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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4

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Ma il genio e la potenza di Giuliano non furono sufficienti per l'impresa di restaurare una religione, ch'era mancante di principj teologici, di precetti morali e d'ecclesiastica disciplina; che tendeva rapidamente alla decadenza ed allo scioglimento; e che non era suscettibile d'alcuna solida o stabile riforma. La giurisdizione del Pontefice Massimo, dopo che specialmente quell'uffizio erasi unito all'Imperial dignità, s'estendeva a tutto l'Impero Romano. Giuliano elesse per suoi vicarj nelle diverse Province i Sacerdoti e Filosofi, che stimò più idonei a cooperare all'esecuzione del suo gran disegno; e le sue lettere pastorali426, s'è permesso d'usare tal nome, tuttora presentano una prova molto curiosa de' suoi desiderj e disegni. Egli ordinò che in ogni città l'ordin Sacerdotale venisse composto, senza distinzione alcuna di nascita o di ricchezze, da quelle persone che fossero le più cospicue pel loro amore verso gli Dei e verso gli uomini. «Se i medesimi (continua) son rei di qualche scandaloso delitto potranno esser censurati o degradati dal Pontefice superiore; ma fintanto che ritengono il loro grado, hanno diritto al rispetto de' Magistrati e del Popolo. Posson dimostrare la lor umiltà nella schiettezza delle domestiche vesti e la dignità nella pompa delle sacre. Quando son chiamati, secondo l'ordine, ad uffiziare avanti all'altare, non dovrebbero pel determinato numero di giorni partirsi dal recinto del tempio; nè soffrir dovrebbero, che passasse un sol giorno senza le preghiere ed il sacrifizio che son obbligati ad offerire per la prosperità dello Stato e degl'individui. L'esercizio delle sacre loro funzioni esige un'immacolata purità sì di mente che di corpo; ed anche allorchè son fuori del tempio, nelle occupazioni della vita comune, incombe loro l'obbligo di sorpassare in decenza e in virtù gli altri loro concittadini. Il Sacerdote degli Dei non dovrebbe mai vedersi ne' teatri o nelle taverne. La sua conversazione dovrebbe esser casta, il suo cibo temperato, i suoi amici d'onesta riputazione; e se qualche volta si fa vedere nel Foro o nel Palazzo, non dovrebbe comparirvi che come avvocato di quelli che hanno chiesto in vano giustizia o pietà. I suoi studj dovrebbero esser coerenti alla santità della sua professione. Le novelle licenziose, le commedie e le satire dovrebbero esser bandite dalla sua libreria, che solo dovrebbe esser composta di scritti storici e filosofici; di storia fondata sulla verità, e di filosofia connessa con la religione. L'empie opinioni degli Epicurei e degli Scettici meritano il suo abborrimento e disprezzo427; ma dovrebbe diligentemente studiare i sistemi di Pitagora, di Platone e degli Stoici, che insegnano concordemente, che vi sono gli Dei; che il Mondo è governato dalla lor providenza; che la lor bontà è la sorgente d'ogni bene temporale; e che hanno essi preparato per l'anima umana uno stato futuro di premio o di pena». L'Imperial Pontefice inculca ne' più persuasivi termini i doveri della beneficenza e dell'ospitalità; esorta l'inferiore suo clero a raccomandare la pratica universale di queste virtù; promette d'assister la loro indigenza col tesoro pubblico; e dichiarasi risoluto di stabilire degli ospedali in ogni città, ne' quali potesse il povero esser ricevuto senz'alcuna odiosa distinzione di religione o di patria. Giuliano vedeva con invidia i savj ed umani regolamenti della Chiesa, ed assai francamente confessa l'intenzione che aveva di spogliare i Cristiani dell'applauso e del vantaggio, ch'essi aveano acquistato mediante la pratica esclusiva della carità e della beneficenza428. Il medesimo spirito d'imitazione potè disporre l'Imperatore ad adottare varie istituzioni ecclesiastiche, l'uso ed importanza delle quali confermavasi dal buon successo de' suoi nemici. Ma se si fossero realizzati questi immaginari divisamenti di riforma, tal imperfetta e forzata copia sarebbe stata meno giovevole al Paganesimo che onorevole pe' Cristiani429. I Gentili, che pacificamente seguivano i costumi de' loro maggiori, restarono piuttosto sorpresi che edificati dall'introduzione di usi stranieri; e nel breve periodo del suo regno Giuliano ebbe frequenti occasioni di dolersi della mancanza di fervore del suo partito430.

L'entusiasmo di Giuliano gli facea risguardar gli amici di Giove come suoi personali amici e fratelli; e quantunque trascurasse con parzial disprezzo il merito della costanza Cristiana, ammirava e premiava la nobil perseveranza di que' Gentili, che preferito avevano il favor degli Dei a quello dell'Imperatore431. Se oltre la religione coltivavano anche la letteratura de' Greci acquistavano un diritto maggiore all'amicizia di Giuliano, che poneva le Muse nel numero delle sue Divinità tutelari. Nella religione, ch'egli aveva abbracciato, eran quasi sinonimo pietà ed erudizione432; e una folla di poeti, di retori, e di filosofi correva alla Corte Imperiale ad occupare i posti vacanti dei Vescovi che avean sedotto la credulità di Costanzo. Il suo successore stimava i vincoli dell'iniziazione molto più sacri di quelli della consanguineità, scelse i più favoriti fra' savj, ch'eran profondamente periti nelle occulte scienze della magia e della divinazione; ed ogn'impostore, che pretendea di rivelare i segreti futuri, era sicuro di godere l'accesso agli onori ed alle ricchezze433. Fra' filosofi, Massimo ottenne il grado più eminente nell'amicizia del suo reale discepolo, che ad esso comunicava con intera confidenza le sue azioni, i sentimenti ed i religiosi disegni che aveva nel tempo che restava sospesa la guerra civile434. Tosto che Giuliano ebbe preso possesso del palazzo di Costantinopoli, mandò un onorevole e pressante invito a Massimo, che in quel tempo dimorava a Sardi nella Lidia con Crisantio, suo compagno nell'arte e negli studi. Il prudente e superstizioso Crisantio ricusò d'intraprendere un viaggio che appariva, secondo le regole della divinazione, in un aspetto il più minaccioso e maligno; ma il compagno, ch'era d'un fanatismo di tempra più ardita, persistè nelle interrogazioni fintanto che non ebbe estorto dagli Dei un apparente consenso a' suoi desiderj ed a quelli dell'Imperatore. Il viaggio di Massimo per le città dell'Asia spiegava il trionfo della filosofica vanità; ed i Magistrati gareggiavan fra loro negli onori che preparavano per ricever l'amico del loro Sovrano. Giuliano, al momento che seppe l'arrivo di Massimo, recitava un'orazione in Senato; immediatamente interruppe il discorso, corse ad incontrarlo, e dopo un tenero abbraccio lo condusse per mano in mezzo dell'assemblea, dove pubblicamente confessò i vantaggi, che aveva tratti dall'istruzioni del filosofo. Massimo435, che presto acquistò la confidenza di Giuliano, ed influiva ne' suoi consigli, fu insensibilmente corrotto dalle tentazioni d'una Corte. Il suo vestire divenne più splendido, il suo portamento più altero, e sotto un altro regno fu esposto all'odiosa investigazione de' mezzi, co' quali il discepolo di Platone aveva accumulato, nella breve durata del suo favore, una molto scandalosa quantità di ricchezze. Dagli altri Filosofi e Sofisti, che furono invitati alla Corte Imperiale o dalla scelta di Giuliano o dal buon successo di Massimo, ben pochi furono capaci di conservare la loro innocenza o riputazione436. I generosi doni di danaro, di terre e di case non furono sufficienti a saziare la rapace loro avarizia; ed era giustamente eccitato lo sdegno del popolo dalla rimembranza dell'abbietta lor povertà e delle disinteressate loro proteste. Non potè sempre ingannarsi la penetrazion di Giuliano; ma ei non voleva avvilire il carattere di quelli, i talenti de' quali meritavano la sua stima; voleva evitare la doppia taccia d'imprudenza e d'incostanza; e temeva d'abbassare, agli occhi de' profani, l'onor delle lettere e della religione437.

 

Il favor di Giuliano era quasi ugualmente diviso fra i Pagani, ch'erano stati fermamente attaccati al culto de' loro maggiori, ed i Cristiani che prudentemente abbracciavano la religione del loro Sovrano. L'acquisto di nuovi proseliti438 soddisfaceva la superstizione e la vanità, dominanti passioni dell'animo suo; e s'udì protestare, coll'entusiasmo d'un Missionario, che quando egli avesse potuto rendere ogn'individuo più ricco di Mida, ed ogni città più grande di Babilonia, non si sarebbe creduto il benefattore dell'uman genere, se nel tempo stesso non avesse anche potuto richiamare i suoi sudditi dall'empia lor ribellione contro gli Dei immortali439. Un Principe, che avea studiato la natura umana, e che possedeva i tesori del Romano Impero, poteva adattare gli argomenti, le promesse ed i premj ad ogni ordine di Cristiani440; ed il merito d'un'opportuna conversione serviva a supplire a' difetti d'un candidato, o anche ad espiare il delitto d'un reo. Siccome l'esercito è la più forte macchina del potere assoluto, Giuliano applicossi con particolar diligenza a corrompere la religione delle sue truppe, senza il cordial concorso delle quali ogni passo doveva esser pericoloso ed inutile, e l'indole natural de' soldati rendè tal conquista altrettanto facile, quanto era importante. Le legioni della Gallia s'attaccarono alla fede ugualmente che alla fortuna del vittorioso lor Capitano; ed anche avanti la morte di Costanzo egli ebbe il piacere d'annunziare a' suoi amici, ch'essi assistevano con fervente devozione e vorace appetito a' sacrifizj, i quali più volte s'offerirono nel suo campo, d'intere ecatombe di grassi bovi441. Gli eserciti dell'Oriente, ch'erano stati tratti allo stendardo della croce e di Costanzo, richiesero una più sottile e dispendiosa specie di persuasione. L'Imperatore, ne' giorni di pubbliche e solenni feste, riceveva l'omaggio, e premiava il merito delle truppe. Il suo trono era circondato dall'insegne militari di Roma e della Repubblica; il santo nome di Cristo era cancellato dal Labaro; ed eran così destramente mescolati i simboli di guerra, di Maestà e di Pagana superstizione, che il suddito fedele incorreva il delitto d'idolatria, quando rispettosamente salutava la persona o l'immagine del suo Sovrano. I soldati passavano, l'un dopo l'altro, avanti di lui; ed a ciascheduno di essi, prima che dalla man di Giuliano ricevesse un liberal donativo proporzionato al suo grado ed a' suoi servigi, imponevasi di gettar pochi grani d'incenso nella fiamma che ardeva sopra l'altare. Alcuni confessori Cristiani poteron resistere, ed altri pentirsi di tal atto; ma la massima parte, allettata dalla vista dell'oro, ed intimorita dalla presenza dell'Imperatore, contrasse il colpevole impegno; ed ogni considerazione di dovere e d'interesse li confortava a perseverare in futuro nel culto degli Dei. Con la frequente ripetizione di tali artifizj, ed a spese di somme che sarebber servite a comprare i servigi della metà delle nazioni della Scizia, Giuliano appoco appoco acquistò l'immaginaria protezion degli Dei per le sue truppe, e per sè lo stabile e reale sostegno delle Romane Legioni442. In fatti egli è più che probabile, che la restaurazione e l'incoraggiamento del Paganesimo dovesse scoprire una moltitudine di pretesi Cristiani, i quali per motivi di vantaggi temporali aveano aderito alla religione del precedente regno; e che dopo, con la medesima flessibilità di coscienza, tornarono alla fede professata da' successori di Giuliano.

Mentre il dovuto Monarca continuamente s'affaticava a restaurare e propagar la religione de' suoi antenati, concepì lo straordinario disegno di rifabbricare il tempio di Gerusalemme. In una pubblica lettera443 alla nazione o comunità degli Ebrei, dispersi per le Province, compassiona le loro disgrazie, ne condanna gli oppressori, ne loda la costanza, si dichiara grazioso lor protettore, ed esprime una pia speranza, che dopo il ritorno dalla guerra Persiana gli sarà permesso di tributare i suoi voti all'Onnipotente nella santa sua città di Gerusalemme. La cieca superstizione e l'abbietta servitù di que' miserabili esuli avrebbe dovuto eccitare il disprezzo d'un filosofo Imperatore; ma essi meritarono l'amicizia di Giuliano pel loro implacabil odio al nome di Cristo. La sterile sinagoga abborriva ed invidiava la fecondità della ribelle Chiesa; la forza degli Ebrei non era uguale alla loro malizia; ma i lor più gravi Rabbini approvavano la privata uccision d'un apostata444; ed i lor sediziosi clamori aveano spesso svegliata l'indolenza dei Magistrati Pagani. Sotto il regno di Costantino, gli Ebrei divennero sudditi de' lor ribelli figliuoli; nè passò lungo tempo, che provarono l'amarezza della domestica tirannia. Le immunità civili, che loro erano state concesse o confermate da Severo, furono appoco appoco rivocate da' Principi Cristiani; ed un temerario tumulto eccitato dagli Ebrei della Palestina445 parve che giustificasse le lucrose maniere d'oppressione, inventate da' Vescovi e dagli Eunuchi della Corte di Costanzo. L'Ebraico Patriarca, al quale veniva sempre permesso d'esercitare una precaria giurisdizione, teneva la sua residenza in Tiberiade446; e le vicine città della Palestina erano pieno de' residui d'un popolo, ch'era fortemente attaccato alla Terra Promessa. Ma fu rinnovato ed invigorito l'editto d'Adriano; ed essi guardavano da lontano le mura della santa Città, profanate sotto i loro occhi dal trionfo della croce e dalla devozion de' Cristiani447.

 

In mezzo ad un sassoso e steril paese, le mura di Gerusalemme448 contenevano le due montagne di Sion e d'Acra dentro un ovale recinto di circa tre miglia Inglesi449. Verso il mezzodì sorgevano sull'alto del monte Sion la parte più elevata della città e la torre di David; al Settentrione, le fabbriche della più bassa parte cuoprivano la spaziosa cima del monte Acra; ed una parte del colle, distinto col nome di Moriah, e posto a livello dall'industria umana, era coronata dal magnifico tempio della nazione Giudaica. Dopo l'ultima distruzione del tempio operata dalle armi di Tito e d'Adriano, si fece passar l'aratro sopra la Terra Sacra come un segno di perpetuo interdetto. Sionne fu abbandonato, e fu ripieno il voto della più bassa parte della città con pubblici e privati edifizi della Colonia Elia, che si sparsero sull'addiacente monte Calvario. I santi luoghi restaron contaminati da monumenti d'idolatria; e fu dedicata, o a bella posta, o per accidente, a Venere una cappella, in quel luogo appunto ch'era stato santificato dalla morte e dalla resurrezione di Cristo450. Quasi trecent'anni dopo tali stupendi avvenimenti, fu demolita la profana cappella di Venere per ordine di Costantino; e lo smuover che si fece della terra e delle pietre scuoprì agli occhi dell'uman genere il santo Sepolcro. Fu eretta una magnifica Chiesa su quella mistica terra dal primo Imperatore Cristiano; e gli effetti della sua pia munificenza s'estesero ad ogni luogo ch'era stato consacrato dalle vestigia de' Patriarchi, de' Profeti e del figlio di Dio451.

L'ardente desiderio di contemplare i monumenti originali della redenzione tirò a Gerusalemme una folla continua di pellegrini da' lidi del mare Atlantico e dai più distanti paesi dell'Oriente452; e la lor pietà fu autorizzata dall'esempio dell'Imperatrice Elena, la quale sembra che unisse la credulità della vecchiezza coi fervidi sentimenti d'una conversione recente. I savi e gli Eroi, che hanno visitato le memorabili scene della gloria o del sapere antico, han confessato di sentire l'inspirazione del Genio del luogo453; ed i Cristiani, che si prostravano avanti al santo sepolcro, attribuivano la loro viva fede e fervente devozione all'influsso più immediato del Divino Spirito. Lo zelo, e forse l'avarizia, del clero di Gerusalemme promuoveva e moltiplicava tali benefiche visite. Si fissava, per mezzo d'indubitabile tradizione, la scena d'ogni memorabile avvenimento. Si facean veder gl'istrumenti, ch'erano stati usati nella passione di Cristo; i chiodi e la lancia che ne avea trafitto le mani, i piedi ed il petto; la corona di spine che gli fu posto sul capo; la colonna alla quale fu flagellato; e sopra tutto la croce su cui soffrì, e che era stata dissotterrata nel regno di que' Principi, che inserirono il simbolo del Cristianesimo nelle bandiere delle Romane legioni454. Si propagarono appoco appoco senza opposizione tutti que' miracoli, che parvero necessari per render ragione della straordinaria conservazione, e dell'opportuna scoperta di tali cose. La custodia della vera Croce, che solennemente nella Domenica di Pasqua esponevasi al popolo, era affidata al Vescovo di Gerusalemme; ed egli solo potea soddisfare la curiosa devozione de' pellegrini con darne loro piccoli pezzi, ch'essi incassavano in gemme o in oro, e seco portavano in trionfo a' respettivi loro paesi. Ma siccome questo lucroso ramo di commercio avrebbe dovuto presto finire, si trovò conveniente di supporre che quel maraviglioso legno godesse una segreta forza di vegetazione; e che la sua sostanza, quantunque continuamente diminuita, restasse sempre intera e l'istessa455. Si sarebbe forse aspettato che l'influsso del luogo e la fede d'un perpetuo miracolo dovessero aver prodotto qualche salutevol effetto ne' costumi e nella fede del popolo. Pure i più rispettabili fra gli scrittori Ecclesiastici sono stati costretti a confessare non solamente che le strade di Gerusalemme eran piene d'un continuo tumulto di negozi e di piaceri456; ma che ogni specie di vizio, l'adulterio, il furto, l'idolatria, il veneficio, l'omicidio ec. era famigliare agli abitanti della Santa Città457. La ricchezza e preeminenza della Chiesa di Gerusalemme eccitava l'ambizione de' candidati Arriani e degli Ortodossi; e le virtù di Cirillo, che dopo la sua morte è stato onorato col titolo di santo, si fecero conoscer piuttosto nell'esercizio che nell'acquisto della sua Episcopal dignità458.

Potè la vana ed ambiziosa mente di Giuliano aspirare a ristabilire l'antica gloria del tempio di Gerusalemme459. Siccome i Cristiani eran fermamente persuasi, che si fosse pronunziata una sentenza d'eterna distruzione contro tutta la fabbrica della legge Mosaica, il Sofista Imperiale avrebbe convertito il successo della sua impresa in uno specioso argomento contro la fede della profezia e la verità della rivelazione460. Gli dispiaceva lo spiritual culto della sinagoga; ma approvava le instituzioni di Mosè, che non avea sdegnato d'adottar molti riti e ceremonie dell'Egitto461. La locale e nazional Divinità degli Ebrei era sinceramente adorata da un politeista, che desiderava soltanto di moltiplicare il numero degli Dei462; e tal era l'appetito di Giuliano pe' sacrifizi di sangue, che la pietà di Salomone, il quale nella festa della dedicazione aveva offerto ventiduemila bovi, e centoventimila pecore463, avrebbe potuto eccitar la sua emulazione. Tali riflessioni poterono influire ne' suoi disegni; ma il prospetto d'un immediato ed importante vantaggio non soffriva che l'impaziente Monarca aspettasse il lontano ed incerto evento della guerra Persiana. Ei risolse d'erigere senza dilazione, sulla dominante cima del Moriah, un magnifico tempio; che potesse ecclissar lo splendore della Chiesa della Resurrezione, situata sull'addiacente colle del Calvario; di ristabilirvi un ordine di Sacerdoti, l'interessato zelo de' quali scoprisse le arti, e resistesse all'ambizione de' Cristiani loro rivali; e d'invitarvi una colonia numerosa di Ebrei, il forte fanatismo de' quali sarebbe sempre stato pronto a secondare, ed anche a prevenire le ostili misure del governo Pagano. Fra gli amici dell'Imperatore (se non sono incompatibili i nomi d'Imperatore e d'amico) s'assegnava da Giuliano medesimo il primo luogo al virtuoso e dotto Alipio464. L'umanità d'Alipio era moderata da una severa giustizia e da una virile fortezza, e nel tempo ch'esercitava la sua abilità nella civile amministrazione della Gran-Brettagna, imitava nelle sue poetiche composizioni l'armonia e dolcezza delle odi di Saffo. Questo Ministro, al quale Giuliano comunicava senza riserva le sue più minute leggerezze ed i suoi più serj disegni, ricevè la straordinaria commissione di ristabilire nella sua primiera bellezza il tempio di Gerusalemme; e la diligenza d'Alipio richiese ed ottenne il vigoroso aiuto del Governatore della Palestina. Alla chiamata del loro gran liberatore, gli Ebrei da tutte le Province dell'Impero si unirono sulla santa montagna de' loro padri; ed il loro insolente trionfo commosse ed esacerbò i Cristiani abitanti di Gerusalemme. Il desiderio di riedificare il tempio in ogni secolo è stata la passion dominante de' figli d'Israele. In tale propizio momento gli uomini si dimenticaron della loro avarizia, e le donne della loro delicatezza; dalla vanità de' ricchi si provvidero zappe e picconi d'argento, e si trasportavano i sassi in mantelli di seta e di porpora. S'aprì ogni borsa a liberali contribuzioni, ogni mano volle aver parte nel pio lavoro, ed i comandi d'un gran Monarca furono eseguiti dall'entusiasmo d'un intero popolo465.

Pure in quest'occasione i congiunti sforzi del potere e dell'entusiasmo riuscirono inutili: ed il suolo del tempio Giudaico, che adesso è coperto da una Moschea Maomettana466, continuò sempre a presentare lo stesso edificante spettacolo di rovina e desolazione. Forse l'assenza e la morte dell'Imperatore, e le nuove massime d'un regno Cristiano spiegar potrebbero l'interrompimento d'una difficile opera, la quale non fu intrapresa che negli ultimi sei mesi della vita di Giuliano467. Ma i Cristiani avevano una pia e naturale speranza, che in questa memorabil contesa si sarebbe vendicato l'onor della religione da qualche segnalato miracolo. Che un terremoto, un turbine, ed una eruzione di fuoco rovesciassero e disperdessero i nuovi fondamenti del tempio, s'attesta con qualche variazione da contemporanei e rispettabili testimoni468. Questo pubblico fatto è descritto da Ambrogio469 Vescovo di Milano in una lettera all'Imperator Teodosio, che doveva provocare la severa critica degli Ebrei; dall'eloquente Crisostomo470, che poteva appellarsene alla memoria de' più vecchi nella sua congregazione d'Antiochia, e da Gregorio Nazianzeno471, il quale pubblicò il suo ragguaglio del miracolo avanti che spirasse il medesimo anno. L'ultimo di questi Scrittori coraggiosamente ha dichiarato, che questo soprannaturale avvenimento non si contrastava neppure dagl'Infedeli; e per quanto strana sembrar possa tale asserzione, vien confermata dall'indubitabil testimonianza d'Ammiano Martellino472. Il filosofo soldato che amava le virtù senza adottare i pregiudizi del suo Signore, ha riportato, nella giudiziosa e candida storia de' suoi tempi gli straordinari ostacoli, che interruppero la restaurazione del tempio di Gerusalemme: «Mentre Alipio, assistito dal Governatore della Provincia, promuoveva con vigore e diligenza l'esecuzione dell'opera, venendo fuori degli orribili globi di fuoco vicino a' fondamenti, renderono quel luogo inaccessibile agli artefici, varie volte da essi abbruciati; e continuando il vittorioso elemento in tale modo ad ostinatamente rispingerli indietro, l'impresa fu abbandonata». Tale autorità deve soddisfare un credente, e sorprendere un incredulo. Pure un filosofo potrà sempre domandare l'original testimonianza d'intelligenti ed imparziali spettatori. In quella crisi importante, ogni singolare accidente di natura potrebbe assumere l'apparenza, e produrre gli effetti di un vero prodigio. Tal gloriosa liberazione si sarebbe messa tosto a profitto, e magnificata dalla pia sagacità del Clero di Gerusalemme, e dall'attiva credulità del mondo Cristiano; ed alla distanza di vent'anni un Istorico Romano, non curante di teologiche dispute, potè bene adornar la sua opera con quello splendido e specioso miracolo473.

La restaurazione del tempio Giudaico era segretamente connessa con la rovina della Chiesa Cristiana. Giuliano continuava sempre a mantenere la libertà del culto religioso, senza distinguere se questa universale tolleranza dipendeva dalla giustizia o dalla clemenza di lui. Affettava di aver pietà degl'infelici Cristiani, che s'ingannavano sul punto più importante di loro vita; ma la sua pietà era avvilita dal disprezzo, il disprezzo era invelenito dall'odio, e Giuliano esprimeva i suoi sentimenti in uno stile di spirito satirico, il quale cagiona profonde e mortali ferite, quando viene dalla bocca d'un Sovrano. Siccome sapeva che i Cristiani si gloriavano nel nome del loro Redentore, soleva usare, e forse ordinò che si desse loro il titolo men onorevole di Galilei474. Dichiarò che per la follia de' Galilei, quali esso descrive come una Setta di fanatici disprezzabili dagli uomini ed odiosi agli Dei, erasi ridotto sull'orlo della distruzione l'Impero, ed in un pubblico editto insinua che un frenetico ammalato può alle volte curarsi con salutare violenza475. Giuliano aveva adottato nell'animo e ne' consigli una illiberal distinzione, che secondo la differenza de' religiosi loro sentimenti, una parte de' suoi sudditi meritasse il suo favore e la sua amicizia, mentre l'altra non avesse diritto, che a' comuni benefizi, cui la sua giustizia ricusar non poteva ad un popolo ubbidiente476. A norma d'un principio fecondo d'oppressioni e di mali, trasferì a' Pontefici della sua religione il maneggio delle generose prestazioni, che dal pubblico erario avea concesse alla Chiesa la pietà di Costantino e de' suoi figliuoli. L'orgoglioso sistema degli onori e delle immunità clericali, che s'era stabilito con tant'arte e fatica, fu gettato a terra; si tolsero dal rigor delle leggi le speranze delle testamentarie donazioni; ed i Sacerdoti della Setta Cristiana rimaser confusi colla ultima e più ignominiosa classe del popolo. Fra questi regolamenti, quelli che parvero necessari a frenare l'ambizione e l'avarizia degli Ecclesiastici, furon poco dopo imitati dalla saviezza d'un Principe ortodosso. Le speciali distinzioni, introdotte dalla politica, o dalla superstizione profuse nell'ordine Sacerdotale, debbono ristringersi a que' Sacerdoti, che professano la religione dello Stato. Ma la volontà del Legislatore non era esente dal pregiudizio e dalla passione; e l'insidiosa politica di Giuliano tendeva a spogliare i Cristiani di tutti gli onori e vantaggi temporali, che li rendevano rispettabili agli occhi del Mondo477.

Si è fatta una giusta e severa censura a quella legge, che proibiva a' Cristiani d'apprender le arti della grammatica e della rettorica478. I motivi allegati dall'Imperatore per giustificare tal atto parziale ed oppressivo, poterono, durante la sua vita soltanto, imporre silenzio agli schiavi, e riscuoter applauso dagli adulatori. Giuliano abusò dell'ambiguo senso di una parola, che poteva indifferentemente applicarsi alla lingua ed alla religione de' Greci: egli osserva con disprezzo che gli uomini, i quali esaltano il merito d'una implicita fede, non debbon pretendete di godere i vantaggi della scienza; e vanamente sostiene che se ricusano d'adorare gli Dei d'Omero e di Demostene, debbon contentarsi d'esporre Luca e Matteo nelle Chiese de' Galilei479. In tutte le città del mondo Romano, s'affidava l'educazione della gioventù a' maestri di grammatica e di rettorica, ch'erano eletti da' Magistrati, mantenuti a pubbliche spese, e distinti con molti lucrosi ed onorevoli privilegi. L'editto di Giuliano pare che includesse anche i medici ed i professori di tutte le arti liberali; e l'Imperatore, che riservò a se stesso l'approvazione de' candidati, fu autorizzato dalle leggi a corrompere o a punire la religiosa costanza de' più dotti fra' Cristiani480. Tosto che la dimissione de' più ostinati481 maestri ebbe stabilito senza rivali il dominio de' sofisti Pagani, Giuliano invitò la nascente generazione a frequentar con libertà le pubbliche scuole, nella giusta fiducia che le tenere menti avrebber ricevuto le impressioni della letteratura e dell'idolatria. Se poi la maggior parte della gioventù Cristiana pe' propri scrupoli o per quelli de' lor genitori si fosse ritenuta dall'abbracciare tale pericolosa maniera d'istruzione, dovea nel tempo stesso rinunziare a' vantaggi d'un'educazion liberale. Giuliano avea motivo di sperare che, nello spazio di pochi anni, la Chiesa ricaduta sarebbe nella sua primiera semplicità, e che a' Teologi, che possedevano un'adequata porzione della dottrina e dell'eloquenza di quel secolo, sarebbe successa una generazione di ciechi od ignoranti fanatici, incapaci di difender la verità dei loro principj, e d'esporre le varie follie del politeismo482.

Il desiderio e l'intenzion di Giuliano era senza dubbio di privare i Cristiani de' vantaggi, delle ricchezze, delle cognizioni e del potere; ma l'ingiustizia di escluderli da tutti gli uffizi di fedeltà e di profitto, sembra che fosse il risultato della sua generale politica piuttosto che l'immediata conseguenza d'alcuna legge positiva483. Potè un merito superiore stimarsi degno di qualche straordinaria eccezione ma la maggior parte de' ministri Cristiani furono appoco appoco rimossi da' loro impieghi nello Stato, nell'esercito o nelle Province. S'estinsero le speranze de' futuri candidati dalla dichiarata parzialità d'un Principe, che maliziosamente rammentava loro, non esser lecito ad un Cristiano di usare la spada o della giustizia o della guerra, e che premurosamente muniva il campo ed i tribunali con le insegne dell'idolatria. Il potere del Governo fu affidato a' Pagani, che professavano un ardente zelo per la religione de' loro Maggiori; e poichè la scelta dell'Imperatore spesso dipendeva dalle regole della divinazione, i favoriti ch'ei preferiva come i più grati agli Dei, non ottenevan sempre l'approvazione degli uomini484. I Cristiani, sotto l'amministrazione de' loro nemici, molto ebbero da soffrire e più da temere. L'indole di Giuliano era contraria alla crudeltà; e la cura della sua riputazione, esposta agli occhi dell'Universo, riteneva il filosofo Monarca dal violare le leggi della giustizia e della tolleranza, che egli stesso sì recentemente avea stabilito. Ma i Ministri provinciali della sua autorità si trovavano in un posto meno cospicuo; nell'esercizio dell'arbitrario potere essi consultavano i desiderj piuttosto che gli ordini del loro Sovrano; ed osavano d'esercitare una segreta e vessante tirannia contro i Settari, a' quali non era loro concesso di conferire l'onor del Martirio. L'Imperatore, il quale dissimulò più che potè la cognizione dell'ingiustizia, ch'esercitavasi in nome suo, espresse il suo real sentimento intorno alla condotta de' suoi Ministri con dolci espressioni o con premj effettivi485.

426Vedi Giuliano (Epist. 49. 62. 63) ed un lungo e curioso frammento senza principio nè fine (p. 288. 305). Il pontefice Massimo deride la storia Mosaica e la disciplina Cristiana, preferisce i Poeti Greci a' Profeti Ebrei, e dissimula coll'arte d'un Gesuita, il culto relativo delle immagini.
427L'esultazione di Giuliano (p. 301) perchè s'estinguessero quest'empie Sette ed anche i loro scritti, può essere assai coerente al carattere Sacerdotale; ma è indegno d'un Filosofo il desiderare, che si celasse agli occhi del genere umano alcuna opinione o argomento anche il più ripugnante al proprio sentire.
428Insinua però che i Cristiani, sotto pretesto di carità, involavano i fanciulli alla lor religione ed a' loro genitori, li trasportavano sopra navi, e condannavano queste vittime ad una vita di povertà o di servitù in un remoto paese (p. 305). Se l'accusa fosse stata provata, il suo dovere non era di dolersi, ma di punire.
429Gregorio Nazianzeno è faceto, ingegnoso ed arguto (Orat. III. p. 101, 102. ec.) Egli pone in ridicolo la follia di tal vana imitazione, e si diverte ad investigare quali morali o teologiche lezioni potrebbero trarsi dalle favole Greche.
430Egli accusa uno de' suoi Pontefici d'una segreta lega co' Vescovi e Preti Cristiani. Epist. 69. Ορων ουν πολλην μεν ολιγωριαν ουσων ημιν προς τους θεους, vedendo pertanto che in noi si trova molta negligenza verso gli Dei; e di nuovo ημας δε ουτω ραθυμως; che noi così languidamente ec. Ep. 63.
431Ei loda la fedeltà di Callissene, Sacerdotessa di Cerere, ch'era stata due volte costante come Penelope, e la rimunera col Sacerdozio della Dea Frigia a Pessino (Giuliano Epist. 21). Applaude alla fermezza di Sopatro di Jerapoli, che più volte da Costanzo e da Gallo era stato stimolato ad apostatare (Epist. 27. p. 401).
432Ο δε νομιζων αδελφα λογους τε και θεων ιερα: stimando congiunti fra loro i raziocinj ed i misteri degli Dei. Orat. parent. c. 77, p. 302. Viene inculcato spesse volte il medesimo sentimento da Giuliano, da Libanio, e dagli altri del loro partito.
433Ammiano (XXII. 12) espone elegantemente la curiosità e credulità dell'Imperatore, che approvava ogni specie di divinazione.
434Giuliano Epist. 38. Sono indirizzate al filosofo Massimo le altre tre lettere 15, 16 e 39 col medesimo stile d'amicizia e di confidenza.
435Eunapio (in Massimo p. 77. 78. 79 et in Chrysanthio p. 147. 148) ha minutamente riportati questi aneddoti, ch'ei crede i fatti più importanti di quel tempo. Nondimeno ingenuamente confessa la fragilità di Massimo. Il suo ricevimento a Costantinopoli è descritto da Libanio (Orat. parent. c. 86. p. 301) e da Ammiano (XXII. 7).
436Crisantio, che avea ricusato di partir dalla Lidia, fu creato sommo Sacerdote della Provincia. Il cauto e moderato uso che fece del suo potere, l'assicurò dopo la rivoluzione, e visse in pace, mentre Massimo, Prisco ec. furon perseguitati da' ministri Cristiani. Vedi le avventure di que' fanatici sofisti, raccolte dal Brucker T. II. 281-293.
437Vedi Libanio (Orat. parent. c. 101. 102. p. 324. 325. 326.) ed Eunapio (Vit. Sophista. in Proderesio. p. 126). Alcuni studenti, le speranze de' quali erano forse mal fondate o stravaganti, si ritirarono disgustati (Greg. Nazianz. Orat. IV. p. 120). Egli è strano, che non possiamo essere in grado di contraddire al titolo d'un capitolo di Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 960.) «La cour de Julien est pleine de philosophes et de gens perdus».
438Durante il regno di Luigi XIV. i suoi sudditi d'ogni ordine aspiravano al glorioso titolo di Convertisseur, che esprimeva lo zelo e successo loro in far de' proseliti. Sì la parola, che l'idea in Francia sono presentemente antiquate. Possano in Inghilterra non trovare accesso giammai!
439Vedansi le forti espressioni di Libanio, ch'erano probabilmente quelle di Giuliano medesimo (Orat. parent. c. 59. p. 285.)
440Quando Gregorio Nazianzeno (Orat. X. p. 167.) vuol magnificare la fermezza Cristiana di Cesario suo fratello, medico alla Corte Imperiale, confessa che Cesario disputò con un formidabile avversario, πολυν εν οπλοις, και μεγαν εν λογων δεινοτητι abbondante di armi, e grande nella forza del discorso. Nelle sue invettive appena concede alcuna dose d'ingegno o di coraggio all'apostata.
441Giuliano Epist. 38. Ammiano XXII. 12. Adeo ut in dies poene singulos milites carnis distentiore sagina victitantes incultius, potusque aviditate correpti humeris impositi transeuntum per plateas ex publicis aedibus… ad sua diversoria portarentur. Tanto il devoto Principe, quanto lo sdegnato Istorico descrivono la medesima scena; e nell'Illirico non meno che in Antiochia simili cause debbono avere prodotto simili effetti.
442Gregor. (Orat. III p. 74. 75. 83. 86) e Libanio (Orat. parent. c. 81, 82, p. 307, 308) περι ταυτην την σπουδην ουκ αρνουμαι πλουτον ανηλωσται μεγαν; per tale ardore nego essersi spese grandi somme. Il sofista confessa e giustifica la spesa di queste militari conversioni.
443La lettera XXV di Giuliano è indirizzata alla comunità degli Ebrei. Aldo (Venet. 1499) l'ha notata con un ει γνησιον, se genuina; ma di tal taccia è stata giustamente liberata da' seguenti Editori Petavio e Spanemio. Fa menzione di questa lettera Sozomeno (l. V. c. 22) ed il senso di essa vien confermato da Gregorio (Orat. IV. p. 111) e da Giuliano medesimo (Fragmen. p. 295).
444Il Misnah determinava la morte contro quelli che abbandonavano il fondamento. Il giudizio di zelo è spiegato dal Marsham (Canon. Chron. p. 161 162. Edit. fol. Lond. 1672) e dal Basnagio (Hist. des Juifs T. VIII. p. 120). Costantino fece una legge per proteggere i Cristiani convertiti dal Giudaismo. Cod. Theod. lib. XXI. Tit. VIII. leg. 1. Gothofred. Tom. VI. p. 215.
445Et interea (nel tempo della guerra civile di Magnenzio) Judaeorum seditio, qui Patricium nefarie in regni speciem sustulerunt, oppressa; Aurel. Vittor. in Constantio c. 42. Vedi Tillemont Hist. des Emper. T. IV. p. 379. in 4.
446La città e la sinagoga di Tiberiade sono curiosamente descritte da Reland. Palestin. Tom. II. p. 1036-1042.
447Il Basnagio ha pienamente illustrato lo stato degli Ebrei sotto Costantino ed i suoi successori. Tomo VIII. c. IV. p. 111-155.
448Reland (Palest. l. I. p. 309, 390. l. III. p. 838.) descrive con erudizione e chiarezza Gerusalemme, e l'aspetto dell'addiacente paese.
449Ho consultato un raro e curioso trattato del Danville Sur l'ancienne Jerusalem. Paris 1747. p. 75. La circonferenza dell'antica città (Euseb. Praepar. Evang. l. IX. c. 36.) era di 27. stadi, o di 2550. tese francesi. Una pianta presa sul luogo, non ne assegna più di 1980. alla moderna città. Il recinto vien determinato da segni naturali che non possono sbagliarsi o rimuoversi.
450Vedi due curiosi passi appresso Girolamo Tom. I. p. 102. Tom. VI. p. 315. e le molte particolarità riferite dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. I. p. 509. Tom. II. 289. 294. ed. in 4).
451Euseb. in Vit. Constant. l. III. c. 25-47. 51-53. L'Imperatore fabbricò similmente delle Chiese a Betlemme, sul monte Oliveto, ed alla quercia di Mambre. Il Santo Sepolcro è descritto da Sandys (Viag. p. 125. 133), e curiosamente disegnato dal Le Bruyn (Voyage au Levant. p. 288-296).
452L'itinerario da Bordò a Gerusalemme fu composto nell'anno 333 per uso de' pellegrini, fra' quali Girolamo (Tom. I. p. 126) conta Brettoni ed Indiani. Le cause di questa religiosa moda son discusse nella dotta e giudiziosa prefazione di Wesseling (Itiner. p. 537-545).
453Cicerone (de Finib. V. 1.) ha espresso elegantemente il senso comune degli uomini.
454Il Baronio (Annal. Eccl. an. 326. n. 42-50.) ed il Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 8-16) sono gl'Istorici ed i campioni della miracolosa invenzione della croce nel regno di Costantino. Le loro più antiche testimonianze son tratte da Paolino, da Sulpicio Severo, da Ruffino, da Ambrogio, e forse da Cirillo di Gerusalemme. Il silenzio d'Eusebio e del pellegrino di Bordò soddisfanno alcuni e rendon altri perplessi. Vedi le notabili osservazioni di Jortin Vol. II p. 238. 248.
455S'asserisce tal moltiplicazione da Paolino (Epist. 36.). Vedi Dupin (Bibl. Eccles. Tom. III. p. 149), il quale sembra estendere un ornamento oratorio di Cirillo ad un fatto reale. Il medesimo soprannatural privilegio dev'essersi comunicato al latte della Vergine; (Erasmi Opera T. I. p. 378. Lugd. Batav. 1703 in colloq. de peregr. relig. ergo), alle teste de' Santi; e ad altre reliquie, che si trovano replicate in tante Chiese diverse.
456Girolamo (T. I. p. 103), che dimorava nel vicino villaggio di Betlemme, descrive per propria esperienza i vizi di Gerusalemme.
457Gregorio Nissen. ap. Vesseling. p. 539. Tutta quell'epistola, che condanna o l'uso o l'abuso de' religiosi pellegrinaggi, è incomoda pe' teologi Cattolici, laddove riesce grata e famigliare a' polemici Protestanti.
458Ei rinunziò alla sua ordinazione ortodossa, uffiziò come Diacono, e fu riordinato dalle mani degli Arriani. Ma in seguito Cirillo cangiò col tempo, e prudentemente si uniformò alla fede Nicena. Il Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VIII.) che tratta la memoria di Cirillo con tenerezza e rispetto, ha inserito nel testo le sue virtù, e nelle note, con una decente oscurità, i suoi difetti.
459Imperii sui memoriam magnitudine operam gestiens propagare. Ammiano XXIII. 1. Il tempio di Gerusalemme era stato famoso anche fra' Gentili. Questi avevano molti tempj in ogni città (cinque in Sichem, otto in Gaza, a Roma quattrocento ventiquattro); ma la ricchezza e la religione della nazion Giudaica eran tutte concentrate in un luogo.
460S'espongono le segrete intenzioni di Giuliano dal fu Vescovo di Glocester, l'erudito e dogmatico Warburton, che coll'autorità d'un Teologo prescrive i motivi e la condotta dell'Esser supremo. Il discorso intitolato Giuliano (2. Ediz. Lond. 1751) contiene in sommo grado tutte le particolarità imputate alla scuola Warburtoniana.
461Io mi difendo coll'autorità di Maimonide, di Marsham, di Spencer, di le Clerc, di Warburton ec., che hanno elegantemente deriso i timori, la follia e la falsità di alcuni superstiziosi Teologi. Vedi Div. Legat. vol. IV. p. 25.
462Giuliano (Fragm. p. 295) lo chiama rispettosamente μεγας θεος grande Dio, ed altrove (Epist. 63) lo rammenta con sempre maggior riverenza. Ei condanna doppiamente i Cristiani, e perchè credevano, e perchè rinunziavano la religione degli Ebrei. La loro Divinità era secondo esso il vero, ma non l'unico Dio. Ap. Cyrill. l. IX p. 305.
463I. Reg. VIII. 63. II. Numer. VII. 5. Joseph. Antiq. Jud. l. VIII, c. 4. p. 431. edit. Havercamp. Siccome il sangue ed il fumo di tante ecatombe sarebbe stato inconveniente, il Cristiano Rabbino Lightfoot se ne sbriga con un miracolo. Le Clerc (in quei luoghi) ardisce di sospettare della fedeltà de' numeri.
464Juliano Epist. XXIX, XXX. La Bleterie ha trascurato di tradurre la seconda di queste lettere.
465Vedi lo zelo e l'impazienza degli Ebrei appresso Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. v. 111.) e Teodoreto (l. III. c. 20).
466Fabbricata da Omar, secondo Califfo, che morì l'anno 644. Questa gran Moschea occupa tutto il sacro terreno del tempio Giudaico; e forma quasi un quadrato di 760 tese, o un miglio Romano in circonferenza. Vedi Danville Jerusalem. p. 45.
467Ammiano rammenta i Consoli dell'anno 363 avanti di procedere a far menzione de' pensieri di Giuliano: Templum instaurare sumptibus cogitabat immodicis. Warburton ha un segreto desiderio d'anticiparne il disegno; ma deve avere appreso da' più antichi esempi, che l'esecuzione di tal opera avrebbe richiesto molti anni.
468Le successive testimonianze di Socrate, di Sozomeno, di Teodoreto, di Filostorgio ec. aggiungono contraddizioni anzi che autorità. Si confrontino le obbiezioni di Basnagio (Hist. des Juifs, Tom. VIII. p. 157. 168.) con le risposte di Warburton (Julian. p. 174. 258). Il Vescovo ha spiegato ingegnosamente le croci miracolose, che apparivano sulle vesti degli spettatori per mezzo d'un simil esempio e de' naturali effetti del baleno.
469Ambrog. Tom. II. Epist. 40. p. 946. Edit. Bened. Egli compose questa lettera l'anno 388 per giustificare un Vescovo ch'era stato condannato dal Magistrato civile per aver bruciato una sinagoga.
470Grisostomo Tom. I. p. 580 adv. Judaeos et Gent. T. II. p. 574. de S. Babyla Edit. Montfaucon. Io ho seguitato la comune e naturale supposizione; ma il dotto Benedettino, che riferisce la composizione di questi sermoni all'an. 383, crede che non fosser mai pronunziati dal pulpito.
471Gregor. Nazianzeno Orat. IV. p. 110. 113. Το δε ουν περιβοητον πασι θαυμα και ουδε τοις αθεοις αυτοις απιστουμενον λεξων ερχομαι. Intraprendo a narrare adunque tal prodigio noto a tutti, e neppure negato dagli stessi infedeli.
472Ammiano XXIII. 1. Cum itaque rei fortiter instaret Alypius, juvaretque Provinciae rector, metuendi globi flammarum prope fundamenta crebris assultibus erumpentes fecere locum exustis aliquoties operantibus inaccessum: hocque modo elemento destinatius repellente, cessavit inceptum. Warburton s'affatica d'estorcere (p. 60. 90.) una confessione del miracolo dalla bocca di Giuliano e di Libanio, e di servirsi della testimonianza d'un Rabbino, che visse nel XV Secolo. Tali prove non possono ammettersi che da un giudice ben favorevole.
473Il Dottor Lardner è forse il solo fra' critici Cristiani ad osare di porre in dubbio la verità di questo famoso miracolo. Testim. Giudaic. Pag. Vol. IV. p. 47. 71. Il silenzio di Girolamo condurrebbe a sospettare, che potesse dispregiarsi sul luogo quella medesima storia ch'era celebre in lontananza.
474Greg. Nazianz. Orat. III. p. 81. E questa legge fu confermata dalla pratica invariabile dell'istesso Giuliano. Warburton ha giustamente osservato (p. 35) che i Platonici credevano nella misteriosa virtù delle parole: ed il contraggenio di Giuliano pel nome di Cristo potea procedere da superstizione ugualmente che da disprezzo.
475Juliano Fragm. p. 288. Ei deride la μορια αλιλαιων stoltezza dei Galilei; (Epist. 7) e perde tanto di vista i principj di tolleranza, che brama, Epist. 42. ακοντας ιασθαι, medicarli contro lor voglia.
476Ου γαρ μοι θεμις εστι χομιζεμεν, η ελεαιρειν Ανδρας οι και θεοισιν απεχθωντ’ αθανατοισιν. Poichè non mi è permesso d'aver cura o misericordia di uomini, che sono odiosi agli Dei immortali. Questi due versi, che Giuliano ha cangiati e pervertiti nel vero spirito d'un superstizioso (Epist. 49) son presi dal discorso d'Eolo, che ricusa di accordare ad Ulisse un nuovo aiuto di venti (Odyss. X. 73). Libanio (Orat. parent. c. 59. p. 286.) tenta di giustificare questa parziale condotta con un'apologia, in cui si travede la persecuzione attraverso la maschera del candore.
477Queste leggi sopra il Clero si posson vedere ne' leggieri cenni, che ne ha dato Giuliano medesimo (Epist. 52.), nelle vaghe declamazioni di Gregorio (Orat. III. p. 86. 87), e nelle positive asserzioni di Sozomeno l. V. c. 5.
478Inclemens, perenni obruendum silentio. Ammiano XXII. 10. XXV. 5.
479Può confrontarsi l'editto medesimo, che tuttavia sussiste nella 42 fra le lettere di Giuliano, con le libere invettive di Gregorio (Orat. III. p. 96). Il Tillemont (Mem. Eccl. VII. pag. 96) ha raccolto le apparenti differenze fra gli antichi ed i moderni. Possono però facilmente conciliarsi fra loro. A' Cristiani fu direttamente proibito d'insegnare, ed indirettamente d'apprendere, mentre non avrebbero mai frequentato le scuole de' Pagani.
480Cod. Theod. lib. XIII. Tit. III. de medicis et professor. leg. 5. (pubblicata li 17 Giugno, ricevuta a Spoleti, in Italia il 29 Luglio dell'anno 363) con le illustrazioni del Gottofredo, Tom. V. p. 31.
481Orosio celebra la lor disinteressata risoluzione. Sicut a majoribus nostris compertum habemus, omnes ubique propemodum… officium quam fidem deserere maluerunt. VII. 30. Proeresio, Sofista Cristiano ricusò d'accettare il parzial favore dell'Imperatore. Hieronym. in Chron. p. 185 ed. Scalig. Eunap. in Proaeresio p. 126.
482Essi ricorsero all'espediente di comporre libri per le loro scuole. In pochi mesi Apollinare pubblicò le sue Cristiane imitazioni d'Omero (Istoria sacra in 4 libri), di Pindaro, d'Euripide e di Menandro; e Sozomeno è persuaso, ch'esse uguagliassero o superassero gli originali.
483Tal era l'istruzione di Giuliano a' suoi Magistrati Epist. 7 προτιμασθαι μεν τοι τους θεοσεβεις και πανυ φημι δειν dico che si debbano onninamente preferire quelli che venerano gli Dei. Sozomeno (l. V. c. 18) e Socrate (l. III. c. 13) esser debbon ridotti alla misura di Gregorio (Orat. III. p. 195), non in vero meno proclive ad esagerare, ma più ritenuto per l'attual cognizione de' lettori del suo tempo.
484ψηφω θεων και διδυς και ην διδυς. Dando e non dando secondo il suffragio degli Dei. Liban. Orat. parent. c. 88, pag. 314.
485Gregor. Nazianzen. Orat. III. p. 74, 91, 92. Socrate l. III. c. 4. Teodoreto l. III. c. 6. Può accordarsi però qualche tara alla violenza del loro zelo non meno parziale di quello di Giuliano.
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