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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4
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CAPITOLO XX

Motivi, progresso ed effetti della conversione di Costantino. Legittimo stabilimento, e costituzione della Chiesa Cristiana, o Cattolica.

Si può risguardare il pubblico stabilimento del Cristianesimo, come una di quelle importanti e domestiche rivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità, e somministrano la più efficace istruzione. Le vittorie ed il governo civile di Costantino non influiscono ora più sopra lo stato dell'Europa; ma una considerabil parte del globo ritien tuttavia l'impressione, che ricevè dalla conversione di quel Monarca; e l'ecclesiastiche istituzioni, fatte sotto il suo regno, son sempre connesse, mediante un'indissolubil catena, colle opinioni, colle passioni, e cogl'interessi della presente generazione.

A. D. 306-312

Nella considerazione d'un soggetto, che si può esaminare senza parzialità, ma non può riguardarsi con indifferenza, nasce subito una difficoltà inaspettata, cioè quella di determinare il vero e preciso tempo della conversione di Costantino. L'eloquente Lattanzio, in mezzo alla Corte di lui, sembra impaziente1 di pubblicare al Mondo il glorioso esempio del Sovrano della Gallia, che fin da' primi momenti del suo regno conobbe e adorò la maestà dell'unico e vero Dio2. Il dotto Eusebio attribuì la fede di Costantino al segno miracoloso, che si fece veder in Cielo, mentr'egli meditava e preparava la spedizione dell'Italia3. L'istorico Zosimo asserisce maliziosamente, ch'esso aveva imbrattato le mani nel sangue del suo figlio maggiore, avanti di rinunziar pubblicamente agli Dei di Roma e de' suoi maggiori4. La dubbiezza, che producono queste discordi autorità, nasce dalla condotta di Costantino medesimo. Secondo il rigore del linguaggio ecclesiastico il primo Imperator Cristiano non fu degno di tal nome che al momento della sua morte; giacchè solo nell'ultima sua malattia ricevè come catecumeno l'imposizion delle mani5, e quindi fu ammesso, mediante l'iniziante rito del Battesimo, nel numero de' Fedeli6. Conviene concedere a Costantino la qualità di Cristiano in un senso molto più vago ed esteso, e si richiede la più minuta esattezza nel determinare i lenti, e quasi impercettibili gradi, pe' quali il Monarca si dichiarò protettore, e finalmente proselito della Chiesa. Era una difficile impresa quella di sradicare gli abiti, ed i pregiudizi della sua educazione, di riconoscere il divino potere di Cristo, e d'intendere che la verità della sua Rivelazione era incompatibile col culto degli Dei. Gli ostacoli, che aveva probabilmente sperimentati nell'animo suo, lo istruirono a procedere con cautela nel momentaneo cangiamento d'una religion nazionale; ed appoco appoco scopriva le sue nuove opinioni, a misura che si trovava in grado di sostenerle con sicurezza e con effetto. In tutto il corso del suo regno, il Cristianesimo s'avanzò con un placido, sebbene accelerato moto; ma la generale progressione di esso fu alle volte raffrenata ed alle volte deviata dalle accidentali circostanze de' tempi, e dalla prudenza, o forse anche dal capriccio del Monarca. Fu permesso a' suoi Ministri d'indicar le intenzioni del Principe nel vario linguaggio, che più si accomodava a' respettivi loro principj7; ed egli artificiosamente bilanciò le speranze ed i timori de' propri sudditi, pubblicando nel medesimo anno due editti, l'uno de' quali comandava la solenne osservanza della Domenica8, ed il secondo dirigeva la regolar consultazione degli Aruspici9. Mentre stava tuttavia sospesa quest'importante rivoluzione, i Cristiani ed i Pagani spiavano la condotta del loro Sovrano colla medesima ansietà, ma con sentimenti del tutto contrari. I primi eran mossi da ogni motivo di zelo, non men che di vanità, ad esagerare i segni del suo favore, e le prove della sua fede. Gli altri, finattanto che i loro giusti timori non furon cangiati in disperazione ed in isdegno, procuravano di nascondere al Mondo ed a loro medesimi, che gli Dei di Roma non contavan più l'Imperatore nel numero dei loro devoti. Le stesse passioni e gli stessi pregiudizi hanno impegnato gli scrittori parziali di varj tempi ad unire la pubblica professione del Cristianesimo colla più gloriosa o colla più ignominiosa epoca del regno di Costantino.

 

Per quanto si potessero scorgere ne' discorsi o nelle azioni di Costantino sintomi di cristiana pietà, ciò nonostante perseverò egli fino all'età di quasi quarant'anni nella pratica della religione stabilita10; e quella stessa condotta, che nella Corte di Nicomedia si sarebbe potuta imputare al suo timore, non si poteva attribuire che all'inclinazione o alla politica, quando fu divenuto Sovrano della Gallia. La sua liberalità restaurò ed arricchì i tempj degli Dei; le medaglie, che uscirono dall'Imperiale sua zecca, hanno impresse le figure e gli attributi di Giove e d'Apollo, di Marte e d'Ercole; e la sua figlial pietà, mediante la solenne apoteosi di suo padre Costanzo, accrebbe l'assemblea dell'Olimpo11. Ma la devozione di Costantino era particolarmente diretta al genio del Sole, l'Apollo della Greca e Romana mitologia; e si compiaceva di farsi rappresentare co' simboli del Dio della luce e della poesia. Gl'infallibili dardi di quel Nume, lo splendor de' suoi occhi, la sua corona d'alloro, l'immortal bellezza, e gli eleganti ornamenti che l'accompagnano, sembra che lo costituiscano come il Dio tutelare d'un giovane Eroe. Gli altari d'Apollo eran coronati dalle votive offerte di Costantino; e la credula moltitudine inducevasi a pensare, che fosse concesso all'Imperatore di vedere con occhi mortali la visibile maestà del tutelare lor Nume; e che, o vegliando, o in visione, venisse felicitato da' prosperi augurj d'un lungo e vittorioso regno. Si celebrava universalmente il Sole, come la guida invincibile, ed il protettore di Costantino, ed i Pagani avevan ragione d'aspettare, che l'insultata Divinità perseguitato avrebbe con inesorabil vendetta l'empietà dell'ingrato suo favorito12.

Finattanto che Costantino esercitò una sovranità limitata nelle Province della Gallia, i suoi sudditi Cristiani furon protetti coll'autorità, e forse colle leggi d'un Principe, che saggiamente lasciava agli Dei la cura di vendicare il loro proprio onore. Se si dee prestar fede all'asserzione di Costantino medesimo, egli era stato con isdegno spettatore delle barbare crudeltà che soffrirono per mano de' soldati Romani que' cittadini, l'unico delitto de' quali consisteva nella lor religione13. Tanto nell'Oriente quanto nell'Occidente, aveva egli veduto i diversi effetti della severità e dell'indulgenza; e siccome la prima rendevasi viepiù odiosa dall'esempio di Galerio, suo implacabil nemico, così veniva portato ad imitar la seconda dall'autorità e dal consiglio d'un genitor moribondo. Il figlio di Costanzo immediatamente sospese, o rivocò gli editti di persecuzione, o concesse a tutti quelli, che s'erano già dichiarati membri della Chiesa, il libero esercizio delle religiose lor ceremonie. Essi furon ben presto incoraggiati a fidar nel favore non meno che nella giustizia del loro Sovrano, che aveva concepito una segreta e sincera venerazione pel nome di Cristo e pel Dio de' Cristiani14.

A. D. 313

Intorno a cinque mesi dopo la conquista dell'Italia, l'Imperatore fece una solenne ed autentica dichiarazione de' suoi sentimenti, per mezzo del celebre editto di Milano, che restituì la pace alla Chiesa Cattolica. Nel personal congresso de' due Principi Occidentali, Costantino, per l'ascendente del suo genio e della sua potenza, ottenne facilmente l'assenso del suo collega Licinio; l'unione e l'autorità de' lor nomi disarmò il furore di Massimino, e dopo la morte del Tiranno dell'Oriente fu ricevuto l'editto di Milano come una legge generale fondamentale del Mondo Romano15. La saviezza degl'Imperatori ordinò la reintegrazione di tutti i diritti sì civili che religiosi, de' quali i Cristiani erano stati sì ingiustamente spogliati. Fu stabilito, che i luoghi di culto e le pubbliche terre che erano state confiscate, si restituissero alla Chiesa senza disputa, senza dilazione e senza spesa; e questo severo comando fu accompagnato da una graziosa promessa, che se alcuno de' possessori ne avesse sborsato un giusto e adeguato prezzo, ne verrebbe indennizzato dal tesoro Imperiale. I salutevoli regolamenti, che riguardavano la futura tranquillità del Fedele, furon formati su' principj d'una larga ed ugual tolleranza; e tal uguaglianza dovè da una recente Setta interpretarsi come una vantaggiosa ed onorevole distinzione. I due Imperatori manifestano al Mondo, ch'essi hanno conceduto una libera ed assoluta facoltà sì a' Cristiani che a tutti gli altri di seguitar quella religione, che ognuno crede proprio di preferire, che si è posta nel cuore, e che stima la più conveniente al proprio uso. Spiegano esattamente ogni parola ambigua, tolgono ogni eccezione, ed esigono da' Governatori delle Province una rigorosa obbedienza al vero e semplice senso d'un Editto, che tendeva a stabilire e ad assicurare senz'alcun limite i diritti della libertà religiosa. Si compiacciono d'assegnare due forti ragioni, che gli hanno indotti a concedere questa universale tolleranza, cioè la benigna intenzione di provvedere alla pace e felicità del lor popolo, e la pia speranza, che per mezzo di tal condotta saranno per calmare e rendersi propizia la Divinità, che ha la propria sede nel Cielo. Riconoscono con animo grato le molte segnalate prove che han ricevuto del favor Divino, o confidano che la medesima Providenza continuerà sempre a proteggere la prosperità del Principe e del Popolo. Da queste vaghe indeterminate espressioni di pietà posson dedursi tre supposizioni di una diversa, ma non incompatibil natura. Poteva l'animo di Costantino esser fluttuante fra le religioni Cristiana e Pagana. Secondo le libere e condiscendenti nozioni del Politeismo poteva egli riconoscere il Dio de' Cristiani come una delle molte Divinità, che componevano la gerarchia del Cielo; o poteva per avventura aver abbracciato la filosofica e gradevole idea, che nonostante la varietà de' nomi, de' riti, e delle opinioni tutte le Sette e Nazioni del Mondo s'uniscono a venerare il comun Padre e Creatore dell'Universo16.

Ma influiscono più frequentemente ne' consigli dei Principi le mire del temporale vantaggio, che le considerazioni d'un verità speculativa ed astratta. Il parziale e crescente favore di Costantino può naturalmente attribuirsi alla stima, ch'egli aveva del moral carattere de' Cristiani, ed alla ferma credenza, che la propagazione dell'Evangelio avrebbe inculcata la pratica della pubblica e privata virtù. Sia quanto si voglia estesa la potenza di un assoluto Monarca, sia egli quanto si voglia indulgente per le proprie passioni, è senza dubbio suo interesse che tutti i sudditi rispettino le naturali e civili obbligazioni della società. Ma l'azione delle più savie leggi è imperfetta e precaria. Di rado esse inspirano la virtù; sempre non posson reprimere il vizio. La loro forza non è sufficiente a proibire tutto ciò che condannano, nè posson sempre punire le azioni, che esse proibiscono. I Legislatori dell'antichità chiamarono in loro aiuto il potere dell'educazione e dell'opinione. Ma in un Impero decadente e dispotico era già da gran tempo estinto ogni principio, che aveva mantenuto una volta il vigore e la purità di Roma e di Sparta. La filosofia esercitava sempre il suo moderato dominio sullo spirito umano, ma la Pagana superstizione assai debolmente influiva nella causa della virtù. In tali circostanze, che scoraggiavano, un Magistrato prudente doveva osservar con piacere il progresso d'una religione, che diffondeva nel popolo un puro, benefico ed universal sistema di morale, adattata ad ogni dovere e ad ogni condizione, raccomandata come la volontà e la ragione della Suprema Divinità, ed invigorita dall'espettazione de' premi o gastighi eterni. L'esperienza dell'Istoria Greca e Romana non era da tanto di far conoscere al mondo, quanto si potesse riformare e migliorare il sistema de' costumi nazionali mediante i precetti di una Divina Rivelazione; e Costantino potè con fiducia prestare orecchio alle lusinghiere e in verità ragionevoli assicurazioni di Lattanzio. Pareva che l'eloquente Apologista aspettasse per fermo, e s'arrischiasse quasi a promettere, che lo stabilimento del Cristianesimo avrebbe restituita l'innocenza e la felicità de' primitivi tempi; che il culto del vero Dio avrebbe estinto la guerra e la dissensione fra quelli i quali si risguardavan fra loro come figli d'un comun Padre; che per la cognizione dell'Evangelio si sarebbe tenuto a freno qualunque impuro appetito, qualunque passione d'ira o d'amor proprio, e che i Magistrati avrebber potuto porre nel fodero la spada della giustizia fra un popolo, che tutto quanto sarebbe stato retto da sentimenti di verità e di pietà, di equità e di moderazione, di armonia e d'amore universale17.

 

La passiva e docile obbedienza, che si piega sotto il giogo dell'autorità o anche dell'oppressione, dovè apparire, agli occhi di un assoluto Monarca, tra le virtù Evangeliche la più cospicua o vantaggiosa18. I primitivi Cristiani facevan derivare l'istituzione del Governo civile non già dal consenso del Popolo, ma da' decreti del Cielo. Quantunque l'Imperatore, che regnava, usurpato avesse lo scettro per mezzo del tradimento e della strage, egli assumeva tuttavia subito il sacro carattere di Vicegerente della Divinità. A questa soltanto dovea render conto dell'abuso del suo potere; ed i suoi sudditi erano, pel giuramento di fedeltà, indissolubilmente legati ad un Tiranno, che avesse violato qualunque legge di natura e di società. Gli umili Cristiani eran mandati nel Mondo, come pecore in mezzo a' lupi; e poichè non era loro permesso d'impiegar la forza, neppure in difesa della lor religione, molto più sarebbero stati rei, se tentato avessero di spargere il sangue de' loro prossimi nel disputare i vani privilegi o i sordidi beni di questa vita transitoria. Attaccati alla dottrina dell'Apostolo, che nel regno di Nerone avea predicato il dovere di una sommissione illimitata, i Cristiani de' primi tre secoli mantennero pura ed innocente la lor coscienza dalla colpa di qualunque segreta cospirazione, non meno che di ogni aperta rivolta. Mentre provavano il rigore della persecuzione, non furono mai tentati o d'affrontare in campo di battaglia i loro tiranni, o di ritirarsi sdegnati in qualche remoto e separato canto del globo19. Si sono insultati i protestanti della Francia, della Germania, e dell'Inghilterra, che sostennero sì coraggiosi ed intrepidi la civile e religiosa lor libertà, con l'odioso paragone fra la condotta de' Cristiani primitivi e quella de' riformati20. Forse, invece di censura, si sarebbe dovuto applaudire a' sentimenti e allo spirito superiore de' nostri maggiori, che si eran persuasi, che la religione non può abolire gl'inalienabili diritti della natura umana21. Può forse attribuirsi la pazienza della primitiva Chiesa alla debolezza, ugualmente che alla sua virtù. Una setta di indisciplinati plebei, senza condottieri, senz'armi, senza fortificazioni, sarebbe stata inevitabilmente distrutta, se avesse fatta una temeraria ed inutile resistenza a chi disponeva delle legioni Romane. Ma quando i Cristiani esecravano la rabbia di Diocleziano, o sollecitavano il favore di Costantino, potevano addurre con verità e fiducia, ch'essi tenevano il principio d'una passiva obbedienza, e che nello spazio di tre secoli la lor condotta era sempre stata conforme a' loro principj. Potevano anche aggiungere, che il trono degli Imperatori si sarebbe stabilito sopra una base fissa e durevole, se tutti i lor sudditi, abbracciando la fede Cristiana, imparato avessero a tollerare e ad ubbidire.

Nell'ordine generale della Previdenza, i Principi ed i Tiranni si risguardan come ministri del Cielo, destinati a regolare, o a gastigar le nazioni della terra. Ma l'Istoria Sacra somministra molti illustri esempi d'una interposizione più immediata della Divinità nel governo del suo popolo eletto. Si affidava lo scettro e la spada alle mani di Mosè, di Giosuè, di Gedeone, di David, de' Maccabei. Le virtù di questi Eroi erano il motivo o l'effetto del favore divino, ed il successo delle loro armi era destinato ad effettuar la liberazione o il trionfo della Chiesa. Se i Giudici di Israello erano accidentali e temporanei Magistrati, i Re di Giuda traevano dalla reale unzione del loro grande Antenato un ereditario ed inviolabil diritto, che non poteva mancare pe' loro vizi, nè revocarsi dal capriccio de' loro sudditi. La medesima straordinaria Providenza, che non si limitava più al popolo Giudaico, potè sceglier Costantino e la sua famiglia per proteggere il mondo Cristiano; ed il devoto Lattanzio annuncia in un tuono profetico le future glorie dell'universale e lungo suo regno22. Galerio e Massimino, Massenzio e Licinio erano i rivali, che si dividevan col favorito del Cielo le Province dell'Impero. Le tragiche morti di Galerio e di Massimino presto soddisfecero lo sdegno e adempirono le ardenti speranze de' Cristiani. Il successo di Costantino contro Massenzio e Licinio rimosse i due formidabili competitori, che sempre s'opposero al trionfo del secondo David, e la sua causa pareva che avesse diritto alla particolare interposizione della Providenza. Il carattere del Tiranno di Roma infamò la porpora e la natura umana; e quantunque i Cristiani goder potessero del precario favore di lui, pure si trovavano, col resto de' suoi sudditi, esposti agli effetti della sua lasciva e capricciosa crudeltà. La condotta di Licinio tosto scoprì, che aveva con ripugnanza consentito ai savj ed umani regolamenti dell'editto di Milano. Fu ne' suoi dominj proibita la convocazione de' Concilj Provinciali; i suoi uffiziali Cristiani furon cassati con ignominia; e quantunque egli evitasse la colpa, o piuttosto il pericolo d'una persecuzione generale, le sue particolari oppressioni si rendevano sempre più odiose per la violazione d'un solenne e volontario impegno23. Mentre l'Oriente, secondò la viva espressione d'Eusebio, era involto nelle ombre d'una infernale oscurità, i favorevoli raggi di celeste luce riscaldavano ed illuminavan le Province dell'Occidente. Si risguardava la pietà di Costantino come una piena prova della giustizia delle sue armi; e l'uso, ch'ei fece, della vittoria, confermò l'opinion de' Cristiani, che il loro Eroe veniva inspirato e condotto dal Signor degli Eserciti. La conquista dell'Italia produsse un general editto di tolleranza; e tosto che la disfatta di Licinio ebbe investito Costantino solo nel dominio di tutto il Mondo Romano, egli per mezzo di circolari esortò immediatamente tutti i suoi sudditi ad imitare senza dilazione l'esempio del loro Sovrano, e ad abbracciar la divina verità del Cristianesimo24.

La sicurezza, che l'elevazione di Costantino fosse intimamente connessa co' disegni della Providenza, instillava negli animi de' Cristiani due opinioni, che per mezzi molto diversi fra loro, contribuivano all'adempimento della profezia. L'ardente loro ed attiva lealtà esauriva in favore di lui ogni ripiego dell'industria umana; ed essi aspettavano con fiducia che i gagliardi loro sforzi verrebbero secondati da qualche aiuto divino e miracoloso. I nemici di Costantino hanno imputato a motivi d'interesse la lega, ch'egli contrasse insensibilmente colla Chiesa Cattolica, e che in apparenza contribuì al buon successo della sua ambizione. Al principio del quarto secolo, i Cristiani erano sempre in una piccola proporzione rispetto agli abitatori dell'Impero; ma in mezzo ad un popolo degenerato, che vedeva il cangiamento de' suoi Signori coll'indifferenza propria degli schiavi, lo spirito e l'unione d'un partito religioso poteva assistere il Condottier popolare, al servizio del quale avevan essi per principio di religione consacrato le vite e gli averi25. L'esempio del padre aveva ammaestrato Costantino a stimare ed a premiare il merito de' Cristiani; e nella distribuzione de' pubblici uffizi aveva esso il vantaggio di fortificare il suo governo mediante la scelta di Ministri o di Generali, nella fedeltà de' quali poteva egli riporre senza riserva una giusta fiducia. Per l'influsso di questi qualificati Missionari dovevan moltiplicare nella Corte e nell'armata i proseliti della nuova fede; i Barbari della Germania, ch'empivano gli ordini delle legioni, erano d'un'indole negligente, che s'accomodava senza resistenza alla religione del lor comandante; e può ragionevolmente presumersi, che quando passaron le alpi, un gran numero di soldati avesser già consacrato le loro spade al servizio di Cristo e di Costantino26. L'abitudine umana e l'interesse di religione appoco appoco tolsero quell'orrore contro la guerra ed il sangue, ch'era tanto prevalso fra' Cristiani; e ne' Concilj, che s'adunarono sotto la graziosa protezione di Costantino, fu opportunamente impiegata l'autorità de' Vescovi per confermare l'obbligazione del giuramento militare, e per dar la pena di scomunica a que' soldati, che durante la pace della Chiesa gettavan le armi27. Mentre Costantino accresceva ne' suoi dominj il numero e lo zelo de' suoi fedeli aderenti, poteva contar nell'aiuto d'una potente fazione anche in quelle Province, ch'erano sempre possedute o usurpate da' suoi rivali. Era sparsa fra i sudditi Cristiani di Massenzio e di Licinio una malcontentezza segreta; e lo sdegno, che quest'ultimo non poteva nascondere, non serviva che a sempre più profondamente impegnarli negl'interessi del suo competitore. Quella regolar corrispondenza, che univa insieme i Vescovi delle più distanti Province, li poneva in istato di potersi liberamente comunicare i lor desiderj e disegni; e di trasmetter senza pericolo qualunque utile avviso o delle pie contribuzioni che promuover potessero il servizio di Costantino, il quale dichiarava pubblicamente di avere preso le armi per la liberazione della Chiesa28.

L'entusiasmo, che ispirava le truppe e forse l'Imperatore medesimo, aveva aguzzate le spade loro nel tempo che soddisfaceva la loro coscienza. Marciavano essi alla guerra con la piena sicurezza, che il medesimo Dio, che aveva già aperto il passaggio agl'Israeliti pel Giordano, e gettato a terra le mura di Gerico al suono delle trombe di Giosuè, avrebbe mostrato la visibile sua maestà e potenza nella vittoria di Costantino. L'istoria ecclesiastica è pronta a far fede, che furon giustificate le loro speranze da quel cospicuo miracolo, al quale si è quasi concordemente attribuita la conversione del primo Imperatore Cristiano. La causa reale o immaginaria d'un fatto così importante merita ed esige l'attenzione della posterità; ed io procurerò di formare una giusta idea della famosa visione di Costantino, mediante un distinto esame dello stendardo, del sogno, e del segno celeste, separando fra loro le parti istoriche, naturali, e maravigliose di questo racconto straordinario, le quali artificiosamente si sono confuse por comporne la splendida e fragile mole di uno specioso argomento.

I. Un istrumento, che serviva per tormentare solamente gli schiavi e gli stranieri, era un oggetto d'orrore agli occhi d'un cittadino Romano; ed erano intimamente connesse coll'idea della croce l'idee di delitto, di pena e d'ignominia29. La divozione piuttosto che la clemenza di Costantino abolì ben presto nei suoi dominj quella pena, che s'era compiaciuto di soffrire il Salvatore del Mondo30; ma l'Imperatore, prima d'avere appreso a disprezzare i pregiudizi della sua educazione e del suo popolo, non potea risolversi ad erigere nel mezzo di Roma la propria statua con una croce nella destra e con una iscrizione, che riferiva la vittoria delle sue armi e la liberazione di Roma alla virtù di quel segno salutare, vero simbolo della forza e del coraggio31. Il medesimo simbolo significava le armi de' soldati di Costantino; la croce risplendeva sopra i loro elmi, era impressa ne' loro scudi, tessuta nelle loro bandiere; ed i sacri emblemi, che adornavano la persona stessa dell'Imperatore, non eran distinti che per la materia più ricca e pel più squisito lavoro32. Ma lo stendardo principale, che spiegava il trionfo della croce, chiamavasi Labarum33; oscuro, quantunque celebre nome, che in vano si è fatto derivare da quasi tutti i linguaggi del Mondo. Vien questo descritto34, come una lunga picca intersecata da un'asta traversa. Il velo di seta, che pendeva dall'asta, era elegantemente adornato dalle immagini del Monarca regnante e de' suoi figli. La sommità della picca sosteneva una corona d'oro, che conteneva il misterioso monogramma esprimente nel tempo stesso la figura della croce, e le lettere iniziali del nome di Cristo35. Si confidava la sicurezza del Labaro a cinquanta guardie di sperimentato valore e fedeltà; il loro posto era distinto con onori ed emolumenti; e ben presto alcuni accidenti fortunati fecero nascere l'opinione, che finattanto che le guardie del Labaro s'esercitavano in eseguire il loro uffizio, eran sicure ed invulnerabili in mezzo a' dardi dell'inimico. Nella seconda guerra civile, Licinio provò ed ebbe occasione di temere la forza di questa sacra bandiera, la vista della quale, nel forte della battaglia, infiammò d'invincibil entusiasmo i soldati di Costantino, e sparse il terrore e il disordine fra le file delle nemiche legioni36. Gl'Imperatori Cristiani, che rispettavan l'esempio di Costantino, spiegavano in tutte le loro militari spedizioni lo stendardo della Croce; ma quando i degenerati successori di Teodosio ebber finito di comparire in persona alla testa de' loro eserciti, il Labaro fu depositato, come una venerabile ma inutil reliquia, nel palazzo di Costantinopoli37. Si è sempre conservato l'onore di esso nelle medaglie della famiglia Flavia. La grata lor devozione pose il monogramma di Cristo in mezzo alle insegne di Roma. Si trovano applicati ugualmente sì a' religiosi che a' militari trofei i solenni epiteti di salvezza della Repubblica, di gloria dell'esercito, di restaurazione della pubblica felicità; e tuttavia esiste una medaglia dell'Imperator Costanzo, in cui lo stendardo del Labaro è accompagnato da queste memorabili parole: «mercè di questo segno vincerai38».

II. In ogni occasione di pericolo o d'angustia solevano i primitivi Cristiani fortificare gli spiriti ed i corpi loro col segno della Croce, ch'essi usavano in tutti i riti Ecclesiastici ed in tutte le quotidiane occorrenze della vita, come un infallibil preservativo da ogni sorta di male spirituale o temporale39. La sola autorità della Chiesa potè aver avuto sufficiente peso da giustificar la devozione di Costantino, che coll'istesso prudente e gradual progresso riconobbe la verità, ed assunse il simbolo del Cristianesimo. Ma la testimonianza d'uno scrittore contemporaneo, che in un trattato apposta ha difeso la causa della religione, compartisce alla pietà dell'Imperatore un più stupendo e sublime carattere. Afferma egli colla più perfetta sicurezza, che nella notte precedente l'ultima battaglia contro Massenzio, Costantino fu ammonito in sogno di fare imprimere sugli scudi de' suoi soldati il celeste segno di Dio, cioè il sacro monogramma del nome di Cristo; ch'esso eseguì gli ordini del Cielo; o che fu premiato il valore e l'obbedienza di lui colla decisiva vittoria sul ponte Milvio. Alcuni riflessi potrebbero forse indurre uno spirito scettico a sospettare del giudizio o della veracità dell'Oratore, la penna del quale, o per zelo o per interesse, era addetta alla causa della fazion vittoriosa40. Pare che egli pubblicasse le sue Morti de' Persecutori a Nicomedia circa tre anni dopo la vittoria di Roma; la distanza però di mille miglia e di mille giorni concede un vasto campo all'invenzione de' declamatori, alla credulità del partito ed alla tacita approvazione dell'Imperatore medesimo, che poteva senza sdegnarsi prestare orecchio ad una maravigliosa novella ch'esaltava la fama, e promoveva i disegni di lui. Anche in favor di Licinio, che tuttavia dissimulava la sua animosità contro i Cristiani, l'istesso Autore produsse una simile visione, indicante uno specie di preghiera, che fu comunicata da un Angelo, e ripetuta da tutto l'esercito prima d'attaccare le legioni del tiranno Massimino. La frequente ripetizione de' miracoli, quando non sottomette la ragione umana, non serve che ad irritarla41; ma se voglia considerarsi a parte il sogno di Costantino, può naturalmente spiegarsi o colla politica o coll'entusiasmo dell'Imperatore. Essendo sospesa da un breve ed interrotto sonno la sua ansietà per la prossima giornata, che dovea decidere del destino dell'Impero, potè per avventura presentarsi all'attiva fantasia d'un Principe, che venerava il nome, e forse aveva secretamente implorato il potere del Dio dei Cristiani, la venerabile immagin di Cristo ed il ben noto simbolo della sua religione. Con ugual facilità potè ancora un consumato Politico usare uno di quei militari stratagemmi, una di quelle pie frodi, che avevano adoperate con tant'arte ed effetto Filippo e Sertorio42. Generalmente ammettevasi dalle nazioni antiche l'origine soprannaturale de' sogni, ed una gran parte dell'esercito della Gallia era già preparata a collocare la sua fiducia nel segno salutare della religione Cristiana. La segreta visione di Costantino non poteva esser confutata che dall'evento; ma quell'intrepido Eroe, che aveva passato le alpi e l'apennino, poteva risguardare con non curante disperazione le conseguenze d'una disfatta, che gli fosse toccata sotto le mura di Roma. Il Senato ed il Popolo, esultando per la loro liberazione da un odioso tiranno, riconobbero che la vittoria di Costantino sorpassava le forze umane, senz'ardire però di attribuirla alla protezione degli Dei. L'arco trionfale, che fu innalzato circa tre anni dopo il fatto espone con frasi ambigue, ch'egli salvata aveva e vendicata la Repubblica Romana per la grandezza della sua mente e per un istinto o impulso della Divinità43. L'oratore Pagano, che antecedentemente avea preso l'opportunità di celebrar le virtù del Conquistatore, suppone ch'egli solo godesse un segreto ed intimo commercio coll'Ente Supremo, il quale ha delegata la cura de' mortali agli altri subordinati suoi Dei; e così viene ad assegnare una ragione molto plausibile, per la quale i sudditi di Costantino non dovessero presumere d'abbracciare la nuova religione del loro Sovrano44.

1Si è diligentemente discussa la data delle Istituzioni Divine di Lattanzio; vi si sono scoperte difficoltà; si sono proposti mezzi per iscioglierle; e si è finalmente immaginato l'espediente di supporne due edizioni originali, la prima pubblicata nel tempo della persecuzione di Diocleziano, l'altra sotto quella di Licinio. Vedi Dufresnoy Praef. p. 5. Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI p. 465-470. Lardner Credibilità ec. P. II Vol. VII, p. 78-86. Quanto a me io sono quasi convinto, che Lattanzio dedicasse le sue Istituzioni al Sovrano della Gallia nel tempo in cui Galerio, Massimino, e Licinio stesso perseguitavano i Cristiani, cioè fra gli anni 306 e 311.
2Lactant. Divin Inst. l. I. VII. 27. Veramente il primo ed il più importante di questi passi manca in 28 manoscritti; ma si trova in altri 19. Se vogliam ponderare il merito di questi manoscritti paragonati fra loro, può allegarsene, in favor di quel passo, uno della libreria del Re di Francia dell'età di 900 anni, ma si omette lo stesso passo nel corretto manoscritto di Bologna, che il P. Montfaucon giudica del sesto, o del settimo secolo (Diar. It. p. 409). Il gusto della maggior parte degli Editori (eccettuato Iseo, vedi Lattanzio dell'edizione del Dufresnoy, Tom. I p. 596) vi ha riconosciuto il genuino stil di Lattanzio.
3Euseb. in vit. Const. (l. I. c. 27-32.)
4Zosimo (l. II. p. 104.)
5Questo rito fu sempre in uso nel fare i Catecumeni (vedi Bingam. Ant. l. X. c. I. p. 419. Dom. Chardon Hist. des Sacremens, T. I. p. 62); e Costantino lo ricevè per la prima volta immediatamente avanti il suo battesimo, e la sua morte (Eusebio in vita Const. l. IV. c. 61). Valesio, dalla connessione di questi due fatti, ha tirato quella conseguenza (al luogo cit. d'Euseb.), che viene ammessa con ripugnanza dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 628), e contraddetta con deboli argomenti dal Mosemio (p. 968).
6Eusebio in vit. Const. (l. IV. c. 61, 62, 63). La leggenda del Battesimo di Costantino, seguìto in Roma tredici anni avanti la sua morte, fu inventata nell'ottavo secolo come un acconcio motivo per la sua donazione. Tale è stato a grado a grado il progresso delle cognizioni, che una storia, di cui il Cardinal Baronio (Annal. Eccl. An. 324. n. 43-49) si dichiarò senza rossore avvocato, adesso debolmente si sostiene anche sotto la giurisdizione del Vaticano. Vedi le antichità Crist. (Tom. II p. 203), opera pubblicata con sei approvazioni a Roma, nell'anno 1751, dal P. Mamachi, erudito Domenicano.
7Il Questore, o segretario, che compose la leg. 1. del lib. XVI. Tit. II. del Cod. Teodos. fa dire con indifferenza al suo Signore, hominibus supradictae religionis; al Ministro poi degli affari Ecclesiastici era permesso uno stile più devoto e rispettoso, τηϛ ενθεσμου και αγιωτατηϛ καθολικηϛ θρησκειαϛ legittimo, e santissimo catolico culto. Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. X. c. 6).
8Cod. Theodos. (lib. II Tit. VIII. leg. I.) Cod. Giustin. (Lib. III. Tit. XII. leg. III). Costantino chiama la Domenica dies Solis; nome, che non poteva offender le orecchie de' suoi sudditi Pagani.
9Cod. Theodos. (lib. XVI. Tit. X. leg. I). Il Gottofredo, come comentatore, procura di scusare (Tom. VI. p. 257.) Costantino; ma il Baronio più zelante (Annal. Eccles, an. 521. n. 18.) critica con verità ed asprezza il profano contegno di lui.
10Sembra che Teodoreto (l. I. c. 18) voglia far credere, ch'Elena desse al suo figlio un'educazione Cristiana; ma la superiore autorità d'Eusebio può assicurarci (in vita Const. l. III. c. 47), ch'ella medesima fu debitrice della cognizione del Cristianesimo a Costantino.
11Vedi le medaglie di Costantino appresso il Du-Cange, e il Banduri. Siccome poche città ritenuto avevano il privilegio del conio, quasi tutte le medaglie di quel tempo uscirono dalla zecca autorizzata dalla sanzione Imperiale.
12Il Panegirico (VII. inter Panegyr. vet.) d'Eumenio che fu recitato pochi mesi prima della guerra Italica, è pieno delle più chiare prove della superstizione Pagana di Costantino, e della sua particolar venerazione per Apollo, o pel Sole, al quale allude Giuliano, allorchè dice nell'Oraz. VII. p. 228 απολειπων σε (abbandonando te). Vedi il Coment. dello Spanemio sui Cesari p. 317.
13Costantino Orat. ad Sanctos c. 25. Ma potrebbe facilmente dimostrarsi, che il Traduttore Greco ha esteso il senso dell'originale Latina; e potè anche l'Imperatore in età avanzata rammentarsi la persecuzione di Diocleziano con più vivo abborrimento di quello che aveva realmente sentito nel tempo della sua gioventù o idolatria.
14Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. VII. 13 l. IX. 9 etc.) in vit. Const. (l. I. c. 16, 17.) Lactant. Divin. Inst. l. 2. Cecil. De mort. persecut. c. 25.
15Cecilio (De mort. persecut. c. 48) ci ha conservato l'originale Latino; ed Eusebio (Hist. Eccles. l. X. c. 5) ha dato una traduzione Greca di questo editto perpetuo, che si riferisce ad alcuni regolamenti provvisionali.
16Un Panegirico di Costantino pronunziato sette o otto mesi dopo l'editto di Milano (vedi Gottofredo Chron. Legum p. 7 e Tillemont, Hist. des Emper. Tom. IV. p. 246) usa la seguente notabile espressione: Summe rerum Sator, cujus tot nomina sunt, quot linguas Gentium esse voluisti, quem enim Te ipse dici velis, scire non possumus. Paneg. Vet. IX. 26. Il Mosemio nello spiegare p. 971 ec. il progresso di Costantino nella Fede, è ingegnoso, sottile e prolisso.
17Vedi l'elegante descrizion di Lattanzio (Div. Inst. v. 8.) ch'è molto più chiara e positiva di quel che convenga a un discreto Profeta.
18Il sistema politico de' Cristiani si spiega da Grozio (de Jur. Bell. et pac. l. I. c. 3. 4). Questi era un repubblicano ed un esule; ma la dolcezza del suo temperamento lo faceva inclinare a sostenere le potestà già stabilite.
19Tertulliano Apolog. c. 32, 34, 35, 36. Tamen nunquam Albiniani, nec Nigriani vel Cassiani inveniri potuerunt Christiani, ad Scapulam c. 2. Se tale espressione è rigorosamente vera, essa esclude i Cristiani di quel secolo da tutti gli impieghi civili e militari, che gli avrebber costretti a prendere qualche parte nel servizio de' respettivi loro Governatori. Vedi le Opere di Moyle Vol. II. p. 349.
20Vedi l'artificioso Bossuet, Hist. des Variat. des Egl. Protest. Tom. III. p. 210-258, ed il malizioso Bayle (Tom. II. p. 630). Io nomino Bayle, perchè fu egli senza dubbio l'autore dell'avviso a' Refugiati. Vedi il Dizionar. di Critica de Chaufepiè Tom. I. part. 2. p. 145.
21Il Bucanano è il più antico, o almeno il più celebre fra' riformatori, che hanno giustificato la teoria della resistenza. Vedi il suo dialogo de Jure regni apud Scotos Tom. II. p. 28, 30. Edit. fol. Reddiman.
22Lattanzio Divin. Instit. l. 1. Eusebio nel corso della sua storia della Vita di Costantino e nelle sue orazioni inculca più volte il divino diritto di esso all'Impero.
23L'imperfetta cognizione, che abbiamo della persecuzione di Licinio è tratta da Eusebio, Hist. Eccles. l. X. c. 8. vit. Const. l. I. c. 49-56. l. II. c. 1, 2. Aurelio Vittore fa menzione della sua crudeltà in termini generali.
24Eusebio in vit. Const. l. II. c. 24-42. 48-60.
25Nel principio del secolo passato, i Papisti dell'Inghilterra non formavano che la trentesima parte, ed i Protestanti della Francia la decimaquinta delle respettive nazioni, per le quali lo spirito e poter loro erano un oggetto continuo di timore. Vedi le relazioni, che il Bentivoglio (il quale in quel tempo era Nunzio a Brusselles, e poi fu Cardinale) mandò alla Corte di Roma. Relaz. Tom. II. p. 211, 241. Il Bentivoglio era curioso, ben informato, ma un poco parziale.
26Quest'indole trascurata de' Germani si vede quasi uniforme nella storia della conversione di ciascheduna delle loro Tribù. Si reclutavano le legioni di Costantino con Germani, (Zosimo l. II. p. 86); ed eziandio la Corte di suo padre era stata piena di Cristiani. Vedi il primo libro della vita di Costantino fatta da Eusebio.
27De his, qui arma projiciunt in pace, placuit eos abstinere a communione. Concil. Arelat. Can. 3. I migliori Critici applican queste parole alla pace della Chiesa.
28Eusebio sempre risguarda la seconda guerra civile contro Licinio, come una specie di religiosa Crociata. All'invito del Tiranno alcuni Uffiziali Cristiani avevano riprese le loro zone, o in altri termini eran tornati al servizio militare. Fu dipoi censurata la lor condotta dal Canone XII del Concilio Niceno, qualora vogliasi ammettere questa interpretazione particolare, invece di quel generale e libero senso, che gli danno gl'interpreti Greci Balsamone, Zonara, ed Alessio Aristeno. Vedi Beveridge Pandect. Eccles. Graec. Tom. I. p. 72. Tom. II p. 73. annotat.
29Nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sed etiam a cogitatione, oculis, auribus: Cicer. pro Rabirio c. 5. Gli scrittori Cristiani, Giustino, Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo, e Massimo di Torino hanno investigato con passabil successo la figura o la somiglianza della croce in quasi tutti gli oggetti della natura, o dell'arte; nell'intersezione per esempio del meridiano coll'equatore, nella faccia umana, nell'uccello che vola, nell'uomo che nuota, nell'albero coll'antenna della nave, nell'aratro, nello stendardo ec. Vedi Lipsio de cruce. (l. I. c. 9).
30Vedi Aurelio Vittore, che riguarda questa legge come uno degli esempi delle pietà di Costantino. Un editto così onorevole al Cristianesimo meritava luogo nel Codice Teodosiano, invece di farne indirettamente menzione, come par che resulti dal paragone de' Titoli V. e XVIII. del lib. IX.
31Eusebio in vit. Const. l. I. c. 40. Questa statua, o almeno la croce e l'iscrizione, si può riportare più probabilmente alla seconda, o anche alla terza visita di Costantino a Roma. Subito dopo la disfatta di Massenzio gli animi del Senato e del Popolo non potevano essere ancora disposti per tal pubblico monumento.
32Agnoscas regina libens mea signa necesse est; In quibus effigies crucis aut gemmata refulget, Aut longis solido ex auro praefertur in hastis, Hoc signo invictus transmissis alpibus ultor Servitium solvit miserabile Constantinus. ··············· Christus purpureum gemmanti textus in auro Signabat Labarum clypeorum insignia Christus Scripserat; ardebat summis crux addita christis. Prudent. in Symmach. l. II. v. 464. 486.
33Rimane tuttora ignota la derivazione, ed il senso della parola Labarum o Laborum, che s'usa da Gregorio Nazianzeno, da Ambrogio, da Prudenzio ec. malgrado gli sforzi dei Critici, che hanno inutilmente torturato il Latino, il Greco, lo Spagnuolo, il Celtico, il Teutonico, l'Illirico, l'Armeno ec. per trovarne l'etimologia. Vedi Du Cange. Gloss. et inf. Latin. v. Labarum e Gottofredo ad Cod. Theodos. (Tom. II. p. 143).
34Eusebio in vit. Const. l. I. c. 30, 31. Il Baronio (annal. Eccles. An. 312. n. 46) ha riportato un'immagine del Labarum.
35Transversa X. littera, summo capite circumflexa, Christum in scutis notat. Caecil. de M. P. c. 44. Cuper ad M. P. in Edit. Lactant. Tom. II p. 500, ed il Baronio an. 312. n. 25 hanno tratto dagli antichi monumenti vari modelli di tali monogrammi, i quali divennero molto alla moda nel Mondo Cristiano.
36Eusebio in vit. Constant. l. II, c. 7, 8, 9. Egli introduce il Labaro avanti la spedizione dell'Italia, ma sembra che la sua narrazione indichi, ch'esso non fu mai mostrato alla testa dell'esercito, finchè Costantino, circa dieci anni dopo, non si fu dichiarato nemico di Licinio e liberator della Chiesa.
37Vedi Cod. Teod. l. VI, Tit. XXV. Sozomeno l. I, c. 2. Teofane Cronogr. p. 11. Teofane visse verso il fine dell'ottavo secolo, quasi cinquecento anni dopo Costantino. I Greci moderni non erano inclinati a spiegare in campo lo stendardo dell'Impero e del Cristianesimo; e quantunque s'attaccassero ad ogni superstiziosa speranza di difesa, pure la promessa della vittoria sarebbe sembrata loro una finzione troppo ardita.
38L'Abate du Voisin (p. 103. ec.) riporta molte di queste medaglie, e cita la particolar dissertazione d'un Gesuita, cioè del P. Grainville, su tal soggetto.
39Tertulliano de Coron. c. 3. Athanas. (Tom. I. p. 101). Il dotto Gesuita Petavio (Dogm. Theolog. l. XV. c. 9, 10) ha raccolto molti passi uniformi sopra le virtù della Croce, che nel passato secolo imbarazzarono i nostri Protestanti controversisti.
40Caecil. de M. P. c. 44. Egli è certo che questa istorica declamazione fu composta e pubblicata, mentre Licinio Sovrano dell'Oriente conservava sempre l'amicizia di Costantino e de' Cristiani. Ogni lettore di buon gusto si deve accorgere, che lo stile è d'un carattere molto diverso ed inferiore a quel di Lattanzio, e tale in fatti è il giudizio del Clerc e del Lardner, (Bibl. anc. et mod. Tom III. p. 438 Credibil. del Angelo ec. P. 2 vol. II. p. 94). Quelli, che son per Lattanzio, deducono tre argomenti di tale opinione dal titolo del libro e da' nomi di Donato e di Cecilio. Vedi il P. Lestocq (T. II. p. 46-60). Ciascheduna di queste prove presa da se è debole e mancante, ma l'unione di esse ha gran peso. Io sono stato spesso dubbioso, e seguiterò senza darmene altro pensiero il MS. Colbertino, chiamando l'A. chiunque siasi Cecilio.
41Caecil. de M. P. c. 46. Par che sia ragionevole l'osservazione di Voltaire (Oeuvr. Tom. XIV. p. 307), che attribuisce al successo di Costantino l'essere stata la fama del suo Labaro maggiore di quella dell'Angelo di Licinio. Pure anche quest'Angelo ha incontrato favore appresso il Pagi, il Tillemont, il Fleury, che sono impegnati ad accrescere la loro quantità di miracoli.
42Oltre questi ben cogniti esempi, Tollio, nella Prefazione alla traduzione di Longino fatta da Boileau, ha scoperto una visione d'Antigono, che assicurò le sue truppe d'aver veduto un pentagono (simbolo di salvezza) con queste parole «In questo vinci». Ma Tollio è affatto inescusabile per avere omesso di addurre donde ha ricavato quel fatto; ed il suo carattere nella letteratura, ugualmente che nella morale, non è superiore ad ogni eccezione. Vedi Chauffepiè Diction. crit. Tom. IV. p. 460. Senza insistere nel silenzio di Diodoro, di Plutarco, di Giustino ec. si può osservar, che Polieno, il quale in un capitolo a parte (l. IV. c. 6), ha raccolto diciannove stratagemmi militari d'Antigono, non è punto informato di questa notevol visione.
43Instincta Divinitatis, mentis magnitudine. Da qualunque curioso viaggiatore può sempre leggersi l'Iscrizione sull'arco trionfale di Costantino, che fu copiata dal Baronio, dal Grutero ec.
44Habes profecto aliquid cum illa mente divina secretum, quae delegata nostra Diis minoribus cura uni se tibi dignatur ostendere. Panegyr. vet. IX. 2.
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