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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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A. D. 1038

Dopo che gli Arabi conquistata aveano la Sicilia, gl'imperatori greci ad altro non aveano pensato, che ai modi di ricuperare questa bella provincia: ma la lontananza e il mare, ai loro sforzi i più vigorosi opponeano insuperabili ostacoli. Le spedizioni più dispendiose, dopo avere offerti alcuni lampi di buon successo, non giovavano per ultimo che ad aggiugnere nuove pagine di calamità e di umiliazioni agli Annali di Bisanzo. Basti il dire, che una sola di queste imprese costò alla Grecia ventimila de' suoi migliori soldati; e i Musulmani vincitori si risero di una nazione che commetteva agli eunuchi non solamente la custodia delle sue donne, ma il comando ben anche de' proprj eserciti177. Dopo avere regnato due secoli, i Saracini colle loro discordie perdettero sè medesimi178. L'Emiro negò riconoscere l'autorità del Re di Tunisi: il popolo contra l'Emiro si sollevò; i Capi occuparono le città; l'infimo fra i ribelli, il suo villaggio, o il suo castello a grado suo governava, e fra due fratelli che si guerreggiavano, il più debole si volse ai Cristiani per implorarne soccorso. Ovunque rischi offerivansi, i Normanni erano pronti ad accorrere e a rendersi utili. Arduino, agente e interprete de' Greci, arrolò cinquecento cavalieri o guerrieri a cavallo sotto lo stendardo di Maniaces, governatore della Lombardia. Quando questi sbarcarono nella Sicilia, i due fratelli erano riconciliati; rimesso fra la Sicilia e l'Affrica il buon accordo, truppe comuni difendeano la costa. I Normanni conduceano l'antiguardo: onde gli Arabi di Messina fecero trista esperienza del valore di un nemico nuovo per essi. In una seconda azione campale, l'Emiro di Siracusa venne tratto d'arcione e passato da banda a banda da Guglielmo d'Altavilla, soprannomato Braccio di Ferro. In una terza battaglia, gli intrepidi soldati di questo capitano misero in rotta un esercito di sessantamila Saracini, non lasciando ai Greci altra fatica, fuor quella d'inseguire le vinte truppe: luminosa vittoria, benchè non debba tacersi che la penna dello Storico nel descriverla ha voluto entrare a parte di merito colla lancia normanna. Nondimeno ella è cosa certa che i Normanni in modo essenziale contribuirono al buon successo di Maniaces, il quale con questa vittoria, tredici città, e la più gran parte della Sicilia, al greco Imperatore sommise. Ma costui la propria gloria militare, con atti d'ingratitudine e tirannide, deturpò; nel divider le spoglie, non fece caso del merito dei suoi valorosi ausiliari, i quali, per tanto ingiurioso trattamento, videro offesi e il loro orgoglio, e la lor cupidigia. Giovandosi del loro interprete le proprie lagnanze innoltrarono; ma queste disdegnate, l'interprete fu frustrato. Benchè i patimenti della flagellazione riguardassero il solo che fu sottoposto alla pena, l'oltraggio feriva tutti quelli che lo aveano inviato: deliberarono vendicarsi; accorti però nel dissimulare fino all'istante che, o fosse di consenso de' Greci, o fuggendo, ebbero raggiunto il continente dell'Italia: i Normanni d'Aversa, non men si sdegnarono per l'oltraggio ricevuto dai loro fratelli; e la provincia della Puglia179 fu invasa come pegno di un credito che i Normanni aveano, sin vent'anni dopo la prima lor migrazione. Il loro esercito non sommava allora a più di settecento cavalieri, e cinquecento fantaccini, mentre sessantamila uomini, a quanto narrasi, erano la forza dell'esercito di Bisanzo, poichè furono richiamate in Italia le legioni, che nella Sicilia avevano guerreggiato180. Un araldo propose ai Normanni l'alternativa della battaglia o della ritirata. «La battaglia!» – sclamarono questi ad unanime voce, e un de' lor più robusti guerrieri atterrò con un colpo di pugno il cavallo del greco messo, che con nuovo cavallo fu rimandato. I Generali bisantini ebbero grande cura di nascondere il sofferto affronto alle truppe imperiali; ma due combattimenti che si succedettero, più segnalatamente a queste mostrarono quai fossero la forza e il valor de' Normanni. Nelle pianure di Canne gli Asiatici fuggirono all'aspetto degli avventurieri di Francia, e il duca di Lombardia cadde in potere de' vincitori. Gli abitanti della Puglia ad una nuova dominazione si assoggettarono, e l'Imperatore greco non salvò dal disastro che le quattro piazze di Bari, di Otranto, di Brindisi, e di Taranto. Da quest'epoca incomincia il Governo de' Normanni in Italia, Governo che la nascente colonia di Aversa ben tosto oscurò. Il popolo elesse dodici Conti181, e in queste scelte l'età, la nascita, il merito, regolarono i suffragi. Le contribuzioni distrettuali assegnate a questi ripartimenti, servivano ad uso particolare dei Conti, e ognun di essi innalzò nel mezzo delle sue terre, una Fortezza, che tenea in dovere i vassalli. La città di Melfi, residenza comune dei Conti, e situata nel mezzo della provincia, divenne la metropoli e la Fortezza dello Stato. Ognuno di questi dodici Capi avea per sè una casa, e un separato rione; il qual Senato militare la cosa pubblica amministrava. Il primo di essi, presidente e Generale della repubblica, ricevè il titolo di Conte della Puglia, dignità conferita a Guglielmo Braccio-di-Ferro, che, nello stile di quel secolo, veniva dipinto come un lione nella battaglia, un agnello nella società, un angelo ne' consigli182. Un autore normanno vissuto a quei giorni, descrive con tutta ingenuità i costumi e l'indole de' suoi compatriotti183. «I Normanni, dice il Malaterra, sono un popolo astuto, e vendicativo: l'eloquenza e la dissimulazione sembrano ereditarie fra loro: sanno abbassarsi all'adulazione: ma se la legge non li tiene in freno, a tutti gli eccessi delle lor passioni abbandonansi. I Principi normanni son gelosi di mostrarsi verso il popolo liberali; il popolo tiene la via di mezzo, o piuttosto unisce gli estremi dell'avarizia e della prodigalità; avidi d'arricchire e di dominare, disprezzano tutto quel che possedono, sperano tutto quello che bramano; le armi, i cavalli, il lusso degli abiti, e l'esercizio della caccia e della falconeria, formano le delizie de' Normanni184, ma all'uopo i rigori di qualsisia clima, le fatiche e i sagrifizj di una vita militare con incredibile pazienza sopportano185».

 

A. D. 1046 ec.

I Normanni della Puglia, trovavansi dunque ai confini de' due Imperi di Alemagna e di Costantinopoli, e seguendo la politica dell'istante, riceveano l'investitura delle loro terre, or dall'uno, or dall'altro, de' due Imperatori. Ma la conquista era il più saldo diritto che armar potessero questi venturieri: nessuno amavano, di nessun si fidavano perchè nessuno gli amava, e nessuno fidavasi di essi; al disprezzo che verso di loro ostentavano i Principi, il timore si frammettea, e allo spavento che ai nativi inspiravano, l'astio e il risentimento erano uniti. Desideravan costoro un cavallo, una donna, un giardino? se ne impadronivano tosto186; e i Capi aveano soltanto l'arte di colorare cogli speciosi nomi di ambizione e di gloria la lor cupidigia. I dodici Conti alcune volte, per commettere qualche ingiustizia, si collegavano; se aveano contese domestiche, erano queste per disputarsi le spoglie del popolo; le virtù di Guglielmo spariron con esso, e Drogone, fratello e successore di lui, più atto a condurre il valore che a reprimere la violenza de' suoi eguali si dimostrava. Sotto il regno di Costantino Monomaco, il gabinetto di Costantinopoli, mosso meno da riguardi di beneficenza che da politica, imprender volle a liberare l'Italia da tal permanente calamità, più che un torrente di Barbari disastrosa187. Argiro, figlio di Melo, incaricato di porre in opera questo divisamento, di splendidissimi titoli188, e di esteso potere venne insignito. La memoria del padre suo, dovea renderlo accetto ai Normanni: egli già, assicurato erasi il volontario servigio loro, per ispegnere la sommossa eccitata da Maniaces, e per vendicare ad un tempo e le ingiurie particolari che questi lamentavano, e quelle che avea sofferte lo Stato. Costantino avea in animo di snidiare dalle province italiane questa colonia di guerrieri, e sul teatro della guerra persica trapiantarla; laonde, per primo contrassegno dell'imperiale munificenza, il figlio di Melo cercò profondere fra i Capi l'oro della Grecia, o i preziosi lavori dell'industria di questa nazione; ma l'arte di Argiro, il senno e il coraggio de' vincitori della Puglia sventarono. Ricusati i suoi doni, o certamente i partiti da esso posti, protestarono con un unanime voto di non voler cambiare i presenti possessi, e le più prossime speranze, colla rimota fortuna che lor nell'Asia offerivasi. Andate a vuoto le vie della persuasione, Argiro di sottometterli o distruggerli deliberò, invocando contra il comune nemico i soccorsi delle potenze latine, e stringendo una lega offensiva fra il Papa e gl'Imperatori di Oriente e di Occidente. La Cattedra di S. Pietro era in quel tempo occupata da Leone IX, un Santo189, giusta il più semplice significato che suole a questo vocabolo attribuirsi, uomo fatto per ingannare sè medesimo, e gli altri190, opportunissimo pel rispetto che erasi conciliato a consacrare sotto il nome di pietà, le provvisioni alle vere pratiche della religione più opposte. L'umanità di questo Pontefice erasi lasciata commovere dalle querele, e fors'anche dalle calunnie di un popolo oppresso; gli empj Normanni aveano interrotto il pagamento delle decime, nè mancarono decisioni, che chiarissero atto legittimo il brandir la spada temporale contra sacrileghi masnadieri, che le censure della Chiesa sprezzavano. Leone, nato in Alemagna, di famiglia nobile, e collegata colla famiglia regnante, oltre all'avere libero accesso alla Corte, in grande confidenza coll'Imperatore Enrico III vivea; ardente di zelo il trasse, in cerca di guerrieri e di confederati, dalla Puglia alla Sassonia, dalle rive dell'Elba a quelle del Tevere. Nel durare di tali apparecchi, Argiro di colpevolissime armi segretamente valeasi. Grande copia di Normanni agl'interessi dello Stato, o a particolari vendette venne sagrificata, e tra questi il prode Drogone trucidato entro una chiesa. Il fratello di lui Unfredo, terzo Conte della Puglia, ereditonne il coraggio. I traditori ebber castigo. Lo stesso Argiro superato e ferito, corse lungi dal campo della battaglia, e nascose la sua ignominia dietro le mura di Bari, aspettando ivi i tardi soccorsi de' confederati.

A. D. 1053

Ma all'Impero di Costantino, la guerra contra i Turchi maggiori tribolazioni arrecava: debole e perplesso mostravasi Enrico; e il Pontefice che dovea rivalicar le Alpi, scortato da un esercito di Alemanni, sol settecento soldati della Svevia, e alcuni volontarj della Lorena condusse. Nel cammin tardo che ci fece da Mantova a Benevento, ricevè sotto il santo stendardo un pugno d'Italiani, tolti dalla scoria di tutti gli ordini191. Il sacerdote e lo scorridore sotto una medesima tenda posavansi: e si vedeano nelle prime file un miscuglio di piche e di croci, e il guerrier santo conduttore della falange nel regolare le fazioni, gli accampamenti, le scaramuccie, andava ricapitolando le lezioni militari che in sua giovinezza avea ricevute. I Normanni della Puglia non poterono mettere in campo che tremila uomini a cavallo, e un picciol numero di fantaccini. La diffalta de' nativi li privò di viveri e di ritratta; un superstizioso rispetto192 agghiacciò un istante la lor prodezza, ignara per solito di timore. Al primo veder Leone che avvicinavasi come nemico, non sentiron ribrezzo di prosternarsi dinanzi al loro padre spirituale. Ma inesorabile il Papa si diè a divedere: i suoi Alemanni, superbi della loro alta statura, la piccola de' loro avversarj derisero, e fu a questi chiarito, che tra la morte o l'esiglio doveano scegliere. Disdegnando i Normanni una fuga, e dall'altro lato, molti di loro essendo stremi per non avere da tre giorni preso alcun cibo, s'attennero al partito di una morte, la più pronta e la più decorosa. Dal colle di Civitade ove erano ascesi, calarono nella pianura, d'onde partiti in tre divisioni sulle truppe pontifizie fecero impeto. Riccardo, Conte di Aversa, e il famoso Roberto Guiscardo, che alla sinistra e al centro si ritrovavano, assalirono, ruppero, sbaragliarono, inseguirono quel gregge di raunaticci Italiani, che combatteano senza ordine, nè del fuggire arrossivano. Più ardua bisogna toccava da sostenere al Conte Unfredo, che conducea la cavalleria dell'ala destra. Vengono generalmente rappresentati gli Alemanni193, come poco abili nell'adoperar lancie e cavalli; ma scesi a terra opposero una impenetrabile falange, cui nè uomo, nè cavallo, nè armadura poteano resistere, a motivo della gravezza delle enormi loro sciabole che piombar faceano a due mani sull'inimico. Così ostinatamente si difendeano, allorchè la cavalleria che tornava addietro, dopo avere inseguita la parte vinta da Riccardo, e da Roberto Guiscardo, gli accerchiò, e morirono nelle loro file, stimati dagli stessi avversarj, e col conforto di aver vendute care le proprio vite. Il Papa, datosi alla fuga, trovò chiuse le porte di Civitade, e cadde fra le mani dei devoti suoi vincitori, che, baciandogli i piedi, chiedeano essere benedetti ed assoluti per la rea vittoria che aveano riportata. In questo nemico prigioniero i soldati non vedeano che il Vicario di Gesù Cristo: e benchè tai contrassegni di rispetto, quanto ai duci almeno, possano a ragioni di politica attribuirsi, vi è anche luogo a credere che i medesimi duci alle superstizioni del popolo non fossero peregrini. Nella calma del ritiro, il Pontefice, di cui buone erano le intenzioni, deplorò tanto sangue umano sparso per sua cagione, sentì essere egli stato l'origine de' peccati e degli scandali commessi, e poichè mal tornata era l'impresa, vedea scopo del biasimo universale la sconvenevolezza del contegno che avea tenuto194. Tali idee tenendo l'animo suo, non ricusò il vantaggioso negoziato che veniagli proposto, e abbandonando una lega, da lui medesimo predicata, come divina, le conquiste passate e future de' Normanni ratificò. Qual che si fosse il modo, onde erano state usurpate, le province della Puglia e della Calabria faceano sempre parte del dono di Costantino e del Patrimonio di S. Pietro, onde il dono e l'accettazione poteano le pretensioni del Pontefice e quelle dei Normanni conciliare nel medesimo tempo. Di fatto si promisero scambievolmente il soccorso delle armi loro spirituali e temporali; i Normanni in appresso si obbligarono pagare alla Corte di Roma un tributo, ossia una onoranza di dodici danari per ogni spazio di terreno che un aratro arava in un anno; dopo la qual memorabile convenzione, vale a dire, dopo sette secoli all'incirca, il regno di Napoli è rimasto feudo della Santa Sede195.

 

Chi vuole Roberto Guiscardo196 disceso da un contadino, chi da un Duca normanno gli concede l'origine: l'orgoglio e l'ignoranza si univano in una principessa greca197 per invilire la nascita di Guiscardo, l'ignoranza e l'adulazione nei suoi sudditi italiani si univano per innalzarla198. Nato nella seconda classe, ossia nell'ordine medio della Nobiltà199 usciva di una famiglia di sotto-vassalli o vessilliferi della diocesi di Coutances nella bassa Normandia, i quali nel nobile castello di Altavilla abitavano. Tancredi, padre di Guiscardo, segnalato si era alla Corte e nel ducale esercito, cui dovea somministrare dieci soldati o cavalieri. Due maritaggi con donne, che di nobiltà non cedeangli, fecero Tancredi padre di dodici figli, tutti allevati nella casa paterna, e con egual tenerezza amati dalla seconda moglie dello stesso Tancredi. Ma un mediocre patrimonio non bastava a sì numerosa ed intraprendente figliuolanza, per lo che i dodici fratelli, vedendosi imminenti le funeste conseguenze della povertà e della discordia, risolvettero nelle straniere guerre cercar fortuna. Incaricatisi due soli d'essi di mantenere la loro prosapia, e di assistere alla vecchiezza del padre, gli altri dieci si partìan dal castello a mano a mano che l'età virile toccavano; e attraversando le Alpi, i Normanni della Puglia raggiunsero. I primi di questi non secondarono che il proprio valore: i lor buoni successi divennero sprone ai più giovani, onde Guglielmo, Drogone, e Unfredo, l'ultimo di questi maschi, meritarono essere Capi di lor nazione, e della nuova repubblica fondatori. Roberto, il primo dei sette figli, nati dalle seconde nozze, possedea, nè le negavano i suoi nemici medesimi, tutte le qualità di un capitano e di un uomo di Stato. La statura sua, quella de' più alti uomini del suo esercito superava: tali ne erano le proporzioni del corpo, che gli davano grazia e vigore ad un tempo; fino anche nel declinar de' suoi anni gli rimasero, robusta salute capace di sopportare qualunque fatica, e nobiltà di contegno fatta per comandare ad ognuno. Vermiglio in volto, largo di spalle, fornito di lunghi capelli e lunga barba del colore del lino, gli occhi suoi sfavillavano; e la voce, siccome quella di Achille, potea, in mezzo al tumulto d'una battaglia, mantenere l'obbedienza, e diffondere il terrore. Ne' secoli barbari della cavalleria, troppo rilevanti erano siffatti vantaggi, perchè sfuggir potessero all'attenzione dello Storico, e del poeta. È stato osservato che Roberto usava ad un tempo, e colla stessa maestrìa, e della spada che colla destra mano brandiva, e della lancia che la sua sinistra tenea; che tre volte, venne tratto d'arcione nella battaglia di Civitade, e che, riassunte per tre volte le forze, nel finire di quella memorabil giornata, riportò il premio del valore su tutti i guerrieri di entrambi gli eserciti200. Non mai sazia la sua ambizione, sulla coscienza della propria superiorità la fondava. Nella scelta delle vie per innalzarsi, gli scrupoli della giustizia non mai lo arrestarono, rade volte il sentimento dell'umanità: e quantunque lo allettasse il goder buona opinione, le sue azioni erano indifferentemente o secrete, o palesi, secondo che o l'uno, o l'altro metodo all'interesse del momento pareagli più adatto. Fu dato il soprannome di Guiscardo201 a questo grande mastro della saggezza politica, troppo spesso confusa colla dissimulazione e colla furberia. Il poeta pugliese gli dà lode di avere superati, Ulisse nell'astuzia, nell'eloquenza Cicerone. I suoi artifizj nullameno sotto un'apparenza di militare franchezza si mascheravano: nell'apice di sua fortuna fu nondimeno accessibile e affabile verso i soldati, e benchè indulgente alle costumanze de' nuovi sudditi si dimostrasse, le antiche consuetudini del suo paese, nell'abito e ne' modi con ostentazione serbò. Saccheggiava avidamente per largire con profusione. L'essere stato povero in giovinezza, alla frugalità lo avvezzò; i profitti mercantili non credè indegni delle sue cure; sottometteva a lunghi e crudeli tormenti i prigionieri per costringerli a scoprire le nascoste loro ricchezze. Al dir de' Greci, abbandonò la Normandia, da soli cinque cavalieri e trenta fantaccini seguìto, calcolo che sembra tuttavia esagerato. Perchè questo sesto figlio di Tancredi di Altavilla passò sotto spoglie di pellegrino le Alpi, e fra i venturieri italiani fece i suoi primi soldati. I fratelli e i compatriotti di lui, spartiti essendosi fra loro le fertili campagne della Puglia, conservavano ciascuno colla gelosia dell'avarizia la propria parte. L'ambizioso giovine occupò le montagne della Calabria, e nelle prime imprese da esso operate contra i Greci, e contra i nativi, non è sì agevol cosa il discernere lo scorridor dall'eroe. Sorprendere un castello o un Convento, trarre qualche ricco cittadino in aguato, rapire le derrate in circonvicini villaggi, tai furono le oscure fatiche in cui da prima si adoperarono la forza e le intellettuali facoltà di Guiscardo. I volontarj della Normandia sotto le sue bandiere si ascrissero, e i contadini della Calabria, da lui comandati, assunsero nome ed indole di Normanni.

A. D. 1054-1080

Roberto, la cui ambizione colla fortuna si dilatava, eccitò la gelosia del suo fratel primogenito, che in una passeggiera querela minacciò i giorni dell'altro, e alla libertà di lui pose impaccio. Alla morte di Unfredo, i figli di questo, in tenera età, si videro esclusi dal comando, e a vita privata ridotti per l'ambizione del loro tutore e zio. Guiscardo sollevato sopra uno scudo, venne chiarito conte della Puglia e generale della Repubblica. Più possente in allora, e di un'autorità più considerabile insignito, volle terminare la conquista della Calabria, e meritarsi un grado che lo collocò per sempre al di sopra dei suoi eguali. Il Papa avealo scomunicato per alcuni atti, o di rapina fossero, o di sacrilegio; ma non fu difficile il fare intendere a Nicolò II, che non tornava a due amici il mettersi in mala intelligenza fra loro; essere i Normanni difensori fedelissimi della Santa Sede, la lega di un principe offrir sicurezza maggiore che non la condotta capricciosa d'un Corpo aristocratico. Un sinodo di cento Vescovi essendosi a Melfi assembrato, il Conte interruppe una rilevante impresa per vegliare in persona alla sicurezza del romano Pontefice e per eseguirne i decreti. Questi, mosso da gratitudine e da politica, concedè a Roberto, e alla posterità di Roberto, il titolo di Duca202, coll'investitura della Puglia e della Calabria, e di tutte le terre dell'Italia e della Sicilia, che dallo stesso Roberto ai Greci scismatici e agl'Infedeli saracini verrebbero tolte203. Il consenso del Papa potea ben giustificare le conquiste di Roberto, ma non compartirgli la facoltà di ordinare le cose a suo grado e senza consultare i voleri di un popolo libero e vincitore. Guiscardo non pubblicò la nuova sua dignità, che dopo avere colla presa di Cosenza e di Reggio illustrate nella successiva stagione campale le proprie armi. In mezzo all'entusiasmo che il suo trionfo inspirava, adunò le truppe, chiedendo alle medesime confermassero col lor suffragio un giudizio pronunciato dal Vicario di Gesù Cristo: i soldati con acclamazioni di gioia, salutarono Duca il valoroso lor capitano: e i Conti, statigli fino allora eguali, pronunciarono il giuramento di fedeltà col sorriso sulle labbra, e colla indignazione nel cuore. Da quel punto, Roberto assunse i titoli di Duca della Puglia, della Calabria e della Sicilia, per la grazia di Dio e di S. Pietro, ma dovette adoperarsi vent'anni per meritarli e consolidarli; la qual tardanza di buoni successi in un paese sì poco esteso, può sembrare inferiore all'alto ingegno del Duca e al valore delle sue genti. Si osservi però essere stati pochi di numero i Normanni, impacciati inoltre da parecchi ostacoli; volontarj e precarj i loro servigi. I vasti disegni del Duca alcune volte arrenavano per le opposizioni delle Assemblee baronali; i dodici Conti eletti dal popolo, contro la autorità del Capo ordirono trame: e i figli di Unfredo, denunziando la perfidia del loro zio, chiesero giustizia e vendetta. L'abile Guiscardo le loro trame scoperse, estinse il fuoco della sommossa, i colpevoli all'esiglio o alla morte dannò; ma spese inutilmente gli anni, e le forze della nazione in siffatte intestine discordie. Dopo che egli ebbe disfatti gli esterni nemici, i Greci, i Lombardi e i Saracini, a questi le città marittime affortificate offersero asilo. Eccellenti erano nel munire e difender le piazze; mentre i Normanni, avvezzi a combattere solamente a cavallo e in aperta campagna, l'arte degli assedj non conoscevano, e la sola perseveranza potea farli padroni delle Fortezze. Salerno resistè più di otto mesi; durò oltre quattr'anni l'assedio, o il blocco di Bari. Primo a mostrarsi in tutti i rischi il Duca normanno, l'ultimo era a stancarsi; nè nella pazienza del soffrire alcuno lo superava. Intantochè strignea d'assedio la rocca di Salerno, un masso enorme lanciato dalle mura avendo fatta in pezzi una delle sue macchine, una scheggia di legno gli ferì il petto. Sotto le mura di Bari, ei soggiornava sotto una cattiva baracca, fatta di rami secchi e coperta di paglia, sito pericoloso, esposto da ogni lato alla intemperie delle stagioni, e alle frecce dell'inimico204.

Le province conquistate in Italia da Roberto son quelle che fanno oggidì il regno di Napoli; nè il volgere di sette secoli ha potuto disgiungere le contrade che dall'armi di Guiscardo furon congiunte205. Tale monarchia formarono le province greche della Calabria e della Puglia, il principato di Salerno, sottomesso ai Lombardi, la Repubblica d'Amalfi e i Cantoni interni del vasto ed antico Ducato di Benevento. Tre soli di questi Cantoni dalla dominazione del vincitor si sottrassero, il primo per sempre, i due altri fin verso la metà del secolo successivo. L'Imperatore di Alemagna avea conferito al Papa, fosse a titolo di dono, o di cambio, la città e il territorio immediato di Benevento: e benchè questa sacra terra alcune volte sia stata invasa, il nome di S. Pietro finalmente sulla spada de' Normanni ebbe trionfo. La lor prima colonia di Aversa avendo soggiogato, e conservato lo Stato di Capua, i principi di questa città si videro costretti a mendicare il vitto, nanti alla soglia del palagio de' loro antenati. I Duchi della città di Napoli, la libertà popolare mantennero sotto apparenza di sommessione all'Impero di Bisanzo. Per mezzo alle conquiste di Guiscardo avvi due cose degne di eccitare la curiosità del leggitore, le dottrine salernitane206, il commercio di Amalfi207.

I. Una Scuola di giurisprudenza suppone leggi e proprietà, e una religione chiara abbastanza, onde l'evidenza della ragione renda men necessario il ministerio della Teologia; ma in qualunque epoca dell'umana civiltà, i soccorsi dell'arte medica son necessarj; e se per una parte, il lusso rende più frequenti le malattie acute, lo stato di barbarie moltiplica il numero delle contusioni e delle ferite. I tesori della greca medicina fra le colonie arabe dell'Affrica, della Spagna e della Sicilia si eran diffusi: e in mezzo alle corrispondenze della pace e della guerra, una scintilla di sapere splendè, e si mantenne a Salerno, città commendevole per l'onestà de' suoi uomini, per l'avvenenza delle sue donne208. Una Scuola, la prima che siasi veduta sorgere in mezzo alle tenebre onde era ingombrata l'Europa, all'arte di guarire vi si consacrava; i frati ed i vescovi, a questa salutare e lucrosa professione si accomodarono, e innumerevoli infermi, distintissimi per grado, e nati nelle più remote contrade, or chiamavano a sè, or venivan cercando i medici di Salerno. Una tale scuola i vincitori normanni protessero; e Guiscardo, benchè allevato nel mestier dell'armi, il merito e il valore di un filosofo sapeva discernere. Dopo trentanove anni di peregrinazione, Costantino, cristiano di Affrica, riportò da Bagdad la conoscenza della lingua e delle arti degli Arabi; e della pratica, delle lezioni, degli scritti di questo scolaro di Avicenna, Salerno trasse profitto. La sua scuola di medicina, sonnecchiò molto tempo sotto il nome di Università: i suoi precetti, nel duodecimo secolo, vennero ridotti in una serie d'aforismi indicati in versi leonini, o versi latini rimati209.

II. La città di Amalfi, situata sette miglia a ponente di Salerno, e trenta ad ostro di Napoli, un tempo oscura, pompeggiava allora di possanza e di tutti que' vantaggi che dell'industria son conseguenza. Ricca di fertile territorio, benchè poco estesa, i suoi abitanti profittarono della loro situazione posta in una spiaggia di mare delle meglio accessibili; primi ad incaricarsi di provvedere il Mondo occidentale de' lavori e delle derrate dell'Oriente, questo utile commercio divenne fonte della loro opulenza e della lor libertà. Godeva Amalfi di un Governo popolare sotto l'amministrazione di un Duca, e sotto la supremazia del greco Imperatore: cinquantamila cittadini entro le sue mura si racchiudevano; nè alcun'altra città eravi, egualmente copiosa di oro, di argento e di suppellettili appartenenti alla ricercatezza del lusso. Peritissimi essendo nello dottrine teoriche e pratiche della navigazione e dell'astronomia i marinai che nel suo porto abbondavano, la scoperta della bussola, che ne ha offerto il modo di trascorrere il globo con sicurezza, alle lor ricerche o alla lor buona sorte è dovuta. Il commercio di Amalfi alle rive dell'Affrica, dell'Arabia e dell'India estendendosi, o le produzioni di queste tre contrade almen comprendendo, i suoi possedimenti in Costantinopoli, in Antiochia, in Gerusalemme e in Alessandria, le aveano acquistati i privilegi delle colonie independenti210. Dopo tre secoli di prosperità, Amalfi venne soggiogata dai Normanni, e devastata per l'opera che la gelosa repubblica di Pisa diede a tal uopo. Ella non contiene più oggidì che un migliaio di pescatori, i quali, avvolti nella miseria, possono unicamente inorgoglirsi degli avanzi di un arsenale, di una Cattedrale e dei palagi degli antichi loro trafficanti211.

A. D. 1060-1090

Ruggero, duodecimo ed ultimo tra i figli di Tancredi, rimase più lungo tempo in Normandia, trattenutovi prima dalla sua giovine età, poi da riguardo alla decrepitezza del padre. Chiamato indi in Italia affrettossi ad approdar nella Puglia, ove meritò la stima, e ben tosto, in appresso, la gelosia di Guiscardo eccitò. Eguali per valore e per ambizione, Ruggero avea sovr'esso il vantaggio di giovinezza, avvenenza, e leggiadri modi, che l'affetto de' soldati e del popolo gli conciliarono. Era sì povero egli, e le persone del suo seguito, in tutto quaranta, che dalla vita di guerriero passò a quella di scorridore, e da quella di scorridore all'altra di ladro domestico. Si avevano in allora tanto imperfette nozioni sulla proprietà, che lo storico stipendiato di questo Ruggero, e per ordine di lui medesimo, racconta certa impresa del suo eroe quando rubò cavalli in una scuderia di Melfi212. Il valore, il coraggio gli giovarono ad uscir presto fuori della povertà e dell'ignominia; e queste vili pratiche abbandonò per meritarsi gloria in una guerra contra gli Infedeli; in che lo zelo e la politica del fratello Guiscardo, promotore della Spedizione siciliana, lo secondarono. Dopo la ritirata de' Greci, gli idolatri (con questo nome i Cattolici chiamar soleano i Saracini), ristorate le loro perdite, rientrati erano negli antichi possedimenti. Ma una picciola banda di venturieri operò la liberazione della Sicilia, dalle congiunte forze dell'Impero di Oriente invano tentata213. Incominciò Ruggero dal disfidare sopra uno scoperto palischermo i pericoli reali e favolosi di Cariddi e di Scilla; e sbarcato con sessanta soldati sulla nemica costa, e incalzati i Musulmani fino alle porte di Messina, ritornò sano e salvo in Italia, carico del bottino fatto nei dintorni di quella città. Il suo coraggio operoso e paziente nell'assedio della Fortezza di Trani si fa manifesto: onde a vecchia età pervenuto, dilettavasi in narrando che nel durar dell'assedio, egli e la Contessa sua moglie, si videro ridotti ad un solo mantello, del quale a vicenda si ricoprivano; e narrava parimente, come essendogli stato ucciso il cavallo, in compagnia d'esso i Saracini lo trascinassero; come col valore della sua spada se ne spacciasse, riportando sul dorso la sella del corridore per non lasciar tra mani infedeli il menomo trofeo di sè stesso. Nell'assedio di Trani, trecento Normanni arrestarono e respinsero le forze di tutta l'Isola. Nella battaglia. di Ceramio, cinquantamila uomini, tra que' di cavalleria e d'infanteria, vennero sconfitti da centrentasei soldati cristiani, senza contare S. Giorgio che combattè a cavallo nelle prime file. Al successore di S. Pietro vennero serbati i nemici stendardi e quattro cammelli; le quali spoglie de' Barbari, se fossero state esposte non in Vaticano ma in Campidoglio, avrebbero potuto ricordare i trionfi riportati sul popolo di Cartagine. Questo calcolo che riduce a sì picciol numero i Normanni dovea forse applicarsi ai cavalieri soltanto, ossia nobili guerrieri che combattevano a cavallo, e che aveano ciascuno un seguito di cinque o sei uomini214. Pure ammettendo ancora una tale interpretazione, e concedendo ai Cristiani quanti vantaggi il valore, la bontà dell'armi e la fama aggiunger potevano, la sconfitta di un esercito sì numeroso, mette tuttavia un prudente leggitore nella alternativa di credere tutto ciò o miracolo, o favola. Gli Arabi della Sicilia riceveano possenti soccorsi dai lor compatriotti dell'Affrica; ma le galee di Pisa veniano parimente soccorritrici alla normanna cavalleria nell'assediare Palermo, e nel momento della pugna la gelosia de' due fratelli di Altavilla, il nobile carattere d'una emulazione generosa e invincibile assumea. Dopo una guerra di trent'anni215, Ruggero acquistò unitamente al titolo di Gran Conte, la sovranità della più grande e della più fertile fra le isole del Mediterraneo; e l'amministrazione di lui, dà a divederlo uom d'animo liberale e di mente istrutta più di quanto il secolo, e l'educazione che ricevuta avea, comportassero. La libertà della religione e il godimento delle loro proprietà ai Musulmani lasciò216. Un filosofo arabo, medico di Mazara, e discendente dalla stirpe di Maometto, che avea arringato il vincitore, venne chiamato alla Corte: ove nel latino idioma trasportò la sua Geografia de' Sette Climi, che Ruggero, dopo averla letta attentamente, agli scritti del greco Tolomeo preferì217. Un avanzo di nativi cristiani che ai buoni successi de' Normanni avea contribuito, n'ebbe in compenso il vedere la Croce trionfante nell'Isola, la quale sotto la giurisdizione del Romano Pontefice ritornò. Nove Vescovi vennero creati nelle città principali della Sicilia, e il clero dovette esser contento delle magnifiche doti alle chiese, o ai monasteri largite. Ciò non pertanto l'eroe cattolico i diritti della civile magistratura con gran fermezza sostenne. Anzichè rinunziare alla investitura de' benefizj, ebbe l'accorgimento di volgere a suo pro le pretensioni del Papa, onde la singolar Bolla che i principi della Sicilia chiarisce Legati ereditarj e perpetui della santa Sede218, consolidò ed estese il primato della Corona.

177Luitprand., in Legatione, p. 485. Il Pagi ha schiarito questo avvenimento seguendo il manoscritto storico del Diacono Leone (t. IV, A. D. 965, n. 17-19).
178V. la Cronaca araba della Sicilia, nel Muratori (Script. rerum italic., t. I, p. 253).
179V. Gioffredo Malaterra che narra la guerra della Sicilia e la conquista della Puglia (l. I, c. 7, 8, 9-19), Cedreno, (tom. II, p. 741-743, 755, 756) e Zonara (tom. II, p. 237, 238) descrivono gli avvenimenti medesimi: e poichè i Greci si erano già avvezzi alle umiliazioni, una sufficiente imparzialità scorgesi ne' loro racconti.
180Cedreno specifica il ταλμα ordinanza militare dell'Obsequium (Phrygia) e il μεθος parte, de' Tracesii (Lydia), v. Costantino (De Thematibus, 1, 3, 4, con la carta del Sig. Delisle); e chiama indi i Pisidii, e i Licaonii col predicato foederati.
181Omnes conveniunt et bis sex nobiliores,Quos genus et gravitas morum decorabat et aetas,Elegere duces. Provactis ad comitatumHis alii parent. Comitatus nomen honoris,Quo donantur erat. Hi totas undique terrasDivisere sibi, ni sors inimica repugnet,Singula proponunt loca quae contingere sorteCuique ducis debent, et quaeque tributa locorum. E dopo avere parlato di Melfi, Guglielmo Pugliese aggiunge: Pro numero comitum bis sex statuere plateas,Atque domus comitum tolidem fabricantur in urbe. Leone d'Ostia (l. II, c. 67) ne istruisce in qual modo vennero distribuite le città della Puglia: ma inutile mi è sembrata una tal descrizione.
182Guglielmo Pugliese (lib. II, c. 12). Mi fondo sopra una citazione del Giannone (Ist. civ. di Napoli t. II, p. 31), citazione che nell'originale non posso verificare. Il Pugliese loda le validas vires, probitas animi et vivida virtus di Braccio-di-Ferro, aggiugnendo che, se questo eroe fosse vissuto più lungamente, niun poeta avrebbe potuto pareggiarne il merito co' suoi canti (l. I, p. 258, l. II, p. 259). Braccio di ferro fu pianto dai Normanni, quippe qui tanti consilii virum dice il Malaterra (l. I, c. 12, p. 552) tam armis strenuum, tam sibi munificum, affabilem, morigeratum ulterius se habere diffidebant.
183Malaterra (l. I, c. 3, pag. 550): Gens astutissima, injuriarum ultrix… adulari sciens… eloquentiis inserviens; espressioni che dimostrano qual fosse l'indole, fin passata in proverbio, de' Normanni.
184Il genio della caccia, e l'uso di addestrare ad essa i falconi, apparteneano specialmente ai discendenti de' marinai della Norvegia; del rimanente è possibile che i Normanni abbiano portati dalla Norvegia e dall'Irlanda i più belli uccelli da falconeria.
185Può confrontarsi questo ritratto, con quello che della stessa popolazione ha fatto Guglielmo di Malmsbury (De gest. Anglorum, l. III, p. 101, 102), il quale i vizj e le virtù de' Sassoni e de' Normanni colla bilancia dello storico e del filosofo apprezza. Certamente l'Inghilterra nell'ultima conquista ha vantaggiato.
186Il Biografo di S. Leone IX avvelena santamente la descrizione che fa dei Normanni; Videns indisciplinatam et alienam gentem Normanorum, crudeli et inaudita rabie et plus quam pagana impietate adversus ecclesias Dei insurgere, passione christianos trucidare, etc. (Wibert, c. 6). L'onesto Pugliese si contenta di indicare con calma l'accusatore di questo popolo qual uomo veris commiscens fallacia (l. XI, p. 259).
187Tutte queste particolarità che si riferiscono alla politica de' Greci, alla ribellione di Maniaces ec., possono vedersi in Cedreno (t. II, p. 757, 758), in Guglielmo Pugliese (l. I, p. 257, 258: l. II, p. 259), e in due Cronache di Bari lasciateci da Lupo Protospata (Muratori Script. rer. ital., t. V, p. 42, 43, 44), e da autore anonimo (Antiq. ital. med. aevi, t. I, p. 31-33). Quest'ultima è un frammento di qualche pregio.
188Argiro ottenne, dice la Cronaca anonima di Bari, imperiali patenti, faederatus et patriciatus et catapani et vestatus. Il Muratori ne' suoi Annali (t. VIII., p. 426) fa giustamente una correzione, ossia interpretazione, su questa ultima parola. Egli legge sevestatus, vale a dire Sebastos, ossia di Augusto: ma nelle sue Antichità, seguendo il Ducange, fa di questo sevestatus, un officio di palagio, cioè quello di Gran Mastro della guardaroba.
189Viberto ha composta una vita di S. Leone IX, ove si ravvisano le passioni e le massime pregiudicate del suo secolo; opera stampata a Parigi nel 1615 in 8.º, e inserita indi nelle Raccolte de' Bollandisti del Mabillon e del Muratori. Il signore di Saint-Marc (Abrégé t. II, p. 140-210, e p. 25-95) ha narrata con molta accuratezza la storia pubblica e privata di questo Pontefice.
190Vuol dire qui l'Autore, che Leone IX il Santo aveva l'indole sì semplice, che poteva ingannare sè stesso, e colla sua autorità sugli animi del popolo, siccome Papa, indurre gli altri in inganno, senza volere, e senza avvedersi di essere ingannatore. Leone per la sua indole poteva ingannarsi ne' negozj familiari, o politici, ed indurre in inganno gli altri; ma nella cosa di cui trattavasi non sembra essersi potuto ingannare, nè essersi ingannato. Trattavasi di soccorrere gli abitanti della Puglia, e di far che i Normanni pagassero le decime ecclesiastiche: bisogna per altro confessare, che è, in quei tempi d'ignoranza e di barbarie, da condannarsi il costume di usare le armi, inducendo ad impugnarle i poveri popoli, per sostenere le censure, le scomuniche, fatte di tal maniera più spaventose. (Nota di N. N.)
191V. intorno alla spedizione di Leone IX contra i Normanni, Guglielmo il Pugliese (l. II; p. 259-261) e Gioffredo Malaterra (l. I, c. 13, 14, 15, p. 253). Questi due autori danno a divedere imparzialità; perchè la preoccupazione nazionale che tiene gli animi loro, è contrabbilanciata da un'altra preoccupazione di mestiere, siccome preti.
192Il Cattolico romano non chiama superstizioso il rispetto dei Normanni verso S. Leone IX: s'egli seguì il cattivo uso del suo tempo barbaro facendo la guerra a' Normanni pei motivi indicati, il buon credente sentirà che doveva a' Normanni, buoni cattolici, far grande impressione il vedere un Papa, generale d'un'armata nemica. (Nota di N. N.)
193Teutonici quia Caesaries et forma decorosFecerat egregie, proceri corporis illos,Corpora derident normannica, quae brevioraEsse videbantur. I versi del Pugliese non hanno per l'ordinario maggior pretensione: ma egli si anima poi quando gli accade il descriver battaglie. Due delle sue comparazioni, tratte dalla caccia del falco e della negromanzia, servono ad indicare i costumi dei suoi tempi.
194Il signor di Saint-Marc (t. II, p. 200-204) cita le lamentanze, o le censure che sulla condotta del Pontefice vennero fatte in allora da rispettabili personaggi. Avendo Pietro Damiano, l'oracolo di quella età, ricusato ai Papi il diritto di far la guerra, il cardinale Baronio (Annal. eccles. A. D. 1053, n. 10-17) rimanda l'eremita al suo posto (Lugens eremi incola) sostenendo con calore le prerogative delle due spade di S. Pietro[*]. * Si sa qual uso siasi sempre fatto ne' secoli passati di quell'espressione dell'Evangelo: ecce duo gladii hic, asserendo la Corte romana, e sostenendo i Teologi di quella Chiesa, che una delle due spade era la figura della forza delle scomuniche e dell'autorità spirituale del Papa, e l'altra della sua autorità nelle cose temporali. Quanto al Cardinal Baronio sanno gl'illuminati ingegni, ch'egli ne' suoi Annali ecclesiastici spesse volte eccede in favorire la Corte di Roma, e che quell'Opera corretta dal dottissimo Pagi, e nell'istoria, e nella cronologia, e ne' ragionamenti, acquistò maggior pregio dalla critica di lui, che dall'autore, che ebbe il merito d'aver ordinato gli Annali, ma non discernimento nel trattare la materia, e ne' giudizj. (Nota di N. N.)
195Il Giannone (Istor. civ. di Napoli, t. II, p. 37-49-57-66) discute con eguale abilità e come giureconsulto, e come antiquario, l'origine e la natura delle investiture pontificie: ma fa vani sforzi per conciliare insieme i doveri di patriota e di cattolico, e colla futile distinzione, Ecclesia romana non dedit, sed accepit, si sottrae alla necessità di una confessione sincera, ma pericolosa.
196Le particolarità che riguardano la nascita, l'indole e le prime imprese di Guiscardo, trovansi in Gioffredo Malaterra (l. I, c. 3, 4-11-16, 17, 18-38, 39, 40), in Guglielmo Pugliese (l. II, pag. 260-262), in Guglielmo Gemeticense, o di Jumièges (l. XI, c. 30, p. 663, 664, ediz. di Camden), in Anna Comnena (Alexiade, l. I, p. 23, 27, l. VI, p. 165, 166) colle note del Ducange (Not. in Alex. p. 230-232-320), che ha raccolte tutte le Cronache latine e francesi, e nuovi schiarimenti ne ha tratti.
197Ο δε Ρομπερτος (parola corotta alla Greca) ουτος ην Νορμαννος το γενος, την τυχην ασημος… e altrove εξ αφανους πανυ τυχης περιφανης, Romperto (parola corrotta alla greca invece di Roberto) era Normanno di nazione, ignobile di nascita… e altrove divenuto illustre dopo una nascita affatto oscura, e in un altro luogo (l. IV, p. 84) απο εουχατης πενιας και τυχης αφανους da una estrema miseria a da oscura nascita. Anna Comnena era nata per vero dir nella porpora; non così il padre suo di privata condizione, illustre bensì, ma innalzato dal merito solamente.
198Il Giannone (t. II, p. 2), dimenticando i suoi autori originali, per far derivare Guiscardo da una schiatta principesca, si fida alla testimonianza d'Inveges, frate agostiniano di Palermo, che vivea nell'ultimo secolo. Questi due autori prolungano la successione dei Duchi, fino a Guglielmo II il Bastardo o il Conquistatore, che credevasi (comunemente si tiene) il padre di Tancredi di Altavilla. Questo errore è maiuscolo, ed eccita tanta maggior maraviglia, che allor quando il figlio di Tancredi guerreggiava nella Puglia, Guglielmo II non avea più di tre anni (A. D. 1037).
199Il giudizio del Ducange è giusto e moderato: «Certe humilis fuit ac tenuis Roberti familia, si ducalem et regium spectemus apicem, ad quem postea pervenit; quae honesta tamen et, prater nobilium vulgarium statum et conditionem, illustris habita est, quae nec humi reperet, nec altum quid tumeret». (Guglielmo di Malmsb. De gest. Anglorum, l. III, p. 107, Not. ad Alexiad., p. 230).
200Citerò alcuni de' migliori versi del Pugliese (lib. II, pag. 270), Pugnat utraque manu, nec lancea cassa, nec ensisCassus erat, quocunque manu deducere vellet.Ter dejectus equo, ter viribus ipse resumptisMajor in arma redit: stimulos furor ipse ministrat.Ut leo cum frendens, etc.· · · · · · · · · · · · · ·Nullus in hoc bello, sicuti post bella probatum est,Victor vel victus, tam magnos edidit ictus.
201Gli autori e gli editori normanni che meglio conoscevano la loro lingua, traduceano la parola Guiscardo o Wiscard nell'altra Callidus, uomo scaltrito ed astuto. La radice Wise è famigliare agli orecchi inglesi, e l'antico vocabolo Wiseacre offre all'incirca lo stesso significato, e la medesima desinenza. Την χυχην πανουργοτατος esprime assai bene il soprannome e l'indole di Roberto.
202La storia del modo onde Roberto Guiscardo si procacciò il titolo di Duca è un argomento assai intralciato ed oscuro. Seguendo le giudiziose osservazioni del Giannone, del Muratori e del Saint-Marc, ho procurato narrarla nella maniera più coerente e meno inverisimile.
203Il Baronio (Annal. ecclesiast. A. D. 1059, n. 69) ha pubblicato l'Atto originale, ch'ei dice aver copiato dal Liber censuum, manoscritto del Vaticano. Ciò nondimeno il Muratori ha pubblicato (Antiq. med. aevi; t. V, p. 851-908) un Liber censuum, ove un tale atto non trovasi; e i nomi di Vaticano e Cardinale destano egualmente i sospetti d'un protestante e d'un filosofo.
204V. la vita di Guiscardo nel II e III libro del Pugliese, nel I e II di Gioffredo Malaterra.
205Il Giannone (vol. II della sua Istoria civile l. IX, X, XI, e l. XVII, p. 460-470) narra con imparzialità le conquiste di Roberto Guiscardo e di Ruggero I, l'esenzione di Benevento, e delle dodici province del regno. Questa ripartizione però accadde soltanto sotto il regno di Federico II.
206Il Giannone (t. II, p. 119-127), il Muratori (Antiq. medii aevi, t. III, Dissert. 44, p. 935, 936), il Tiraboschi (Istor. della letteratura ital.) ne hanno offerto uno specchio storico de' medici della Scuola Salernitana. Quanto al giudicare la teorica e la pratica della lor medicina, è tal bisogna che ai nostri medici sol s'appartiene.
207L'instancabile Enrico Brenckmann ha aggiunte sul finire della sua Historia Pandectarum (Trajecti ad Rhenum, 1722, in 4.), due dissertazioni, De Repubblica amalphitana e Da Amalphi a Pisanis direpta, fondate sulla testimonianza di cenquaranta scrittori; ma poi ha dimenticati i due importanti passi dell'ambasceria di Luitprando (A. D. 959), ove s'instituisce un parallelo fra il commercio e la navigazione di Amalfi e di Venezia.
208Urbs Latii non est hac delitiosior urbe,Frugibus, arboribus vinoque redundat; et undeNon tibi poma, nuces, non pulchra palatia desunt,Non species muliebris, abest probitasque virorum.Guglielmus Appulus, l. III, p. 267.
209Il Muratori pretende che i versi di cui parlasi, sieno stati composti dopo l'anno 1066, epoca della morte di Odoardo il Confessore, rex Anglorum, al quale sono indiritti. Le opinioni intorno a ciò, o piuttosto gli sbagli del Pasquier (Recherches de la France, l. VII, c. 2), e del Ducange (Gloss. lat.) non indeboliscono in modo alcuno le prove del Muratori. Già nel settimo secolo, era conosciuta l'usanza de' versi rimati; usanza tolta alle lingue nortiche ed orientali (Muratori, Antiquit., t. III; Dissertat., n. 40, p. 686-708).
210Esattissima ed assai poetica è la descrizione di Amalfi fatta da Guglielmo Pugliese (l. III, p. 267) co' seguenti versi, il terzo de' quali sembra alla bussola riferirsi: Nulla magis locuples argento, vestibus, auro,Partibus innumeris: hac pluribus urbe moraturNauta MARIS COELIQUE VIAS APERIRE PERITUS.Huc et Alexandri diversa feruntur ab urbeRegis, et Antiochi. Gens haec freta plurima transit.His Arabes, Indi, Siculi nascuntur et Afri.Haec gens est totum prope nobilitata per orbem,Et mercando ferens, et amans marcata referre.
211Il nostro Autore appoggia forse questo calcolo ai riferti de' viaggiatori eruditi che nel principio del secolo decimottavo visitarono Amalfi (Brenckm., De rep. Amalph. Diss. 1, c. 23); l'Autore però della Hist. des Rep. Ital., nel vol. I, p. 304, ne porta la popolazione a sei o ottomila abitanti. (N. dell'Ed.)
212Latrocinio armigerorum suorum in multis sustentabatur, quod quidem ad ejus ignominiam non dicimus; sed, ipso ita praecipiente, adhuc viliora et reprehensibiliora dicturi sumus, ut pluribus patescat, quam laboriose et cum quanta angustia a profonda paupertate ad summum culmen divitiarum vel honoris attigerit. Così il Malaterra s'introduce a narrare il furto de' cavalli (lib. I, c. 25). Dal momento che questo autore fa menzione di Ruggero, suo mecenate (l. I, c. 19), Guiscardo, qual secondo personaggio, sol comparisce. Trovasi qualche cosa di somigliante nella condotta di Velleio Patercolo, Storico di Augusto e di Tiberio.
213Duo sibi proficua reputans, animae scilicet et corpori, si terram idolis deditam ad cultum divinum revocaret (Gioffredo Malaterra, l. II, c. 1). I tre ultimi libri di questo Storico son dedicati a narrare la conquista della Sicilia; e lo stesso Malaterra ha composto il Sommario esatto de' suoi Capitoli (p. 544-546).
214V. la parola milites nel Glossario latino del Ducange.
215Fra le altre circostanze curiose, o bizzarre, il Malaterra ne racconta che gli Arabi aveano introdotto in Sicilia l'uso de' cammelli, (l. 1, c. 33), e de' colombi messaggeri (c. 42); che il morso della tarantola produce una malattia quae per anum inhoneste crepitando emergit; fenomeno assai ridicolo cui soggiacque tutto l'esercito de' Normanni, accampato sotto la mura di Palermo (c. 36). Aggiugnerò una etimologia che non è indegna dell'undicesimo secolo. Messana è derivato di Messis, luogo d'onde le biade venivano dalla Sicilia inviate in tributo a Roma (l. II, c. 1).
216V. la capitolazione di Palermo nel Malaterra (lib. II, c. 45) e nel Giannone che parla sulla tolleranza generale conceduta ai Saracini (t. II, p. 72).
217Giovanni Leone Affricano (De medicis et philosophis Arabibus, c. 14, presso Fabricio, Bibl. graec. t. XIII, p. 278, 279). Questo filosofo nomavasi Esseriff, Essascialli, e morì nell'Affrica (A. E. 516, A. D. 1112). Tal denominazione ha molta somiglianza coll'altra Seriff al Eldrisi. Così chiamavasi chi offerse il suo libro (Geogr. nubiens.; V. la Prefazione, p. 88, 90, 176) a Ruggero re di Sicilia (A. E. 548, A. D. 1153; D'Herbelot, Bibl. orient. p. 786; Prideaux, Life of Mahomet, pag. 188; Petis de la Croix, Hist. de Gengis-kan, p. 535, 536; Casiri, Bibl. arab. hispan. t. II, p. 9-13), onde temo sia accaduto in ordine a ciò qualche equivoco.
218Il Malaterra parlando della fondazione de' Vescovadi (l. IV, c. 7) porta la Bolla in originale (l. IV, c. 29). Il Giannone, come istorico del paese, offre un'idea di questo privilegio e della monarchia di Sicilia (t. II, p. 95-102), e Saint-Marc (Abrégé, t. III, p. 217-301) discute una tale quistione con tutta l'abilità d'un giureconsulto siciliano.
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