisogna prendere tutto il contesto de' luoghi dove hanno parlato di ciò. Dunque se talora si leggerà, che i Padri abbiano dato al pane Eucaristico il nome di segno, d'Immagine, di figura, non si conchiuderà, che non credessero alla presenza reale (N. Ales. t. 2, l. I). Per le parole della consacrazione, la sostanza del pane, e dal vino è mutata, secondo i Padri, nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo; ma questo corpo, e questo sangue non si vedono: i sensi non sentono che le specie del pane e del vino, e perciò esse, dopo la consecrazione sono i segni del corpo di Gesù Cristo; ecco come il pane, ed il vino sono i segni del corpo e del sangue di Cristo. Pascasio monaco, e poi abate di Corbia, diede origine all'errore di Berengario verso la fine del secolo nono, avendo composto poco prima per l'istruzione de' Sassoni (che la forza di Carlomagno costrinse a farsi Cristiani, mettendone a morte molte migliaia, che non vollero rinunciare alla lor religione) un trattato del corpo e del sangue di Cristo: stabiliva la presenza reale, e sosteneva che il corpo, che noi riceviamo, e mangiamo nel pane Eucaristico è quello stesso nato da Maria, e ch'era stato appeso alla croce, e che noi beviamo quel sangue uscito dal Costato di Cristo. Sebbene Pascasio seguisse la credenza de' Cattolici, non v'era il costume di dire formalmente queste cose. Questa maniera di esprimersi ebbe de' contraddittori; egli la sostenne; la controversia menò rumore, e durò finchè Berengario prese ad esaminare lo scritto di Pascasio, ed i libri de' suoi oppositori. Berengario, vedendo che il pane ed il vino conservavano dopo la consecrazione le proprietà e le qualità che avevano prima, e che davano tanto prima, che dopo i medesimi effetti, affermò che il pane, ed il vino non erano il corpo, ed il sangue di Cristo, siccome diceva Pascasio. Sostenne, ed insegnò, che il pane, ed il vino non si cangiavano; ma non negò la presenza reale, secondo il senso naturale e letterale delle parole di Cristo; sosteneva che il pane, ed il vino contenevano il corpo ed il sangue di lui, perchè il Verbo si univa al pane ed al vino, e che per tale unione, il pane, ed il vino divenivano poi il corpo ed il sangue di Cristo, senza che la loro natura, e la loro essenza fisica si mutassero. Berengario insegnò queste cose nella scuola di Tours, e le sostenne in una lettera, che, letta in un Concilio di Roma fu condannata, e l'Autore scomunicato, ed essendolo stato nuovamente, timoroso si ritrattò, visse ritirato, e morì intorno l'anno 1088. Ma l'errore di Berengario fu sostenuto dal gran numero de' suoi discepoli, che presero il nome di Berengariani. Non istettero attaccati all'errore del maestro, andavano innanzi con arditi ragionamenti: tutti riconoscevano col maestro, che il pane ed il vino non si cangiavano; ma molti non potendo concepire, che il Verbo si unisse al pane ed al vino, come aveva detto Berengario, conchiusero che in nessun modo il pane, ed il vino non erano il corpo ed il sangue di Cristo, e che non ne erano, che la figura, il segno; quindi negarono compiutamente il cangiamento. Benchè condannato, l'errore si sostenne e si divulgò moltissimo in Francia, in Alemagna, ed in Italia. Presero i Berengariani da Alby in Francia, loro centro, il nome di Albigesi. Essi inoltre non volevano tollerare le grandi ricchezze, e la potenza del Clero, giunte all'estremo, e sostenevano non doversegli pagare le decime; la qual cosa fu sostenuta anche dal povero Arnaldo da Brescia, fatto miseramente bruciar vivo dal Papa Adriano IV. Per verità, i vizj, e i disordini del Clero erano al colmo: vendevasi ogni cosa nelle Chiese; gli Albigesi generalmente erano poveri, e di poche fortune, e regolati. Rammentando con rammarico i moltissimi Albigesi bruciati vivi dagli Arcivescovi di Tolosa e di Lione, e l'armata de' crocesegnati, raccoltasi per pigliar la promessa indulgenza, comandata dall'Abate de' Cisterciensi, Legato del Papa, e da' Vescovi, che trucidò, o bruciò (Istoria di Linguad.) furiosamente in Bezieres, settantamila persone, donne, vecchi, uomini, fanciulli, veri, o creduti Albigesi, lo stabilimento del tribunale de' Padri Inquisitori, che scorsero le province, scomunicando, e bruciando Albigesi, per molti anni, onde di loro non rimase che il nome, e la lagrimevole istoria, e ritornando al punto di Fede, al dogma, il Concilio generale di Roma, l'anno 1215, presieduto dal Papa Innocenzo III, lo confermò, e stabilì contro i Berengariani, e contro gli Albigesi, usando in modo di spiegazione la parola transustanziazione, che cangiamento di sostanza significa, con queste espressioni. «In qua (ecclesia) idem ipse sacerdos, et sacrificium Jesus Christus; cujus corpus, et sanguis in sacramento altaris sub speciebus panis, et vini veraciter continentur: transubstantiatis pane in corpus, et vino in sanguinem, potestate divina, ut at perficiendum mysterium unitatis accipiamus ipsi de suo quod accepit ipse de nostro.» (Labbe Collectio Concil.) E Bossuet dice a questo proposito a' Dottori protestanti. «Puisqu'il étoit convenable, ainsi qu'il a été dit, que les sens n'aperçussent rien dans ce mystère de foi, il ne falloit pas qu'il y eut rien de changé à leur égard dans le pain, et dans le vin de l'Eucharistie. C'est pourquoi etc.» Bossuet: Exposition de la doctrine p. 105, picciolo libro scritto in vano con molta abilità ed avvedutezza per persuadere ed attrarre i protestanti all'unione co' cattolici. Chi poi volesse vedere distesamente come rispondano i teologi cattolici alle obbiezioni de' teologi protestanti (raccolte specialmente nell'Opera del dottore Eduardo Albensino) legga ne' Corsi di Teologia dogmatica i capitoli dell'Eucaristia, o l'Opera Variazioni ec. di Bossuet, giacchè i Protestanti sostennero, e sostengono lo stesso errore de' Berengariani, e degli Albigesi intorno il pane, ed il vino dopo le parole della consecrazione. Gli Albigesi furono distrutti, come detto è, ma i Protestanti per le loro vittorie contro l'Imperator Carlo V, e per l'editto nomato Interim, che fu costretto a dare, prosperarono, estesero, e rafforzarono la Riforma in molte regioni considerevoli dell'Europa. (Nota di N. N.).
43Il Muratori (Ant. Ital. medii aevi, t. V, Dissert. 60, p. 81-152) e il Mosheim (p. 379-382, 419-422) discutono partitamente quanto si riferisce ai Paoliziani che posero dimora nell'Italia e nella Francia. Ma entrambi gli autori ommisero nelle precitate opere un passo osservabilissimo di Guglielmo di Puglia, che in modo ben chiaro segnalò i Paoliziani, descrivendo una battaglia accaduta fra i Greci e i Normanni nell'anno 1040 (in Muratori, Script. rerum Italic., t. V, p. 256): Cum Graecis aderant quidam, quos pessimus error Fecerat amentes, et ab ipso nomen habebant. Ma lo stesso Muratori conosce sì poco la dottrina de' Paoliziani, che la converte in una specie di Sabellianismo o di Patripassianismo.
44Il nome di Bulgari, B-ulgres, B-ugres, non indicava che un popolo; i Francesi ne han fatto un termine di vilipendio, a mano a mano applicato agli usurai, e a coloro che commettono peccati contro natura; fu dato il nome di Paterini, o Patelini, a quegli ipocriti che hanno un linguaggio adulatorio e melato, siccome il protagonista della vaghissima burletta, l'avvocato Patelin. (Ducange, Gloss. latin. medii et infimi aevi). I Manichei venivano anche nomati Chatari o Puri, corrottamente Gazari ec.
45Il Mosheim (p. 477-481) offre un'idea giusta, benchè generale, delle leggi emanate, della Crociata bandita contro gli Albigesi, e della persecuzione che sopportarono. Se ne leggono le particolarità presso gli Storici ecclesiastici antichi e moderni, cattolici e protestanti, fra' quali il più imparziale e moderato di tutti è il Fleury.
46Gli atti (Liber sententiarum) della Inquisizione di Tolosa (A. di Cristo 1307-1323) sono stati pubblicati dal Limborch (Amsterdam 1692), e li precede una Storia generale della Inquisizione. Meritavano essi un autore più dotto e migliore nella critica. Non essendo lecito calunniare nè il demonio, nè il santo Ufizio, farò osservare a questo proposito come, in una lista di rei che tiene diciannove pagine in foglio, solamente quindici uomini e quattro donne siano stati consegnati al braccio secolare.
47I nomi di Zuinglio, di Lutero, di Calvino sono pronunciati con lode e riverenza, da alcuni popoli della Germania, della Svizzera, dell'Olanda, dell'Inghilterra, della Svezia ec. che pervennero a persuadere, ma non lo sono dagli altri popoli dell'Europa, che rimasero cattolici. (Nota di N. N.)
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