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Il tenente dei Lancieri

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Il tenente dei Lancieri
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I

La ditta portava il nome del padre «Giovanni Monghisoni», ma chi comandava, la vera padrona del negozio, era sempre stata l’unica figlia del Monghisoni: la signora Maddalena, maritata Trebeschi.

Colla sagacia, col fiuto degli affari, uniti a una gran passione per i quattrini, e di più col vento sempre in poppa, la signora Maddalena aveva mandato avanti la nave a gonfie vele, aveva raddoppiata e triplicata la sostanza paterna. Ma quanta attività, quanta tenacia, quanto lavoro ci aveva messo, e quanto sforzo di polmoni! La voce della signora Maddalena squillava, in ogni ora e in ogni stanza, come una campana; giovane, sana, esuberante, il gridare era il suo unico sfogo.

Il fondaco era in via Lentasio a porta Romana. Nei lunghi cameroni, fra le botti d’aringhe, i barili d’olio, le forme di parmigiano, era un continuo andirivieni, un vociare continuo, di commessi e di avventori: il lampadino che ardeva in fondo in fondo, nel buio, dinanzi ad una immagine della Santa Casa di Loreto, dondolava come un pendolo, per il tremoto dei facchini che caricavano o scaricavan la roba: ma la voce della signora Maddalena, sempre alta e forte, dominava tutto quel gran fracasso, dando ordini e strapazzate.

Il babbo Monghisoni quand’era vivo, stava ben attento, e scantonava nel fondaco, per non urtare la figliuola; se no, fioccavano le strapazzate scroscianti come pioggia e grandine anche sul suo capo.

– Se non ci fossi io – strillava la signora Maddalena – se io fossi come le altre donne, tutte matte da legare, che pensano soltanto a spendere e a fare all’amore, colla tua poca testa a quest’ora saresti al Ricovero o all’ospedale.

Morto il padre, essa aveva cominciato a lodarlo e a levarlo ai sette cieli; ma lo faceva aggrottando le ciglia, e finiva sempre per umiliare gli altri ed esaltare, sè stessa.

– Mio padre!… Era l’unico al mondo che poteva vantarsi, come me, di essere un fiore di galantuomo! – Oppure: – Mio padre!.. era insieme con me la sola testa di casa in mezzo a un branco di bestie,

La Signora Maddalena, ancora prosperosa e piacente adesso che toccava la cinquantina, era stata a’ suoi tempi un bel pezzo di donnone: a porta Romana la chiamavano il bel granatiere. Maestosa, forte, con un profluvio di capelli nerissimi, lucenti, ondulati, spartiti a ciuffo in mezzo alla fronte, colla peluria dei baffettini che le ombreggiava le labbra rosse e dava risalto ai denti sani, con un’aria smargiassa di me n’impipo, pareva la padrona del mondo. Pure, se le piaceva di mettere in mostra la sue qualità virili per dar soggezione, ed all’occorrenza anche per incutere un certo timore, non aveva mai fatto caso della propria bellezza: e nemmeno, a dir vero, di quella degli altri. Aveva scelto per marito il signor Daniele Trebeschi: un perticone giallo, mal piantato, col naso storto e fatto a, spatola e col mento pecorino; certo, il più brutto dei suoi commessi: ma che ne importava alla signora Maddalena? In dieci anni che lo aveva, in negozio, o non lo aveva mai guardato, o ci si era avvezzata. Aveva notato invece quello che a lei premeva: cioè che fra i suoi commessi era il più attivo, il più diligente, il più pratico: onde il giorno nel quale essa si trovò di fronte a un dilemma inevitabile, o crescergli lo stipendio o lasciarselo scappare, s’appigliò a un terzo partito, che fu di sposarlo. E poi il signor Monghisoni diventava vecchio, rimbambiva un giorno più dell’altro, e per il negozio, un uomo sicuro, fidato, interessato, le era ormai necessario.

Essa non viveva se non per gli affari; pel buon andamento degli affari aveva preso marito; e per l’incremento degli affari, per l’avvenire della ditta aveva messo al mondo anche i figliuoli. Ma questa, per la signora Maddalena, era sempre stata una faccenda affatto secondaria. Se ne sbrigava il più presto possibile, rimanendo fino all’ultimo momento al suo posto a gridare, a strapazzare, a far conti. Il suo posto era lo scrittoio, un bugigattolo, in un angolo del primo camerone del fondaco; e, dopo ogni parto, appena poteva reggersi in gambe, colà scendeva, ancora pallida e debole, facendo un gradino alla, volta, indifferente alle tanfate di mucido e di rancido che la prendevano alla gola: appoggiata alte pareti fredde e viscide, ricominciava a brontolare e a strapazzare colla voce fievole e rotta, scrollando il capo faticosamente.

– No! no! no!… Quando non c’era lei, non sapevano far niente, niente!… Erano tanti babbei, tanti mangiapane, che colla loro indolenza e incuria volevano mandarla in rovina.

L’orgoglio, le gioie, le ansie della maternità essa le aveva provate e le provava; ma per quella sua azienda, per la ditta, per i suoi quattrini, accumulati col suo sudore e col sangue del suo sangue. Stava in palpiti solo quando si spargeva la voce del possibile fallimento di un suo banchiere o corrispondente. S’inebriava di gioia solo quando le riusciva un bel colpo.

Menava vita regolare. All’alba entrava nel fondaco, dietro al signor Daniele che le apriva la porta e non risaliva altro che la sera tardissimo, qualche volta a notte inoltrata, facendo lume al marito, che sotto i suoi occhi doveva richiudere diligentemente la cassa, i cassetti, gli usci, la porta. Anche, la domenica, quando i commessi se n’erano andati, la signora Maddalena teneva tuttavia nello scrittoio il signor Daniele a rifare tutti i conti, a stendere il bilancio della settimana. Era quella la sua vita, era quello il suo ambiente; per lei la giornata più lunga dell’anno era il Natale, perché doveva, tener chiuso e lasciar andar il signor Daniele a Melegnano, a portare il panettone e gli augurî a’ suoi parenti.

Quella mattina strapazzava anche per il resto della giornata:

– Non pensavano altro che a divertirsi, a far festa, a buttar via quattrini a cappellate! Lei sola aveva nel sangue, come quel pover’uomo di suo padre, l’amore al lavoro e alla casa!…

E non usciva: anche tutto quel giorno sola soletta, intirizzita, rimaneva nel suo bugigattolo, scartabellando lo scartafaccio, e passando e ripassando il portafoglio delle cambiali. In quell’androne chiuso, durante il pomeriggio di Natale, il silenzio era profondo e cupo: e soltanto in fondo, nel buio, crepitava il lampadino acceso dinanzi alla Santa Casa di Loreto.

II

La ditta Monghisoni commerciava in olio, formaggio, aringhe salate, baccalà, ma lavorava molto anche in cambiali. Il saggio dello sconto variava dall’otto al dieci per cento.

– Tutto sommato – esclamava la signora Maddalena – un poco più un poco meno, quello che si paga anche alla Banca; e posso vantarmi che per onestà, dopo morto quel bonomo di mio padre, come me non c’è nessuno.

Ma «la ditta» non ammetteva, nè rinnovazioni, nè pagamenti parziali, nè acconti sul capitale.

– Io sono puntualissima ne’ miei impegni; e tutti devono essere puntualissimi con me. Regola generale!

In questa idea la signora Maddalena si era intestata in modo che non c’era verso di smuoverla: non lo faceva per avarizia, ma quasi per puntiglio. Magari, di lì a poco, tornava a prestare la stessa somma ed anche una più grossa, ma il giorno della scadenza – regola generale – bisognava pagare.

Il sarto di casa, un vecchio portinaio di via San Barnaba, era venuto per vestire d’inverno tutti i Trebeschi; e la signora Maddalena gli stava appunto rifiutando la rinnovazione che il povero diavolo le domandava per una sua cambiale di novantacinque lire.

– Capirà, signora Maddalena, può farmi questo favore! senza arrischiar nulla: fra pochi giorni, quando le porto gli abiti fatti, lei stessa si tratterrà le novantacinque lire sul mio conto.

La signora Maddalena scrollava il capo: – No, no, no! Sono complicazioni che non mi vanno. Oggi scade la vostra cambiale e dovete pagarla. Quando poi mi porterete gli abiti finiti, in perfetto ordine, io allora vi pagherò il vostro conto. Vecchio mio!.. Si cammina come un orologio; anzi, molto meglio, perché gli orologi vanno sempre male e io vado sempre bene.

Ciò detto, uscì dallo scrittoio e chiamò il marito che, per ordine gerarchico e di anzianità, doveva essere il primo a farsi prendere la misura.

– Daniele!…

Ma Daniele, in quel frastuono rimbombante, non udì, e non rispose subito.

– Dààniele! Sei sordo? – ripetè quasi urlando la signora Maddalena. – E sì, per diana, posso vantarmi di aver i polmoni di mio padre: Dààniele!

– Eccomi! eccomi! – e il signor Daniele sbucò di dietro a due facchini che facevano rotolare un barile sopra un lungo carretto a mano.

– Presto, la misura.

La signora Maddalena si era appoggiata col gomito a due pezze di panno color bigio «resistente» che aveva comperato apposta per vestire tutta la famiglia, e mentre il sarto prendeva le misure al signor Trebeschi, Maddalena dava le opportune istruzioni.

– Giacca, gilet e pantaloni; largo, comodo; e buone fodere, mi raccomando.

– Non dubiti, signora, Maddalena.

Poi il sarto, mentre teneva alzato un braccio del signor Daniele per prendergli la misura della manica, domandò, sempre rivolgendosi alla signora Maddalena:

– Facciamo a un petto solo, o a due?

– A due, a due petti! Così, all’occorrenza, gli può servire anche da, paltò. Io, che ho la testa sulle spalle, ho sempre tutte le viste. Ha finito?

– Sissignora.

– E uno! Adesso a quest’altro!

E mentre il signor Daniele, che si era lasciato girare e rigirare dal sarto senza mai dire una parola, tornava frettoloso là donde era venuto, Maddalena ricominciò a gridare con quanto fiato aveva; in gola:

– Temistocle! Temistocle!

Comparve, quasi subito, un altro perticone dinoccolato, arruffato, colla faccia scialba, col naso storto e fatto a spatola e col mento pecorino; era il primogenito dei Trebeschi. Si sbottonò subito il panciotto e si fermò diritto dinanzi al sarto, anche lui senza fiatare.

 

– Mi raccomando molta roba sotto alle maniche e in fondo ai calzoni, per farli allungare a un bisogno: la mal’erba cresce.

– Non dubiti, signora Maddalena.

– I bottoni per le bretelle, ben forti.

E mentre Temistocle, come prima aveva fatto suo padre, si lasciava voltare e rivoltare, la signora Maddalena continuava a strapazzarlo:

– Sei uno sciupone: è un peccato farti la roba! Ma perché non prendete tutti esempio da me, giacché avete la fortuna di avermi sempre davanti agli occhi? Questo vestito – e ne alzava la sottana stirandola con una mano – ha più di sei anni ed è ancora nuovo fiammante!

Poi, al sarto:

– Ha finito?

– Sissignora.

Temistocle non glie lo lasciò ripetere, e mentre la signora Maddalena esclamava: – E due! – scappò in fondo al magazzino dove, tolta di mano la bilancia ad un giovanotto che stava pesando un gran fiasco d’olio, gli disse:

– Corri; tocca a te.

Infatti, in quel punto si udì la voce della signora Maddalena che chiamava:

– Gian Maria!

Gian Maria, il secondogenito, sebbene avesse un anno soltanto meno di Temistocle, era molto più piccolo. Ma. aveva la stessa testa arruffata, lo stesso naso collo stesso mento da pecora.

Dopo di lui si presentò per la misura di un soprabito anche la nipote del signor Trebeschi: la signorina Cammilla era assestata e aggraziata nella elegante semplicità della giovane personcina; dal visetto piacente traspariva la bontà e la dolcezza: tuttavia, chi osservasse bene la forma del naso e del mento poteva riscontrare anche in lei una lontana aria di famiglia.

Uno solo, l’ultimo dei Trebeschi, Giacomino, alto, sottile, elegante, era un bel ragazzo, col naso diritto e il mento aristocratico: tutti dicevano, per spiegarci tale anomalia, che Giacomino assomigliava alla mamma. In ogni modo è certo che la somiglianza, se somiglianza c’era, non rabboniva la signora Maddalena, non la rendeva nè più indulgente nè più tenera per quel figliuolo; anzi sembrava che nutrisse contro di lui una strana avversione.

Forse la signora Maddalena era così, perchè Giacomino dal canto suo dimostrava un carattere troppo vivo e indipendente e certe volte anche prepotente. Egli intanto dichiarava che non voleva saperne a nessun patto di fare il «mercante», poi scappava, stava fuori la notte, giocava al biliardo, dava pizzicotti e abbracci alla serva, e non aveva nessuna paura di sua madre: fatto straordinario, questo, così straordinario che gli suscitava intorno un tacito senso di ammirazione e di simpatia. Tutti quanti facevano carte false per scusarlo, per difenderlo, per salvarlo dalle furie materne.

Anche quel giorno Giacomino doveva essere lì cogli altri per farsi prendere la misura; ma, al solito, se n’era dimenticato, e bisognò che il babbo di nascosto lo mandasse a chiamare.

– Eccomi, saperlotte! Avete detto alle dieci, e non sono che le dieci e un quarto! – esclamò Giacomino arrivando di corsa, e quantunque la mamma, muta, con gli occhi torvi (bruttissimo segno!) cercasse di schermirsi e di respingerlo, egli riuscì a stamparle un bacio sul collo.

Il sarto, che stava per andarsene, e si era già messo le due pezze sotto le braccia, le posò sopra uno sgabello per cercare nelle tasche il nastrino del metro; ma Giacomino, prima di lasciarsi prendere la misura, volle vedere la stoffa; poi, appena l’ebbe guardata e toccata, dichiarò che non ne voleva sapere: era troppo grossa, troppo ordinaria. – No! no! no! E poi sempre vestiti tutti ad un modo, come in un collegio; peggio, come in una casa di ricovero! No! no! no!… – non ne voleva sapere!

– Del resto – e scoppiò in una gran risata – tu parli sempre di risparmio e di economia, e poi non la sai fare, una giusta economia. Questo inverno dovrò cominciare il mio anno di volontariato. Che cosa me ne faccio degli abiti… da vile borghese? Vado in cavalleria, sapristi! Hoplà, là!

E mentre il signor Daniele, Temistocle, la Cammilla, tutti quanti stavano attenti a quella scena, cacciando fuori il capo tra le botti d’olio e i barili di acciughe, Giacomino inforcò una sedia e girò con essa attorno alla signora Maddalena, fingendo di cavalcare, gridando sempre allegramente: – Hoplà, là! hoplà, là!

– Ha sentito: lei può andarsene. Se ne vada – disse la signora Maddalena al sarto che, rimesse le due pezze sotto il braccio, cheto cheto, infilò l’uscio.

L’audacia era stata troppa: le teste del babbo, dei fratelli, della cugina non si vedevano più, erano sparite. Gli altri poi facevano anche più rumore del solito, per timore che la voce della signora Maddalena non si udisse in istrada.

Ma questa volta la signora Maddalena non fiatò. Continuava a fissare Giacomo, immobile, muta: quando la signora Maddalena guardava uno dei giovani del fondaco in quel modo, la sera si facevano i conti e il disgraziato era messo in libertà.

E infatti essa ripensava a un suo progetto che da anni le mulinava in testa per quel ragazzaccio. Altro che il volontariato! Lo avrebbe imbarcato come mozzo sopra una nave a vela: gli avrebbe fatto fare il giro del mondo. Suo padre non voleva? Voleva lei, e basta.

– Hop! hop! hoplà, là! – continuava a gridare il monello.

Essa a un tratto, mentre le passava vicino, lo, afferrò per i capelli, lo arrestò scotendolo con violenza.

– Scimmiotto! – borbottò fremente. – Va via! Fuori dei piedi! – e lo buttò lontano, verso la porta del fondaco.

Il ragazzo alla sua volta impallidì.

– Sì! Anche subito – rispose. – Anche sul momento. Sono un uomo, e non ti riconosco il diritto di trattarmi come un cane, d’insultarmi in questo modo. Hai capito? – e si piantò diritto in faccia a sua madre, fissandola pallido, ma sicuro.

Maddalena lo squadrò dal capo ai piedi; a un tratto si sentì confusa da quell’occhio limpido, ceruleo, che la fissava, abbassò lo sguardo.... e scorse allora, per la prima volta, la ciocca colorata di un fazzoletto di batista che spuntava dalla tasca di Giacomino.

– Che roba è questa? – Di nuovo aggrottò le ciglia, ficcò due dita nella tasca, ne tirò fuori lentamente il fazzoletto impregnato di acqua, di Colonia, dietro al quale schizzarono via, e ruzzolarono in terra un porta-sigarette d’argento ed un ritratto di donna.

– Che roba è? – ripetè la madre con una intonazione. – Roba mia.

– Roba mia – esclamò il giovanotto arditamente. – Roba mia.

E mentre Maddalena si chinava a raccattare il porta-sigarette, egli, in un attimo, ghermì il ritratto, e se lo ficcò nella tasca interna della giacca, che si abbottonò risolutamente.

– Quel ritratto a me, fuori!

– No.

– Fuori!

– No: mai.

Il giovane, per difenderlo ancor meglio, incrociò lo braccia sul petto.

– Vi ripeto: lo voglio e me lo darete. – Ma essa era avvezza a quelle ribellioni e sapeva che lì per lì, anche a pestarlo, non avrebbe ottenuto niente. Allora, pesando il porta-sigarette sul palmo della mano, come per valutarne il prezzo, cambiò discorso:

– Questo, intanto, rispondete, dove lo avete rubato?

– Rubato?… – Lì per lì il ragazzo si sentì montare il sangue alla testa, ma non poteva, non voleva dire come lo aveva avuto; non voleva compromettere suo padre. – L’ho comperato coi miei denari – rispose.

– Bugiardo! – gli gridò in faccia la signora Maddalena colla voce strozzata, poi, come mossa da un’improvvisa risoluzione: – Venite con me – gli disse, e si avviò al solito bugigattolo: fece entrare Giacomino per il primo; essa lo seguì e chiuse l’uscio.

– Tu fai debiti – gli disse, accostandogli la bocca al viso e quasi bruciandolo con una vampata di fiato.

– No, mamma – balbettò l’altro un po’ scosso.

– Tu fai debiti; non negarlo, io lo so. Da un pezzo me ne sono accorta. I tuoi vestiti li fai rifare, stringere, accomodare. Dove trovi i quattrini? E le cravatte? – E così dicendo, preso Giacomino per il nodo della cravatta, lo scoteva, lo stringeva così forte da soffocarlo. – Tutti i giorni hai una cravatta nuova. Chi ti dà i danari? E questo… balocco? e mostrava il porta-sigarette – costerà almeno una cinquantina di lire. Com’è che si trova nelle tue saccocce? Io denaro non te ne do, tuo padre non può dartene, perché non ne ha: dunque, o rubi o prendi la roba senza pagare, che fa lo stesso. Ti conosco, mascherina. Tu non sei come i tuoi fratelli, tu, tu – e nel crescendo di quel tu, misto alla collera, alla minaccia pareva ci fosse dell’astio, perfino dell’odio.

Giacomo sentì tutto ciò. Nel viso alterato della madre non vide nessuna espressione di bontà, di affetto; diventò ancor più smorto, balbettò qualche parola sconnessa, poi, di colpo, scoppiò in un pianto dirotto.

Alla vista di quelle lacrime, la signora Maddalena, invece di placarsi, parve anche più inviperita: chissà? quelle lacrime le ridestavano forse a suo dispetto un senso di pietà e di rimorso in fondo al cuore.

– Coccodrillo – borbottò. Poi, credendolo vinto, fece l’atto di mettergli la mano in tasca.-Fuori il ritratto.

– No: questo no! – rispose il ragazzo, ridiventando uomo a quella minaccia: non piangeva più, e aggrottava a sua volta le ciglia, guatando la madre cogli occhi torvi.

La signora Maddalena sogghignò beffardamente.

– Un’amante!… E non hai ancora vent’anni! Debiti, giuoco, perché so che vai anche a giuocare al caffè Biffi, alla birraria Nazionale. Debiti, giuoco… e donne. Tu sei di quelle buone lane che mandano in malora le famiglie, che divorano i patrimoni. Ma questo non deve essere, questo io non voglio che sia, per tuo padre, per i tuoi fratelli e per me. Nè colle buone, nè colle cattive, nè da bimbo, nè da ragazzo, nè da uomo, ho mai potuto farti perdere un solo dei tuoi vizi. Ti ho battuto, persino; peggio che peggio! Non hai sentito nè l’amor proprio, nè le botte. Ma non si deve andare avanti così. Guardami bene, e non mi far perdere la bussola, e non farmi diventar matta. È un caso di dovere e di coscienza: o accetti la mia proposta… o so io ciò che farò.

– Non ho paura nè di te, nè delle tue minacce, chiare o tenebrose – rispose Giacomino con piglio arrogante. – Non ho paura di nessuno, io!… ma visto e considerato che in casa mia sono trattato come… come non mi piace, così… se la tua proposta è che io me ne vada… me ne andrò.

Quel bel ragazzo non era mai stato tanto bello come in quel punto. Pareva l’immagine artistica di David in atto di sfidare il Gigante.

La signora Maddalena gli disse seccamente che gli avrebbe pagato tutti i debiti, a un patto: recarsi a Genova dal signor Rosasco, l’armatore, e imbarcarsi: salute, forza e coraggio ne aveva. Col tempo e la volontà di lavorare e di far bene poteva riuscire un buon capitano di mare.

Giacomo si sentì stringere il cuore: e il babbo così buono?… E mademoiselle Fanny?… la piccola cavallerizza?… quella del ritratto?… E i suoi fratelli, la sua casa? E Milano… la più bella città del mondo?… Più, più, mai più! Ma pure il piccolo eroe rimase diritto, impassibile, con una mano sul fianco, e rispose ancora con calma senza che i piccoli baffettini biondi, tirati in su, tradissero un sol tremito delle labbra:

– Sta bene; e sono molto contento di andarmene. Magari oggi per non aspettare domani.

La signora Maddalena lo guardò, poi volse gli occhi altrove. Meno del ragazzo, si sentiva sicura di sè; e la sua voce, proprio la sua voce, era alterata.

– Il signor Rosasco era un buon amico – andava dicendo, quasi per far animo a lui e a se stessa. – In fin dei conti anche quella poteva essere una bellissima carriera, forse la sua fortuna. Fosse stata un uomo lei! Subito in mare! A Milano non c’è più posto per nessuno! C’è troppa gente!

E concluse rabbonita, sorridendo per la prima volta, per la prima volta insinuante, dispostissima a sentire la confessione di una somma enorme:

– La cifra de’ tuoi debiti? Dimmi tutto. Prima di partire pagherai.

– Venti o trenta lire, al giovine del sarto Martinenghi, che mi accomoda gli abiti.

– Va bene, va bene; il più grosso, sentiamo il più grosso.

– Ventidue lire alla calzoleria inglese, per un paio di scarpe gialle, di bulgaro.

– E poi? E poi?… Di’ tutto. Hai la fortuna di avere una madre buona, generosa e che, a tempo debito, sa anche perdonare. E poi?

Giacomino pensò, ripensò. Doveva confessare anche quel centinaio di lire che gli aveva prestato il babbo e colle quali aveva comperato i fiori e un frustino di tartaruga col pomo dorato e anche quel porta-sigarette per regalare a mademoiselle Fanny? No; non lo doveva dire: non lo poteva dire. Non voleva che il babbo fosse sgridato per lui, povero babbo!

– E poi? Avanti.

– E poi – rispose forte e in fretta per finirla – un conto di cravatte, due o tre paia di guanti e dodici lire alla confetteria di Santa Margherita.

 

– E altro?

La signora Maddalena, per quanto avara, pareva desiderasse, in quel momento, che il figlio avesse un monte di debiti.

– Proprio nient’altro? – domandò con una strizzatina d’occhi significante. – E… la signorina del ritratto?

– Questo è affar mio. Quanto ai miei debiti, se ti paion pochi, non posso inventarne degli altri per farti piacere.

– Eh, eh! signorino! – Non le pare che ce ne sia abbastanza?

La signora Maddalena, a poco a poco riprendeva il sopravvento sulla madre.

– Che cosa si può sperare, quando, sotto la mia educazione e col mio esempio, uno scapestrato che non ha ancora vent’anni spreca un mucchio di danaro per la gola, per la vanità, per fare il milordino? Io posso vantarmi di non aver mai buttato via quattrini nè per la moda, nè pei capricci, e non ho mai sciupato dodici lire dal pasticciere, avendo da mangiare a casa mia.

Povero Giacomino! La signora Maddalena non poteva immaginarsi che quelle dodici lirette erano state rosicchiate in tanti confetti dai candidi dentini di mademoiselle Fanny.

– Dovrò partire, quando? – demandò il giovanotto, che voleva finirla; anche per trovarsi solo ed essere padrone del suo dolore, per sfogarsi, per piangere.

– Partirete… quando avrò la risposta del Rosasco: gli scrivo subito. Andate.

Ma la signora Maddalena, anche questa volta, girò gli occhi per non guardarlo in faccia.

– Sta bene – rispose Giacomino. Si avviò, poi tornò indietro. – Siamo intesi: lo dirai tu al babbo… perché io… (sentì inumidirsi le palpebre), perché io non gli dirò nulla – concluse arrogantemente, con un’alzata di spalle. Si rizzò, s’inchinò e – uno, due, tre – se la battè con un colpo secco dei tacchi.

– Siamo intesi: buon giorno. – E se ne andò.

– Superbo, donnaiolo, dissipatore! Io devo difendere la casa; la ditta Monghisoni – borbottò la signora Maddalena rimasta sola. E quand’ebbe finita e chiusa la lettera al signor Antonio Rosasco, armatore, a San Pier d’Arena, vi scrisse sopra: Urgentissima.

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